Arriviamo a Cuneo nel primo pomeriggio di in un sabato logorato dal caldo. Il cielo è bianco latte, senza nuvole. Il vento? Sparito sulle montagne. Eppure la città è viva, rinvigorita dall’energia dei 2.500 iscritti che il giorno successivo, ultima domenica di giugno, scatteranno alle 7 dalla sabauda piazza Galimberti per arrampicarsi violentemente verso l’alto. Violentemente, sì, perché da queste parti la strada si inerpica su tra gli alberi, lasciandoseli alle spalle per spiccare il volo verso le rocce in alta quota. La magia della GF Coppi è pronta a materializzarsi per la trentaseiesima volta.

Decine di gazebo punteggiano di colori la piazza: biciclette, accessori, integratori, abbigliamento sportivo e molto altro, pretesti per qualche chiacchiera in un clima rilassato che nemmeno il sole appuntito riesce a scalfire. L’azienda turistica Locale del Cuneese ha deciso di portare alla gara una rappresentanza di giornalisti e influencer da tutta Europa, per vivere insieme la GF ma anche le ore precedenti, tra la visita della città e una cena tipica. Cuneo ha 55.000 abitanti e prende il nome dalla sua stessa planimetria, per l’appunto incuneata tra i torrenti Stura e Gesso. Nata sotto i Savoia, quindi certamente sabauda e allo stesso tempo relativamente recente, sorge a circa 500 metri di quota. Ed è ordinata, composta. Le facciate sulla via principale sono tutte restaurate, i lunghi portici nascondono vetrine ordinate. Tutto – persone, attività commerciali, automobili – si muove con una lentezza solenne, tanto lontana dalla frenesia insensata di Milano da apparire subito suggestiva.

Giacomo è la nostra guida: sportivo, sarà al via della gara il giorno successivo. Intanto, però, ci racconta storia e aneddoti su Cuneo, spaziando dalla resistenza partigiana ai parchi naturali. Per poi finire inevitabilmente a parlare di pendenza e chilometri dei due percorsi, il lungo e il medio. La scelta, dettata da un vincolo viabilistico, va fatta a poco più di un chilometro dalla partenza. Non c’è tempo, quindi, per “sentire la gamba” e valutare le proprie reali possibilità. Bisogna decidere la sera prima, e infatti ne parliamo mentre, con singolare sprezzo delle conseguenze, ci viene servita la cena a base di bolliti, specialità locale.

Il lungo: 172 km per oltre 4300 metri di dislivello. Roba seria, cattiva. Dopo i primi 20 km di pianura, mai facili per le tante insidie rappresentate dalla pedalata in gruppo, si imbocca la valle Varaita per attaccare il Colle di Sampeyre, i primi 16 km di salita. Scesi in Valle Maira, dopo poco la strada riprende a salire in direzione del Colle d’Esischie (21,4 km) che sbuca in quota a 1,5 km dal Colle Fauniera, il posto più affascinante della gara. Ed è proprio sul Fauniera che i percorsi medio e lungo si sovrappongono, per affrontare insieme 25 km di discesa molto insidiosa e sconnessa. Da Demonte in Valle Stura, si attacca l’ultimo colle, la salita di Madonna del Colletto (1.304 metri di quota), 7,3 km di ascesa con punte del 13% di pendenza. Il percorso del medio (101 km e 2500 metri di dislivello) prevede anch’esso una ventina di km di pianura, la salita verso il Colle Fauniera (2.481 m) e a seguire la parte in comune con il lungo. Dal punto di vista altimetrico la vera difficoltà di entrambi i percorsi è rappresentata dalla pendenza media, sempre molto impegnativa. Una difficoltà non da poco per chi, pur allenandosi spesso in salita, affronta di solito pendenze meno arcigne. Come me.

La notte cuneese è una breve parentesi tra la cena e la colazione, fissata inderogabilmente per le 5. Si mangia in silenzio, accanto ad altri ciclisti che forse si chiedono, come me, perché sono lì e non a letto. O forse no, è già tranche agonistica, tra integratori e borracce. Alle 6.30 la griglia è già piena, la speaker urla nel microfono presentandoci i medici in bicicletta, benemeriti che però nessuno spera di conoscere. Il messaggio del cardinale Parolin, che per conto di Papa Leone XIV augura a tutti una giornata nel nome dei valori dello sport. La benedizione del monsignore. Spezzoni di un rituale rassicurante, che sa di tradizione e scandisce gli interminabili minuti prima della partenza.

