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Siamo solo Gallo

Se nella vita, quando si è già sull’onda giusta, arriva un lampo come il riff di basso di “Siamo solo noi”... per sfoderarlo al momento perfetto con la più grande rockstar italiana, si è destinati a entrare nella storia. Claudio Golinelli detto Il Gallo è il bassista di Vasco Rossi “rubato” a una somma collega. L’iper-osannato ai concerti, quello che... non se ne può fare a meno. Anche se acciaccato, ci deve essere. E infatti arriva. Un cinno a vita che sa ammettere le proprie paure

Con quella voce ruvida… potrebbe sembrare lui il cantante. E il tono irresistibile, dell’emiliano scanzonato, di quelli che non voglio crescere mai. Ma, soprattutto, Claudio Golinelli spiazza per una gran voglia di snocciolare storie, tanto che parte in quarta a raccontarsi ancor prima che si riesca a rivolgergli una domanda. Settant’anni, da 41 al fianco di Vasco, cioè da sempre, Il Gallo, come lo conosce il suo pubblico, è un elemento chiave della band del Blasco.

Di tutti i colori

«In quattro mesi ho subito un trapianto di fegato e l’operazione a una vertebra che mi sono fratturato cadendo, quindi c’è il giorno sì e il giorno no (inteso per voglia di parlare, ndr). Oggi è un giorno sì, via!». Inizia così la chiacchierata con il Keith Richards italiano (ma quell’altro è un chitarrista e più usurato, eh) dopo un primo approccio non andato a buon fine in una giornata no. 

Claudio Golinelli Il Gallo Vasco Rossi bassista
Ph. Roberto Salemi

Se solitamente il bassista occupa un ruolo defilato nell’organigramma di una band, il Gallo è colui che ha ribaltato le regole. Durante i concerti, quando lo si vede comparire sul palco si prova un senso di completezza. Musicista rock di sostanza, nel quale l’apparenza stravagante è solo una conseguenza del suo animo strafottente, spiritoso e spontaneo, Golinelli è la personificazione della rockstar versione bassista, la quadratura del cerchio dei grandi live di Vasco. Al telefono chiacchiera volentieri ripercorrendo il suo cammino professionale ricco di grandi collaborazioni, ride e scherza anche con la moglie Monia, che gli sta sempre accanto. Ma, quando si parla di paura, il tono cambia. Resta in silenzio per cinque secondi e poi confessa timori e vulnerabilità di uomo comune che fa i conti con la vita che va avanti. Una vita che ama e per cui combatte ogni giorno, in attesa di tornare a suonare NonStopLive.

«La mia band è la Gallo Team, composta dal batterista di Zucchero Adriano Molinari, dal tastierista degli Stadio Fabrizio Foschini, dal grande chitarrista Cristian Cicci Bagnoli e da me. Siamo tutti uguali, e questo tengo a dirlo. Comunque la mia storia comincia in giro per l’Europa con gli Zebra Crossing ma, a un certo punto, stufo di suonare all’estero, tornai in Italia. Qui Willy David, il manager di allora di Gianna Nannini, mi propose di entrare nel gruppo, solo che poi lei iniziò a conquistare la Germania e mi ritrovai di nuovo lontano da casa. Nel frattempo ricevetti una chiamata da Guido Elmi, il manager di Vasco, che aveva sentito un assolo di basso che facevo con Gianna, e volle incontrarmi in studio alla Fonoprint di Bologna. Siamo solo noi ha gli stessi accordi di Colpa d’Alfredo, così Elmi voleva inserirci quel riff per contraddistinguerla, mi spiego, eh? Ecco, quindi che nel 1980 nacque Siamo solo noi come la conosciamo adesso, con l’inizio di basso che ho fatto io. Da quel momento cominciai parallelamente a fare i dischi di Vasco, che non era ancora conosciutissimo, difatti io non lo conoscevo per niente. Finché, quattro anni dopo, Vasco mi propose di stare con lui. Io ero un po’ stanco di mangiare würstel, perché ero sempre in Germania o in Svizzera – ormai ero diventato un würstel anch’io! – quindi accettai e sono in tutto 41 che suono con lui, anche se mi dispiacque moltissimo per Gianna».  

E lei come la prese?
«Si arrabbiò… non ci siamo salutati per dieci anni! Poi ci siamo trovati a Roma al concerto del 1º maggio del ’99 mentre ero lì con Vasco e ci fu un riavvicinamento, tanto che mi chiese di iniziare America col basso, e mi fece commuovere. Ma Vasco non era d’accordo… Comunque lei mi vuole ancora bene! Quando ha saputo che avevo fatto il trapianto mi ha mandato un messaggio: “Sei sempre il mio Gallo rock!”, capito? E io ho risposto con una foto d’annata con scritto: “Ma ti ricordi quando eravamo alla conquista della Germania?”, perché lei era prima in classifica quando lavoravamo insieme».

