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Youngtimer – Bugatti EB110, storia di un genio incompreso

Era il sogno della Bugatti italiana. Il risveglio, brusco, è stato dato dai soli 126 esemplari prodotti. Eppure, la EB110 era un capolavoro

bugatti_eb110_gt blu frontale126 esemplari venduti. 126 come il nome della popolarissima Fiat. Il destino a volte sa essere beffardo: la supercar più “esotica” degli anni Novanta, youngtimer per definizione, capace di un tempo di 7’44” sugli oltre 20 km del Nurburgring (quasi 30 anni fa…) e di una tecnologia incredibile, resta uno dei casi più clamorosi di genio incompreso. Non da tutti, però: uno che di auto ci capisce abbastanza, un certo Michael Schumacher, ne vuole una per sé. Di gusto tedesco e forse anche in omaggio alla livrea della Benetton che guida in quegli anni: gialla, con gli interni in pelle blu, in versione Super Sport. Per la Bugatti di Romano Artioli (sotto vi spieghiamo tutto) non esiste pubblicità migliore di quella. Anzi, ci potrebbe pure essere un “sequel”: secondo alcune indiscrezioni, a Pebble Beach potrebbe essere svelata una reinterpretazione della EB110… Staremo a vedere.

La Bugatti made in Italy

bugatti_eb110_gt blu vista posterioreGià, Bugatti. Oggi il marchio francese fa parte della corazzata tedesca del Gruppo Vokswagen, ma le sue vicende societarie sono state a dir poco tormentate. Concentriamoci però sul periodo che interessa la EB110. Romano Artioli è l’imprenditore che nel 1987 rileva lo storico marchio con un’idea fissa in testa: mettere in commercio la migliore supercar della sua epoca. La stessa ambizione che muove Ferruccio Lamborghini un quarto di secolo circa prima di lui. Il tutto, in anni certo non facili: le supercar del momento si chiamano niente meno che Ferrari F40, Jaguar XJ220, Lamborghini Diablo e Porsche 959. Senza dimenticare quella che, dal punto di vista tecnico, si può considerare la regina: la McLaren F1 stradale del 1995 (questa sì che Schumacher non avrebbe potuto comprarla, per ovvie ragioni), quella di Gordon Murray con il posto guida centrale e due per i passeggeri, leggermente arretrati, ai lati.

Bisogna fare in fretta

Nel 1987, nei capannoni di Campogalliano (MO) si lavora senza sosta al progetto. Prima, però, c’è da costruire la fabbrica, che viene concepita come un luogo moderno e a misura d’uomo. Si passa successivamente alla vettura. E a chi affidarsi se non al meglio disponibile sul mercato? Ecco dunque che Artioli ingaggia Paolo Stanzani, ex Lamborghini, a cui affida la direzione della progettazione (salvo poi abbandonarla prima della fine del progetto a causa di divergenze con Artioli stesso). A sua volta Stanzani, sempre da Lamborghini, chiama in Bugatti Loris Bicocchi, il (anzi: IL) collaudatore, di cui si narrano imprese ai limiti dell’epico, in pista (un incidente in zona 400 km/h, per esempio) e su strada, quando le maglie dei controlli erano un filo più larghe di oggi… Stanzani, Bicocchi, Artioli: tutti e tre ricordano con affetto e malcelata commozione le interminabili nottate di lavoro, rese possibili solo dalla passione smisurata e dall’obiettivo comune, grande e stimolante.

E(ttore)B(ugatti), 110 come gli anni del Marchio

Si lavora così tanto e in modo così affiatato, in quel di Campogalliano, che la macchina è pronta già nel 1990. Si decide però di aspettare l’anno successivo per il lancio commerciale: da un lato, nel 1991 ricorre il 110° anniversario dalla fondazione dell’azienda, dall’altro ci si prende ancora un po’ di tempo per la messa a punto più fine. La EB110 fa subito parlare di sé. In quel periodo i motori turbo non sono certo una novità, in virtù anche dei successi negli anni Ottanta in F1 e nei rally, ma quattro turbine (della IHI) tutte insieme a sostenere un V12 da 3,5 litri non si erano mai viste. Non da meno la distribuzione, che conta su 5 valvole per cilindro. Risultato: i cavalli sono 560 a 8.000 giri per la GT, 610 a 8.150 per la Super Sport, detta SS. Eppure la potenza non è l’unico obiettivo: per contenere il peso, il basamento è in alluminio, mentre le testate sono in alluminio e titanio. La lubrificazione? A carter secco, per evitare che nell’uso più estremo il pescaggio d’olio venga compromesso. Sconosciuti consumi, ma i 120 litri dei 2 serbatoi danno da pensare…

Non “solo” motore

In comune con Veyron e Chiron, le due dell’era Volkswagen, la EB 110 ha il motore fatto apposta per stupire. La filosofia della Bugatti all’italiana, però, non potrebbe essere più lontana da quella alla tedesca. Quest’ultima è improntata alla prestazione pura, stellare, in accelerazione, ripresa e velocità di punta. La EB110 nasce invece attorno a una sorta di vasca in fibra di carbonio, rigidissima, che costituisce la struttura portante della vettura, a cui si ancorano i telaietti ausilari in alluminio di sospensioni, motore e pannelli – anch’essi in alluminio – della carrozzeria. Con una potenza di 560 CV e pneumatici che non sono quelli di oggi, in Bugatti si opta poi per il 4×4. Una trasmissione integrale a tre differenziali, con quello centrale che invia il 73% della coppia al retrotreno. Come a dire: ti do una mano nel misto stretto, in uscita dalle curve più lente, ma se vuoi metterla di traverso fai pure…

La Super Sport: un mostro tutto da domare

bugatti_eb110_ss giallaCome si dice? La fame vien mangiando… La EB110 versione Super Sport ne è la dimostrazione fisica. Pensate: dal 3.5 V12 vengono spremuti altri 50 cv, per un totale di 610. La trazione? Solo posteriore, così il peso scende dai 1.620 kg della GT ai 1.470 kg della SS. Sempre in tema di numeri, la GT scatta da 0 a 100 km/h in 3,5 secondi e ferma la sua corsa a 342 km/h; la seconda fa segnare rispettivamente 3,3 secondi e 351 km/h.

La macchina è eccezionale, ma i conti non tornano

Mettere in commercio una delle migliori sportive di sempre non basta, per fare business: bisogna anche saperla vendere, far tornare i conti di un meccanismo complesso com’è una casa automobilistica, seppure piccola. Ecco, il secondo aspetto della questione non riesce benissimo ad Artioli, anzi non riesce per niente. Il totale di esemplari consegnati è davvero misero: 33 SuperSport, 93 GT. Numeri troppo piccoli – anche a fronte dei 670 milioni di lire richiesti per la SS e dei 550 per la GT a 550 – per dare un significato economico all’impresa.

 

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