Pronti, via! L’auto dell’organizzazione mantiene la velocità ideale per non creare rallentamenti all’immenso gruppo di 2.500 iscritti, record storico, né costringere chi è davanti a sfoderare il 52X11 a muscoli freddi… Il bivio, medio a sinistra e lungo a destra, è subito dopo il ponte: nessun dubbio, sinistra! Comincia un incedere brillante ma non folle, con il gruppo che quasi in souplesse viaggia a oltre 45 km/h, rallentando in prossimità delle rotonde per poi “strappare” un po’ in uscita. C’è grande rispetto reciproco e un’attenzione agli altri ciclisti che ho vissuto poche volte. Il motivo lo capisco dopo mezz’ora, quando la strada, riparata da un fitto bosco, comincia a inerpicarsi sulla montagna. E lo fa di netto, lasciando pochissimo spazio al recupero. Quelle poche occasioni in cui la salita sembra concedere tregua vengono letteralmente spazzate via da rampe micidiali, che mi vedono arrancare aggrappato ai 30 denti dell’ultimo rapporto.

Le posizioni si stabilizzano, la salita è molto lunga e nessuno vuole correre il rischio di saltare. Buona parte dell’ascesa al Fauniera la percorro gomito a gomito con la ragazza che in classifica arriverà seconda nella categoria W1 sul medio. Tosta, tostissima: a uno dei tanti spettatori lungo il percorso che le urla “Non mollare”, risponde “Non ci penso nemmeno, altro che mollare”. Questo è lo spirito giusto, penso mentre lentamente sfilo accanto all’imponente santuario di San Magno Martire.

Il Colle non sembra lontano, ma è un’impressione sbagliata perché i minuti scorrono impietosi e lo scollinamento appare sempre troppo lontano, un miraggio o una visione. Tutto intorno la montagna è maestosa. Immagino il volto sofferente del Pirata Pantani – il celebre monumento a lui dedicato è qui, meta irrinunciabile – e il nuovo imbattibile, Tadej Pogacar, che con il suo sorriso scanzonato ha percorso queste strade pochi giorni prima di noi. Suggestioni che mi emozionano senza però riuscire a schiodarmi da una velocità che trovo ridicola (la testa va più delle gambe), arenato sull’asfalto come se i freni a disco fossero in azione. E invece no, ho controllato e vanno benissimo.

La discesa dal Fauniera è ben poco riposante: curve, tornanti, sede stradale stretta e tormentata dalle buche rendono tutto complicato e in qualche punto persino pericoloso, nonostante l’impegno dell’organizzazione per chiudere quante più buche possibile e disseminare il percorso di preziosissimi e attenti volontari che segnalano i punti critici. Non c’è tempo per distrarsi, tant’è che un iscritto alla GF sarà recuperato in elicottero dopo un pericolosissimo volo in un dirupo. Più in basso la strada si allarga, il caldo fa sentire la sua morsa e i chilometri scorrono in vista dell’ultima salita.

Salita della Madonna del Colletto, 7,3 km: pochi o tanti? A me sono sembrati pochi, nonostante i 10 tornanti dell’ascesa, numerati con il cinismo tipico di chi in bici non ci è mai andato. Mi sento meglio che sul Fauniera, anche grazie al fitto bosco che ripara dal sole. Dal passaggio nel punto più alto dell’ultima ascesa all’arrivo di Cuneo la gara cambia forma, diventando una lunga volata, sul filo dei 40 km/h e oltre. Si fa gruppetto, cambi regolari e via, solidali per il tempo necessario a raggiungere il più velocemente possibile l’agognato arco di piazza Galimberti.

La gara è finita. La fatica lascia spazio alle emozioni. Rivivo i momenti più belli, le facce che mi hanno accompagnato. Intanto penso a Fabio che sta ancora pedalando. Lui ha scelto il percorso lungo. Dove sarà ora?

(Testo di Fabio Banfi)
Bella domanda… Mentre Edoardo ha già ritirato la medaglia in legno che spetta a tutti coloro che hanno completato il percorso, io ho da poco superato i due terzi di gara e le gambe mi stanno presentando inesorabilmente il conto di una partenza oltre le mie possibilità. Infatti subito dopo aver svoltato per il lungo, nel tratto pianeggiante, mi sono illuso di poter tenere il ritmo dei primi, che sembrava gestibile. Si viaggiava a una accettabile velocità di crociera, salvo pochi scatti di alcuni temerari, subito neutralizzati dal gruppo. L’illusione è durata ben poco, fino alla “Colletta di Rossana”, uno strappo di 2 km circa al 4,5% dove, per restare in testa, ho toccato i miei valori di soglia. Di fatto è stato il vero start di giornata e da quel momento in poi è iniziata la bagarre, che in un batter d’occhio ci ha portato ai piedi del Colle Sampeyre.

