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Iron Dames, sfida rosa nell’endurance Mondiale. Intervista a Manuela Gostner

La parità di genere in alcuni contesti è già stata raggiunta: un esempio a sorpresa è il Motorsport, come dimostra la bella storia delle Iron Dames. Ce la siamo fatta raccontare da una di loro

Essere donna non è un merito, ma non deve essere nemmeno un ostacolo” Sul palco di Sanremo le attualissime parole di Beatrice Venezi, giovane e talentuosa direttore d’orchestra, spazzano via l’ipocrisia del politically correct con una frase che sottolinea l’importanza della sostanza al di là della forma. “Me ne assumo la responsabilità. Per me quello che conta sono il talento e la preparazione con cui si svolge un determinato lavoro. Le professioni hanno un nome preciso e nel mio caso è ‘Direttore d’Orchestra’”

Di certo non è sempre semplice essere donna in un mondo declinato al maschile. È recente l’esempio di Sharni Pinfold, la pilota australiana di 25 anni, che correva nel Mondiale della Moto3: “La maggior parte delle lotte che ho dovuto sostenere” ha dichiarato prima di abbandonare il Campionato “sono state per la mancanza di rispetto, il trattamento dispregiativo nei confronti delle donne. Cose che non avrei mai dovuto sperimentare, se fossi stata un maschio. Ma poi arrivi a un punto che non sopporti più”.

Ma per fortuna ci sono esempi di belle storie in rosa, anche in sport dominati da uomini. Manuela Gostner ci ha raccontato quella delle Iron Dames, un progetto speciale creato e guidato da Deborah Mayer, pilota imprenditrice e ambasciatrice Ferrari, con l’obiettivo di supportare le donne nel Motorsport. Una squadra di sole donne che, a due anni dalla sua fondazione, ha conquistato un ruolo di assoluto rispetto in alcune delle competizioni endurance più affascinanti del mondo racing. Con lei ci sono la danese Michelle Gatting e la svizzera Rahel Frey, che partecipano al campionato della European Le Mans Series e alle 24 Ore di Le Mans con una Ferrari 488 GTE. Il prossimo impegno sarà il WEC (World Endurance Championship), che sarebbe dovuto iniziare il 3 aprile a Portimao ma in questi giorni è slittato a giugno, sul circuito di Spa-Francorchamps.

Mamma di due bambine, Maya di 9 anni e Laura di 13, Manuela ci ha raccontato il suo inusuale debutto con le quattro ruote: “Ho iniziato tardi rispetto alle mie compagne di squadra. L’ho fatto per gioco, sono andata a vedere un giorno una gara di mio fratello David che correva. Ho fatto un giro accanto a lui in pista ed è esploso qualcosa. Era così emozionante, affascinante e insieme pericoloso e surreale. C’erano il brivido, la velocità, la competenza e la tecnica. Servivano coraggio e visione e subito è diventata una sfida personale, volevo correre.”

Cos’hai fatto? “Ho preso un coach; partivo da zero e all’inizio non volevano neppure darmi la licenza. Ma ho lavorato molto a testa bassa e con umiltà e ho imparato velocemente. Credo che questo sia un pregio di noi donne, la caparbietà e la capacità, l’umiltà di accettare di farsi guidare. Ho imparato, raggiungevo obbiettivi facevo le prime pole…ed ogni passo era una motivazione in più per fare il successivo”.

Qual è la cosa che ti affascina di più di correre in auto? Prima parlavi di coraggio, visione di sfida personale e velocità: “Sì, mi affascina un po’ tutto, perché guidare una macchina da corsa è nello stesso tempo una cosa molto cattiva per cui però ci vuole anche molta sensibilità. Devi dosarle, trovare il giusto equilibrio. Sono una ragazza molto femminile, nessuno mi immagina in questo ruolo, e mi piace, come mi piace sfidare i miei limiti, il mio timore per la velocità. Non nasco su un’auto, la velocità per me è un brivido. Quando mi trovo a 300 all’ora in mezzo a un gruppo ho paura. Ho molto rispetto per quello che faccio e ogni volta che mi sfido e supero un mio limite vinco un premio importante per me: crescere”.

Qual è il tuo punto di forza? “Ho fatto per anni pallavolo, uno sport di squadra. E sono una mamma. Quindi un’ottima team-player e un’organizzatrice. Sto molto bene nel gruppo, so rispettare i ruoli, so dov’è il mio posto, so lavorare per le mie compagne e mettere a proprio agio chi lavora con me. E poi sono molto determinata, lavoro tanto per raggiungere la performance che mi prefiggo. Il mio limite forse è non essere cresciuta in questo ambiente e quindi avere dei freni imposti dalla razionalità, ma in tutti gli equipaggi c’è un pilota con meno esperienza”.

Com’è il rapporto con la parte maschile del team, i meccanici ad esempio. È difficile farsi ascoltare? “Se sei una donna in un ambiente maschile è importante guadagnarsi la fiducia e il rispetto dei tecnici e dei colleghi. Non è facilissimo però una volta che lo fai ti rimane per sempre. È un problema dell’inizio, se arrivano un pilota donna e un uomo sul secondo non ci saranno mai dubbi; i suoi risultati parleranno per lui. Una donna invece deve confermare il proprio valore. Un uomo ha bisogno di vedere nero su bianco, tempi risultati… poi ti darà fiducia e rispetto”.

Quando invece essere una donna rende più facile il percorso in un mondo di soli uomini? “Essere una donna adesso nel mondo del Motorsport è davvero fantastico, c’è molto supporto; se poi siamo anche competitive e brave abbiamo gli occhi puntati addosso ed è sicuramente un vantaggio”.

Com’è lavorare tra donne? “È bello e difficile nello stesso tempo. Abbiamo tre caratteri totalmente differenti e anche età, esperienze e condizioni di vita diverse. Quindi a volte non siamo d’accordo su alcune cose, quando corriamo viene fuori il nostro carattere vero, sempre. Correre è un momento quasi intimo, siamo nudi quando corriamo, siamo così pieni di adrenalina, di emozioni e lasciamo trasparire tutto, ogni emozione. Conosciamo ogni sfumatura di noi e delle altre, anche le debolezze o le fragilità e impariamo a superarle lasciandoci aiutare”.

Enzo Ferrari diceva che un pilota perde un secondo a ogni figlio che gli nasce. È così? “Io non penso alle mie bambine mentre corro, non mi tiro indietro di fronte a una sfida, non più di quanto farei normalmente. Non sono una scriteriata, se non sono a mio agio non vado oltre ma non per i bambini. Mi chiedono spesso se non sia uno sport troppo pericoloso per una mamma, ma no, non credo. Le macchine sono sicure, ci sono vie di fuga, non faccio rally, non vado in moto… io mi sento al sicuro. Poi tutto può succedere ma io voglio insegnare loro che non si può stare seduti a casa perché si ha paura di vivere. Se loro un giorno vorranno fare scalate o downhill glielo lascerò fare. La vita va vissuta. Anche se sei una mamma”.

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