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Spyker B6 Venator Spyder

Il piccolo costruttore olandese risorge dalla crisi provocata dall’azzardato acquisto di Saab. L’inedita roadster, basata sulla coupé tedesca Artega GT, vanta linee e interni mozzafiato. Meno entusiasmanti peso e meccanica

Due anni di purgatorio. 24 mesi di agonia. Così la piccola factory olandese Spyker ha espiato l’incauto acquisto di Saab. Un azzardo, datato 2010, che avrebbe portato alla morte del costruttore di Zeewolde se non fosse intervenuta la cinese Youngman, capace di riportare i conti sotto controllo e fornire i capitali per la ripresa dell’attività. Rilancio il cui primo atto è rappresentato dal progetto B6 Venator.

In origine fu la coupé. Ora è tempo della roadster. Se ad aprile il Salone di Ginevra fece da palcoscenico al debutto di B6 Venator, ora il concorso d’eleganza di Pebble Beach, in California, ospita l’unveiling della concept en plein air. Variante di carrozzeria spider particolarmente cara al marchio olandese, in quanto condivisa dalla best seller C8 forte di telaio e carrozzeria interamente in alluminio.

I tempi cambiano. L’originalità tecnica Spyker si attenua. Le sospensioni a triangoli trasversali sovrapposti tipo push road con bracci superiori a bilanciere? Un lontano ricordo. Gli ammortizzatori Koni regolabili in compressione ed estensione? Relegati ai margini della memoria. L’angolo di camber variabile in base ai desideri del guidatore? Svanito. Il motore centrale? Quello resta. Anche se disposto trasversalmente anziché longitudinalmente. Del resto, sottopelle B6 Venator è una Artega GT, sportiva tedesca caduta nel dimenticatoio dopo il fallimento del brand teutonico.

Dalla sportiva Made in Germany mutua la carrozzeria in carbonio anziché in alluminio come per i vecchi modelli Spyker, il telaio monoscocca, anch’esso in alluminio, e la gabbia in tubi d’acciaio al retrotreno ospitante il motore. I pannelli sotto ai sedili, sempre in alluminio, hanno struttura alveolare onde contenere le masse. Lo schema delle sospensioni si affida a una classica soluzione a bracci triangolari sovrapposti sia all’avantreno sia al retrotreno. Massimo riserbo, al momento, sul propulsore. È dato sapere solamente che sarà un V6 da 380 cv abbinato a una trasmissione automatica (a doppia frizione come Artega GT?) a 6 rapporti. Trazione posteriore e peso di 1.400 kg completano la scarna scheda tecnica. Dato ponderale, a dire il vero, tutt’altro che entusiasmante considerando che la pensionata C8 Spyder poteva contare su di una massa di 1.250 kg, con cambio manuale Getrag a 6 marce, pur adottando un mastodontico V8 4.2 Audi da 405 cv.

Ciò che non tradisce il vecchio corso è il fascino delle linee e degli interni. Mozzafiato. Tanto per l’originalità quanto per la cura dei dettagli, paragonabili, con le debite proporzioni, a capolavori a 4 ruote del calibro di Pagani Zonda e Huayra. La plastica, ad esempio, è bandita. Spyker ricorre solamente a materiali nobili quali pelle e alluminio per “arredare” l’abitacolo. Interamente realizzato a mano. L’esperienza nel settore aeronautico – il brand olandese produsse motori per aerei nei primi tre decenni del XX secolo – si concretizza in particolari come le levette lungo la consolle evocanti il cockpit di un velivolo, il logo del brand costituito da un’elica al centro di una ruota a raggi e l’interruttore per l’accensione celato da una protezione “a grilletto”. Nulla è lasciato al caso. Nulla ha un aspetto dimesso. Arte in movimento. Che diverrà realtà dalla seconda metà del 2014, a un prezzo di 150.000 dollari (112.000 euro).

 

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