Provo a stare con i primi, uno sguardo ai Watt indicati dal Garmin e uno ai volti di chi mi sta vicino, sperando di cogliere qualche smorfia di fatica. Passano pochi chilometri e devo cedere il passo, impossibile tenere quel ritmo, altro sport. Calo di qualche Watt, mi aggrego al gruppetto che sopraggiunge e con loro arrivo in vetta, dove ho giusto il tempo di vedere il ristoro riccamente imbandito prima di affrontare “a tutta” la discesa. L’asfalto sconnesso e le curve tecniche fanno selezione, rimaniamo in tre fino al termine della discesa, dove il gruppo si è poi ricompattato nel breve tratto di falsopiano della Valle Maira grazie a un paio di “locomotive” che hanno continuato a spingere fortissimo senza chiedere cambi fino all’attacco del Colle Esischie. Cerco di sciogliere le gambe, dure e indolenzite dalla precedente salita, ma l’andatura elevata e i numerosi rilanci concedono poco. Svolta a sinistra e via, inizia la salita. Le pendenze sono subito a doppia cifra, i compagni di viaggio non accennano alcun calo, si sale regolari ma forte, il gruppo si scompone nuovamente.

Niente da fare, mi tocca calare ancora l’andatura per non saltare. Cerco di gestire le energie per restare con chi come me ha ceduto il passo. Il caldo e l’afa aumentano, il respiro è sempre più affannato. Fortunatamente i tanti spettatori sul percorso ci caricano con il loro tifo e ci rinfrescano rovesciandoci addosso borracce d’acqua fresca. Lungo la salita affrontiamo alcuni tratti sterrati, che ci danno la sensazione di vivere in prima persona le imprese dei grandi Giri! Gli ultimi chilometri sono interminabili, si intravvede lo scollino e si iniziano a sentire le urla degli spettatoti piazzati dove il percorso lungo e il medio si uniscono. Stringo i denti e tengo lo sguardo fisso sul Garmin, cercando di esorcizzare la fatica. A un chilometro dalla vetta c’è un ristoro “abusivo” che distribuisce birra e salsicce, perfette per reintegrare sali minerali e proteine, ma solo pochi audaci hanno l’ardire di fermarsi. Io mi fermo al gazebo ufficiale per fare il pieno d’acqua.

Mi lancio in discesa, impegnativa a causa dell’asfalto rovinato, della pendenza e delle curve strette. Nei pressi del vallone dell’Arma veniamo fermati dagli addetti al soccorso medico, impegnati nel recupero di un atleta finito rovinosamente in un dirupo. Sono momenti di apprensione. Pochi minuti e si riparte ma, scossi da quanto visto, in tanti affrontiamo la discesa con maggior prudenza. Resta da affrontare l’ultima fatica di giornata, la salita di Madonna del Colletto, dove si accende inesorabilmente la spia dell’avaria motore. Una vera sofferenza, dall’inizio alla fine. Ormai vado avanti “di testa”, le gambe sono vuote e il fiato sempre più corto. Nei tratti più duri vedo alcuni ciclisti del percorso medio salire a piedi, altri fermi all’ombra cercano qualche minuto di refrigerio. Finalmente scollino, consapevole che le vere difficoltà di giornata sono terminate e che solo 20 km mi separano dal traguardo. In pianura sono solo, ma rastrellando ciclisti del medio creo un piccolo gruppetto con l’obiettivo di tenere l’andatura sostenuta. Alla fine restiamo in tre tagliamo il traguardo insieme, complimentandoci a vicenda. Gli addetti dell’organizzazione mi consegnano la medaglia di finisher, Edoardo mi viene incontro già “in borghese”, ci scambiamo le primi curiosità sulle delle rispettive gare, antipasto dei discorsi durante il viaggio di rientro. Sono talmente stanco da chiedere una sedia allo stand del Museo del Ghisallo, ma la gratificazione e l’appagamento per esser arrivato al traguardo di una gara così lunga e dura per me ha il sapore dell’impresa. La fatica e i dolori alle gambe sono già dimenticati.