Nel frattempo hai avuto diverse collaborazioni, arrivando anche a Lourdes davanti a Papa Giovanni Paolo II.
«Sì, nel mezzo ho fatto anche il turnista suonando nei dischi di Patty Pravo, di Biagio Antonacci, di Franco Battiato, oltre a tre tour europei con Adriano Celentano. L’ho amato Celentano, è una persona adorabile, mi ha portato perfino a Lourdes perché è molto fedele; è stata una gioia immensa. Papa Wojtyła era a due metri da me… incredibile, aveva degli occhi pazzeschi!». 

Durante l’ultimo tour di Vasco ti sei alternato con un altro bassista.
«Sì, la prima parte la faceva un ragazzo bravo, Andrea Torresani, e nella seconda entravo io. Eh, perché con tutti gli acciacchi che ho avuto durante questi anni… be’, ce l’avrei fatta lo stesso, però è giusto anche fare largo ai giovani, insomma. Io ho settant’anni, eh! Poi io subentro a Siamo solo noi… bello!».

È ancora geloso di te, Vasco?
«Sì – ride – sì! Ma dopo tutto questo tempo siamo più che fratelli, non lo tradirei mai. Sono stati anni e anni di duro lavoro, non ci è stato regalato nulla. Io lo vedo impegnarsi sempre. Adesso, magari, dopo quarant’anni di successi uno può anche rilassarsi un po’, ma lui c’è sempre come testa, e a me piace ancora tantissimo. E sono molto onorato che mi voglia sempre, anche se sono un po’ più vecchio di lui, ho un anno e mezzo in più! Mi ha chiamato quand’ero in ospedale, dicendo: “Tieni duro che quest’anno facciamo il tour”, mi sa che invece non si fa niente nemmeno quest’anno, purtroppo».

Claudio Golinelli Il Gallo Vasco Rossi

Special guest con Vasco

Te l’ha fatta poi Vasco la maglietta da guest star che voleva indossassi per convincerti a suonare al NonStop Live 2019?
«Sì, me l’ha fatta, ha voluto per forza… Ma come fate a sapere ‘ste cose? Io non volevo suonare, come quando non ho fatto l’intervista l’altra volta. Ho dei momenti così, io, quindi andai da Vasco e gli dissi: “Basta, non voglio fare il tour”. E lui: “No, te lo fai e fai lo special guest!”. “Va bene!” – ride. Faccio presto io, poi, a cambiare idea, perché gli voglio un bene… pazzesco, io lo amo quell’uomo, insomma. Amo le cose che m’ha dato, le gioie. Tutti i professionisti con cui ho lavorato mi hanno dato tanto: Celentano, Nannini, Battiato… C’è stato un periodo in cui facevo la data del tour con Vasco, poi senza dormire prendevo l’aereo per andare in Sicilia per suonare al concerto con Battiato con l’orchestra sinfonica – perché lui voleva l’orchestra sinfonica con la base rock – e poi, senza dormire, tornavo indietro per i live con Vasco. Insomma, un periodaccio. Ma allora ce la facevo, adesso non ce la farei più così, sinceramente!».

Il comune di Imola, la tua città, sta pensando di posticipare i grossi concerti a ottobre e consentire l’accesso solo ai vaccinati e organizzare tamponi rapidi all’ingresso. Cosa pensi di questa proposta, la vedi una strada percorribile?
«Fantastico. Io penso che a ottobre saremo pur vaccinati, per una buona parte. Entra chi ha la carta del vaccino e chi è negativo, secondo me farebbero bene a far così. Come ce l’ho io sempre in tasca, perché sono negativo. Almeno una è andata bene, io sto attento, il virus non mi ha fregato».

E come disse Vasco a Londra nel 2010, dopo che hai sconfitto il tumore al fegato…
«“Chi l’ammazza il Gallo? N-e-s-s-u-n-o!” e infatti! Disse così, stupendo».

