Una vita vissuta di fretta, conclusa a nemmeno 24 anni, al via di una maledetta corsa in Canada: quella di Riccardo Paletti può sembrare un'esistenza alla James Dean e invece è la storia precisa e dal gusto amaro di un ragazzo che è alto borghese nell'estrazione, umile nell'animo e straziante nel ricordo.
Riccardo Paletti nasce a Milano nel 1958, il 15 giugno. Papà Arietto è imprenditore di successo, e con la moglie Gina fa crescere l'unico figlio con il meglio che un ragazzo possa desiderare. Stanno bene, i Paletti, ma Riccardo non si accontenta di perdersi nel benessere parentale.
Il cuore di Riccardo si divide tra il karate, che gli insegna la disciplina interiore; lo sci, che gli regala riflessi e colpo d'occhio (a dispetto di un paio di occhiali che lo accompagnano in tutte le foto); e, ovviamente, i motori. Sul go-kart, Riccardo è promettente. Ma anche nelle altre passioni, che potrebbero diventare sbocco di vita. A diciannove anni prevalgono i motori. E, sin quasi da subito, sulle fiancate delle prime monoposto di Riccardo, compare il marchio Pioneer. Negli anni in cui “farsi lo stereo” è il massimo per chiunque, appassionato e non, è papà Arietto a importarli in Italia. E non è la sua unica attività. Per Riccardo la strada è meno in salita che per altri. Ma il suo talento e la sua abnegazione sono così forti da non fargli attaccare addosso l'etichetta di figlio di papà. Quella gliela appongono, alle spalle, i rivali bastonati in pista…
Formula Super Ford (con un'Osella azzurra. E al debutto sfiora la vittoria) nel '78, Formula 3 nel biennio 1979-80 , Formula 2 nel 1980-81 (sostituisce un certo Cecotto, attirato dalla massima formula, e alla quarta gara è già terzo a Monza), Formula 1 l'anno dopo: l'ascesa di Riccardo è costante. Rapida, forse troppo – ma, con il senno di poi, è semplice parlare. Supportata da buoni risultati, e questo è innegabile. E da alcuni luoghi comuni sfatati, come testimonia Mike Earle, il suo patron in Formula 2: “Quando incontrai Riccardo per la prima volta, pensai tra me: 'Ecco un altro rampollo di ricca famiglia che vuole correre in automobile e potrebbe non avere il talento per farlo'. Mi sbagliavo, mi impressionò immediatamente”. Con il sorriso e la voglia di fare bene. E un'intelligenza che lo porta a imparare l'inglese in tre mesi. Perché? Semplice: è la lingua del team. E, come suggerisce il rigore morale di Riccardo, se qualcosa c'è da fare, la si fa e basta.
Strano anno, il 1981: l'Europeo inizia con un secondo posto a Silverstone, continua con un giro più veloce a Hockenheim e alla terza gara fa bissare a Riccardo il risultato di Silverstone, a Thruxton, sempre in terra inglese. Poi il buio. Sei ritiri su sei senza un perché, e un decimo posto finale che è comunque sufficiente per la Grande Avventura. Quella che passa per Volpiano, casa Osella. Il compagno è Jean-Pierre Jarier. Stagionato e tosto come una robusta toma locale a dispetto dell'etnia francese.
E' veloce, Jarier. Il treno lo ha perso anni addietro, quando si trova a rimpiazzare il compianto Peterson sulla Lotus 78. Per rispetto del campione svedese, corre col 55: a Watkins Glen rimonta dal ventunesimo posto fino al podio, ma rimane senza benzina a tre giri dal traguardo; in Canada, ultimo appuntamento del Mondiale 1978, segna la pole, conduce su ampio margine ed è costretto al ritiro dopo 49 giri per mancanza di liquido nell'impianto frenante. La parabola di Chris Amon concentrata in due gare, e il già citato treno che non si ferma. Ma JPP è il solito combattente.
A Long Beach Jarier rifila tre secondi e mezzo a Riccardo. Che mugugna e aspetta tempi migliori. Mai una parola contro il team, contro una monoposto così fragile da perdere le ruote. “Aveva sbagliato i conti”, dirà poi Enzo Osella del progettista Guilpin. A Imola il debutto c'è, ma è dimezzato: le auto al via sono solo 14, per via della spaccatura tra i team che stanno con Ecclestone e quelli che stanno con Balestre. Beghe da federazione. Didì non balla lo slow. E Gilles vola via a Zolder due settimane dopo.
Riccardo è in progresso: in Belgio e a Monaco non si qualifica, ma non è il Cenerentolo della Formula 1. E' un ragazzo di 23 anni meticoloso, gentile, pacato. Forse non un campionissimo. Ma che senso ha chiederselo, quando il mondo è talmente spietato da mettere in discussione anche chi si ferma un gradino sotto l'empireo? Il distacco da Jarier, a Detroit, è di un secondo. Nel warm-up, JPP picchia e Paletti perde una ruota (appunto…): Osella affida al francese, prima guida, l'unico muletto a disposizione.
Canada, la terra di Gilles. 13 giugno 1982, circuito di Montreal. Pironi fa la pole sulla Ferrari, omaggio al rivale che avrebbe potuto essere (e forse era…) amico. Riccardo parte in dodicesima fila, ventitreesimo in qualifica. Sulle tribune, il papà e – per la prima volta – la mamma. L'obiettivo è festeggiare, a gara finita, i 24 anni di Riccardo a New York. Con la semplicità e la gioia di chi non si lascia condizionare da ciò che ha, e che piuttosto riesce ad asservirlo al benessere proprio e di chi si ama.
Il semaforo indugia nel dare il verde. La Ferrari non parte, si pianta proprio lì dove tutti la evitano. Tutti tranne Riccardo. Che non la vede e la colpisce in pieno, a più di 150 km orari e con il proprio Ford-Cosworth chiamato a dare la massima accelerazione . Fine della vita di un giovane pilota. Inizio di polemiche infinite. “Se fosse successo a me, mi avrebbero dedicato poche righe”: questo è il pensiero di Paletti dopo Zolder. Montreal è un campo di battaglia, Autosprint e Rombo si ricordano di Riccardo. Lo storico settimanale bolognese gli dedica un poster, e Rombo non è da meno. Copertine? No, uno strillo. Ci sta, purtroppo.
Lo spazio si affievolisce, presto e giocoforza: è la legge della comunicazione. E la beffa di un destino bastardo. Per un Senna, c'è sempre un Ratzenberger. Per Gilles, c'è stato un Riccardo. Il dovere è quello di togliere l'articolo indeterminativo. E lasciare spazio al Ricordo. Da vivere secondo memoria e coscienza individuale.
Riccardo Paletti Milano, 15 giugno 1958 Montreal, 13 giugno 1982 Pilota di Formula 1