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Ring, eutanasia completata

Fallisce la società che gestisce – col senno di poi, in maniera scellerata – la pista per antonomasia. Quella che racconta storie di coraggio e sangue. Destinata all'abbandono ma non all'oblio

L'inferno verde appassisce. A meno che non venga irrigato con un bel fiume di milioni di euro, provenienti da Bruxelles. Il vecchio Nürburgring – “inferno verde” è una definizione di Jackie Stewart, che sul Ring rifilò nel 1968 qualcosa come quattro minuti al secondo classificato – è in agonia: dei 400 milioni e più di debito si parlava già nel 2010, quando fu varata la petizione popolare “Save the Ring”.

Salviamo cosa? La storia. I 21 km della Nordschleife, più che i 4,5 del GP Strecke, dove si corre l'asettica Formula 1 di oggi. Quel susseguirsi di asfalto, rocce, emozioni fuori dal mondo, incidenti e sublimazione delle capacità di guida che richiamano appassionati (e, in parte, Case automobilistiche) ma che, calcolatrice alla mano, è un anacronismo.

Già, perché il Ring è morto nel 1976. Quello in cui, il primo agosto, Niki Lauda rischia di bruciare. Curva, roccia, benzina in fiamme, collisione: ciao, Niki. Anzi, no: la Ferrari dell'allora campione del mondo in carica rottame in mezzo alla pista, e il pilota a mischiare brandelli di pelle ai fumi della benzina. Merzario, Ertl, Edwards e Lunger a improvvisarsi infermieri. Angeli sprezzanti del rischio, cavalieri di un rischio col vestito nero e la falce in mano.

Niki Lauda estratto dalla Rossa più di là che di qua. Merzario che si vedrà poi avvicinare, settimane dopo, dall'austriaco che gli aveva soffiato il posto alla Ferrari. Nessuna parola, un Rolex che si sfila dal polso. Grazie, Arturo: il cowboy di Civenna non sa se ringraziare l'odiato rivale. Sorride, si accende l'immancabile Marlboro. Va bene così, una spolverata alla ruggine e si torna in macchina.

Ospedale di Mannheim, estrema unzione, prognosi che più riservata non si può. Accanimento, tempra da combattente prussiana. Trasferimento a Ludwigshafen, specializzato nei grandi ustionati. Il viveur Hunt rosicchia punti in campionato, Lauda strappa il pass per la seconda opportunità.

Monza, 37 giorni dopo. Sofferenza, dolore. Una palpebra che non si vuole più chiudere, nel casco un brandello d'orecchio martoriato dal fuoco. Lauda è un uomo che ha danzato con Sorella Morte e si è scoperto figlio unico. Hunt lo priverà di un'aura divina: 69 a 68, il titolo '76 è mio. Altra storia: Lauda si rifarà con gli interessi in seguito. Ma lascia un cadavere sul campo: quel saliscendi tra la foresta, abiurato dai piloti e sepolto da una tragedia consumata in eurovisione.

Il Ring è come il Tourist Trophy: un moloch abbandonato a se stesso. Nessuno lo vuole più: troppo fuori dal mondo, e troppo vicino il confine tra raccontarla e non poterlo più fare in caso di errore. Non ha rispetto per gli Dei, il Ring: nel 1974 ha regalato a Mike Hailwood fratture alle gambe, dolore e ritorno alle due ruote. Con la vittoria più bella di sempre: zoppo, sofferente, ducatista. 2 giugno 1978, con lo Snafell Mountain ai suoi piedi.

Ha vivacchiato fino a pochi anni fa, il Ring. E' stato rifatto ma mai stravolto. Un golem con l'anima, violentato da chi vi ha voluto costuire quell'immenso luna-park pagano (un parco divertimenti tematico, con strutture mai sfruttate appieno)che ha creato una voragine da 400 milioni di euro. La società pubblica (al 90%) che gestisce l'impianto è fallita in un giorno assolato di luglio: il governo del land della Renania-Palatinato ha imposto l'apertura di una procedura d'insolvenza. L'Unione Europea si è vista chiedere più di 30 milioni per ripianare il debito con le banche. Meglio, per pagare solo gli interessi.

Crisi economica, circuiti disegnati con il CAD e non dall'ardimento della natura: il Ring non c'è più. Troppo grande per sopravvivere – manutenere 25 km di pista a fronte dei 5 km o giù di lì di un circuito moderno equivale a una guerra combattuta con fionde e mani nude – e troppo perversamente affascinante per non essere ricordato.

 

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