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Turbo: a volte ritornano

Oggi sono figli del downsizing: meno centimetri cubi, meno cilindri, meno emissioni. Ieri rappresentavano potenza. Con un controllo direttamente collegato al piede destro del guidatore

Turbo, la via del futuro

Futuro nero? Beh, meglio guardare oltre lo specifico episodio, portare avanti l’orologio al 1979 e aspettare la prima vittoria di Jabouille in quel Gran Premio di Francia a Digione passato alla storia per il duello rusticano tra Villeneuve e Arnoux che fece saltare in piedi tanto il Drake quanto qualche milione di spettatori. Un trionfo oscurato, beffardo eppure destinato a cambiare il corso delle cose. Il turbo è potenza a dispetto della cilindrata dimezzata. Spauracchio per gli avversari e arma di marketing per chi vi ha creduto per primo.

La rivoluzione copernicana è già iniziata: nel 1980 anche a Maranello si pensa al turbocompressore. I 12 cilindri boxer sono ormai stanchi, ed è tempo di passare a un V6 da un litro e mezzo. Il “Mai mettere il carro davanti ai buoi” con cui il Commendatore ritardava l’avvento del motore posteriore era di un ordine di grandezza superiore, è vero. Ma se la Casa delle Case vi si convertiva, beh… allora il turbo era proprio la via del futuro. Tanto che già nel 1983 il propulsore più vincente della storia, il Ford-Cosworth DFV, salutava l’ultima affermazione della propria carriera. La centocinquantacinquesima, con un giovane milanese che avrebbe meritato l’alloro iridato e che invece è stato rapito dal Lausitzring: Michele Alboreto, nel Gran Premio di Detroit, la cui Tyrrell montava un’evoluzione del Cosworth siglata DFY.

I primi successi

Mettere il turbo…al turbo

Le sportive

L’altro lato della…turbina

Il turbo diventa “gentile”

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