Dalla tua storia emerge che sei un figlio d’arte. Ma non tutti i figli d’arte ce la fanno. Dopo le basi, cosa serve per arrivare in alto? Quanto ha influito tuo papà?
«Mio padre era un musicista, aveva l’orchestra ma non era all’antica, eh, suonava cose con la chitarra elettrica, uno dei primi in Italia, e quindi sono stato instradato bene. Ma, per emergere, secondo me tutto sta nell’avere la propria personalità, qualcosa di diverso dagli altri, ecco. In questo sono stato fortunato, perché ho sempre suonato alla mia maniera, senza mai copiare nessuno. Sono un po’ bastardo, ma essere bastardo mi ha aiutato molto, difatti il suono che ho io pochi possono averlo. Determinante è stata anche l’esperienza in Gran Bretagna, dove ho imparato molto. A 17 anni mi innamorai di una inglese, quindi partii per Birmingham col permesso di mio padre e cominciai a suonare nella scuola della mia ragazza. Li c’era il bassista che suonava con un dito: faceva schifo, ma aveva un bel sound. E io, che ero già in conservatorio, da lui ho imparato a non muovere troppo le dita, a restare dentro alla batteria e a costruire un sound particolare, come poi faccio ancora adesso. Mi ha fatto bene quel periodo lì in Inghilterra. Loro sono sempre stati promotori della musica rock, c’è continuamente da imparare».

Sei tu il Keith Richards italiano o è lui il Gallo inglese (anche se non è un bassista)?
«No no – ride – io sono il Gallo italiano, finish! Lui è lui!».

Una vita da rockstar

Come hai fatto a sopravvivere a una vita da rockstar?
«Non lo so nemmeno io! Siamo passati davanti a tante cose, molte, ma mai pericolose al punto di morire. Ho sempre rifiutato certe droghe di plastica o chimiche, fatte in laboratorio, l’eroina… ne ho visti troppi morire. E quindi perché devo morire? Per cosa? Ovviamente ho avuti i miei viziacci eh, che sia chiaro! Il cognachino, ma vero, francese ahhh… dopo mangiato… prima lo scaldi un po’, poi lo odori, ecco ci sono stati i piaceri della vita, però se abbondi diventano dis-piaceri! Ho sempre pensato questo io, ed è quello che mi ha salvato». 

Che cos’è la paura?
(Silenzio di cinque secondi, il tono della voce cambia).
«La paura?… Io so che dovrò morire, chiaro, come tutti. Però ne ho un po’ paura, perché ho combattuto, ho lottato eh nella vita… però la amo, la amo! E allora mi dispiacerebbe morire. Io mi sento ancora vivo. Adesso il fegato va da dio, giro col bastone a causa della schiena, però ho la speranza di tornare come prima, capito? Certe volte mi sembra di essere ancora, come dicono a Bologna, un cinno! Ho la testa ancora così eh, non maturo molto, insomma mi piace divertirmi, mi piace fare musica, voglio riprendere a muovere le dita. Ho un basso nuovo, a specchio, si chiama Specchiatela. Io do i nomi ai miei bassi, giuro: quello verde si chiama Verduro, poi c’è Pelo nero e quello rosa si chiama Lillo. Sono rimasto un ragazzino».

Claudio Golinelli Il Gallo Vasco Rossi bassista
Ph. Roberto Salemi

C’è qualche giovane artista che apprezzi?
«I Måneskin. Il frontman ha una voce con una grana incredibile, mi piace molto anche l’ultimo pezzo che han tirato fuori, Vent’anni. Poi ci sono altri di cui non ricordo i nomi, ma di sicuro non mi piace quel trap che va adesso, è contrario alla mia musicalità».

Che cosa suoni con la tua band?
«Facciamo qualche brano degli Stadio e di Zucchero, ma un po’ più rock, e alcuni pezzi di Vasco, però alla nostra maniera, alla vecchia, non alla moderna».

Che rapporto hai con i motori?
«Be’, sono di Imola, i motori li ho nel sangue! Poi conosco bene Stefano Domenicali, mio conterraneo, tra l’altro. Ricordo che a 5-6 anni mio padre mi portava a vedere le corse in motocicletta all’Autodromo anche se pioveva: facevamo la capannina col gabardine e ci guardavamo la corsa sotto la pioggia. I motori mi piacciono tutti, auto e moto».

Cosa vuoi dire a Vasco che ha appena compiuto 69 anni? Indubbiamente un numero molto più interessante e carico di significato dello scontato 70…
«È un numero valido! Io farei una canzone che riporti il 69. Senza troppa malizia, non molto spinta. Però 69 è bello, insomma, farei una cosa così. Adesso glielo dirò eh! Glielo dico! E poi la deve chiamare Sessantanove!».

A proposito di 69… dopo il trapianto hai già ripreso tutte le attività?
«Sì tutte, potrei già riprendere tutte le attività… con l’aiuto di certe pastiglie magari… vado meglio!».

La rockstar non è un supereroe. È colui che sa farti volare con il suo talento, ma nel quale puoi identificarti attraverso le sue fragilità, le sue ammissioni. E le paure, che sono quelle di tutti.

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