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Ferrari 330 LMB: quella di Mr. Samsung è rubata?

Mistero per l'erede della 250 GTO: un furto risalente al 1977, tanti passaggi di proprietà. Un possessore illustre. Un uragano in arrivo dalla Florida. O magari, una tempesta in un bicchiere d'acqua

Un'auto prodotta in quattro esemplari – e che auto, dal momento che sul cofano reca orgogliosa il cavallino rampante! -, tre persone con qualche scheletro nell'armadio di troppo per una storia che inizia trentacinque anni fa: gli ingredienti per una spy-story che fa la spola da Maranello alla Corea, passando per la California ci sono tutti. E meritano di essere raccontati.

“Lei” è una Ferrari 330 LMB: Le Mans Berlinetta, per mettere le cose in chiaro. Un'auto da quindici milioni di dollari, erede di quella 250 GTO che ancora oggi fa girare la testa agli appassionati e turba i sonni dei collezionisti più abbienti. Da Maranello ne sono uscite quattro in tutto: non è stata vincente come l'antenata – la miglior Ferrari di tutti i tempi, secondo molti – ma è riuscita a passare di mano, sin da subito, a cifre da capogiro. “Lei” è la diva contesa: acquistata, rubata, rivendicata.

Atlanta, Georgia, 1974. L'uomo d'affari Ivars Blumenau viene ammaliato da una signora in rosso – undici primavere sulle spalle e numero di telaio 4619SA – esposta nell'autosalone di Donald Fong, dealer Ferrari. Scatta il colpo di fulmine, e il matrimonio viene celebrato con un bell'assegno con tanti zeri. Blumenau decide di lasciare la sua bella in esposizione da Fong, e il ménage a trois pare che funzioni. Almeno fino al 28 marzo 1977, quando la LMB si invola. Su una bisarca o su ruote proprie non è lecito saperlo, ma tant'è: rubata. I suoi dodici cilindri canteranno per un proprietario sicuramente ricco, e altrettanto sicuramente irreperibile. Forse, col senno di poi. Perché Diabolik usava una Jaguar E, non una Rossa. Che nasce per correre, mica per fuggire.

Non è la più bella LMB mai costruita, quella di Blumenau: non ha mai corso. Ma è una Ferrari, e non proprio una di quelle 308 che circolano per gli Stati Uniti rendendo un po' meno proibito il sogno di guidare un purosangue creato dal Commendatore. Blumenau non la prende bene, tutt'altro. E si mette sulle tracce della sua Ferrari. Caparbiamente. Con il supporto dell'FBI, manco fosse stato già girato “Fuori in 60 secondi”. Con un paio di doverosi distinguo: nella denuncia, il proprietario appare essere ancora Donald Fong, anche se l'equivalente del nostro certificato di proprietà è intestato a Blumenau. E la LMB non risulta assicurata: un po' come se la Gioconda fosse esposta senza cautela in una sagra di paese.

Molti indizi portano sulle tracce di Fong: pare che abbia il vizietto di vendere le auto – anzi, le Ferrari, noblesse oblige – dei clienti e tenere per sé i soldi. Embezzlement, si direbbe negli Stati Uniti: così recita il capo d'imputazione più volte affibbiato al buon Donald. “Era povero di soldi e ricco di auto – dirà più tardi Blumenau di Fong – e quando ho provato a portarlo in tribunale, era già detenuto per altri reati”.

Col senno di poi, la Ferrari è meno irreperibile di quanto sembri inizialmente: trova casa a Chicago, in Europa e poi ritorna negli Stati Uniti. Blumenau la rincorre, arriva addirittura a vederla a Peeble Beach. Negli anni Ottanta, sostiene di essere stato minacciato da Joe Marchetti, allora proprietario della LMB. RIvuole l'auto, Blumenau. E la rivuole con tutte le sue forze. Ma non sporge denuncia. Forse per una ragione: nel 1977 riceve l'ostracismo dal New York Stock Exchange. Fuori, per sempre: il businessman sostiene che si tratti di “una cosa amministrativa. Me l'hanno chiesta e io ho risposto: 'Fottiti!' “. Oggi Blumenau importa yacht da Hong Kong. E forse rimpiange di non avere risposto in maniera più educata trentacinque anni fa…

L'ultimo atto della 330 LMB in terra statunitense si consuma all'inizio degli anni Novanta: fa bella mostra di sé in California, al Blackhawk Museum, e viene adocchiata da un signore dai lineamenti orientali. Un certo Lee Kun-hee, che di professione fa il Presidente di un'azienda coreana neanche tanto piccola, la Samsung. Per lui, quella Ferrari è un investimento: la Samsung in questione è proprio il colosso dell'elettronica di consumo che da sola, oggi, vale un quarto del PIL dell'intera Corea del Sud.

Lee Kun-hee decide di lasciare la 330 LMB dov'è: in Asia lo fanno in molti, per evitare di pagare i dazi per l'importazione. Tanto, quella Ferrari difficilmente soddisferà le sue voglie di automobilista. I 300 cavalli del V12 non sono più un dato relativo alla potenza, quanto il certificato di autenticità di un Picasso. E se un Picasso non va bene, si può parlare di una perla nera. Di un Michelangelo. O, più prosaicamente, di qualcosa di destinato ad assumere valori stratosferici. Fottutamente stratosferici, per dirla con il motto di Blumenau.

Tra uno yacht e l'altro, Blumenau ripensa sempre alla sua Ferrari, per amore o per calcolo non è lecito saperlo. E lo fa con maggior vigore negli ultimi anni. Quelli in cui Lee Kun-hee assaggia il pane duro della prigione. Evasione fiscale: in passato si è rivelata fatale a più di un personaggio. Ma non a Lee: dimissionario dalla carica di Presidente e CEO nel 2008, torna al timone di Samsung Electronics due anni dopo. 

L'ultimo atto è una denuncia (contro ignoti, ad ogni modo) cui segue l'ordine di restituzione della “330LM4619”, così come citata testualmente dalla contea di Palm Beach, Florida. Il destinatario è il rituale signor nessuno – o, meglio, il signor John Doe, per chi ama dirla all'americana. Una mossa che, a Blumenau, è costata anni, soldi e delusioni. Che è partita dalla buona fede o dalla troppa furbizia – solo i diretti interessati possono saperlo – e si è allargata a macchia d'olio. Coinvolgendo, secondo Blumenau, anche l'Interpol. Basta avere pazienza e fede incrollabile…

E' nata a Maranello, la 330 LMB con numero di telaio 4619, e poi ha girovagato nei salotti buoni del mondo. Ha ricevuto indifferente gli sguardi di mille e mille appassionati. Non si è concessa alle scene della pista, al massimo qualche concorso di bellezza in tarda età. Ha sentito le sirene della polizia e respirato l'odore delle aule di tribunale. E' reclamata da tempo immemore. Ed è troppo eterea per concedersi realmente ad alcuno.

 

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