Cervesina (PV), circuito Tazio Nuvolari, in programma c’è un corso di guida. Ma questa volta a rimettersi il casco per dare gas in pista ci sono motociclisti un po’ speciali. Hanno tutti una disabilità fisica e la maggior parte di loro proprio a causa di un incidente in moto. C’è chi ha perso un arto o la sua piena funzionalità, ma anche chi si trova seduto su una carrozzina. Ad organizzare il corso di guida è l’associazione Di.Di. Diversamente Disabili, fondata dal pilota e campione di motociclismo paralimpico (così chiamato sebbene il motociclismo non faccia parte del programma olimpico) Emiliano Malagoli. Di.Di. è supportata da BMW Italia attraverso il progetto di responsabilità sociale di impresa SpecialMente. Siamo andati a vedere come si svolge il corso da un punto di vista speciale e privilegiato: da un paio di anni a causa di un incidente sono in carrozzina ma l’idea della moto non mi ha mai mollato. Pensavo fosse impossibile rimontare in sella, ma ho scoperto una volta di più che la parola impossibile può avere un significato relativo.
Chi è Di.Di. Diversamente Disabili
Di.Di. è un’associazione che ha come missione quella di (ri)avvicinare al mondo delle due ruote le persone con disabilità che, per difficoltà varie, non hanno avuto la possibilità di farlo prima. Un’attività che non si limita all’organizzazione di corsi di guida in pista: Di.Di. è un riferimento per chi vuole conseguire la patente AS, si occupa di educazione stradale nelle scuole e organizza sessioni di Mototerpia.
Leggi anche: “Diversamente Disabili, in moto senza rinunce”
Fondatore e presidente di Di.Di. è Emiliano Malagoli, uno a cui non manca certo un pizzico di sana follia. Emiliano nel 2011 a seguito di un incidente stradale in moto, ha subito l’amputazione della gamba destra dal ginocchio in giù, anche la gamba sinistra è rimasta seriamente compromessa. Dopo solo 400 giorni rimonta in sella al Mugello e da lì in poi non si è più fermato. Diventa campione di motociclismo paralimpico. Ma non basta: nel 2013 con Chiara Valentini fonda Di.Di. Diversamente Disabili, divenuta poi ONLUS. Anche Chiara è cresciuta con la passione del motociclismo, fino a diventare campionessa europea classe 600. Poi un infortunio, una lussazione alla spalla che gli ha impedito di continuare a gareggiare ad alto livello, quindi il ritiro: era il 2008. Il resto è storia recente. Oltre a seguire le attività di Di.Di., Emiliano nel 2019 partecipa alla maratona di New York con una protesi all’arto inferiore e la porta a termine. Ma ora è tempo di una nuova sfida: proprio a Cervesina ha annunciato che domenica 25 settembre sarà al via della maratona di Berlino, perché “l’unico modo per migliorarsi è mettersi alla prova”.
Si parte dal briefing, come al solito
Veniamo al corso e vediamo come si svolge. Dopo la registrazione e il benvenuto, come in tutti i corsi di guida si parte con il briefing tecnico, nel quale vengono spiegate le norme e il comportamento da tenere in pista. Subito dopo si passa alla divisione in gruppi. Qui, però, non ci si divide in base all’esperienza e alla velocità in pista, ma per abilità. I partecipanti al corso vengono divisi in tre gruppi, chi salirà sulle Pit Bike (un corso dedicato a chi per età o per condizione psico-fisica non può guidare una moto più grande); poi c’è il gruppo di chi ha subito una grave lesione ad un arto, l’amputazione di un braccio o di una gamba; quindi chi si trova sulla sedia a rotelle.
Indossare la tuta non è facile
Dopo il briefing viene il momento di indossare l’abbigliamento tecnico. Facile a dirsi, meno a farsi: c’è chi riesce a fare tutto da solo ma qualcuno ha bisogno di una mano. Indossare una tuta in pelle per chi siede su una carrozzina non è certo facile. Amici e parenti al seguito danno una mano, ad aiutare ci sono anche 30 volontari tra dipendenti di BMW Motorrad Italia e i soci del Federclub. Persone che nel corso della giornata saranno sempre disponibili quando serve. A proposito di abbigliamento, se non avete il necessario Di.Di. può fornirvi quello che serve.
Moto speciali per motociclisti speciali
Ma come fa una persona disabile ad andare in moto? Esattamente come fa ad andare in auto: ci vogliono mezzi adattati. Le moto messe a disposizione da Di.Di. con il supporto di BMW Italia sono modificate in base alle necessità e al tipo di disabilità. Comandi spostati al manubrio, attuatori per cambiare le marce tramite pulsanti al manubrio e sistemi per tenere in posizione gli arti artificiali sulle pedane. Le moto da pista degli istruttori, o quelle personali di chi viene qui per perfezionare la guida, utilizzano soluzioni tra le più differenti e ingegnose. Si va dai supporti magnetici con riscontro nello stivale, all’utilizzo di agganci tipo quelle dei pedali delle biciclette o persino di un semplice piolino che si innesta nel tacco dello stivale. Le moto di Di.Di. dedicate ai paraplegici hanno il cambio automatico e sono equipaggiate con due sistemi particolari: un carrellino che si alza e si abbassa sulla ruota posteriore, che viene comandato dal motociclista attraverso due pulsanti, e dei sostegni laterali più ampi muniti di ruote in gomma. Il primo mantiene in equilibrio la moto, come se fosse sui binari: deve essere sollevato subito dopo la partenza, quando si raggiunge una velocità sufficiente a stare in equilibrio, e riabbassato appena prima di fermarsi. I supporti laterali più ampi con le ruote in gomma impediscono invece alla moto di cadere, limitandone l’inclinazione. C’è poi una sella ampia, con una struttura a culla rivestita in materiale antidecubito. I piedi sono bloccati da apposite pedane in metallo. Gli allestimenti delle moto di Di.Di. sono curati da Handytech, società specializzata in soluzioni per la guida ed il trasporto di persone con difficoltà motorie.
Tra i birilli nel paddock: prima di correre si impara a camminare
Ci siamo, è venuto il momento di salire in moto nel paddock per prender confidenza con il mezzo e per i primi esercizi tra i birilli. Nei corsi Di.Di. il rapporto tra numero di istruttori e allievi è molto alto, più del solito. Altra cosa molto importante: ogni gruppo è seguito da istruttori con pari disabilità. Ad esempio, a seguire chi è sulla carrozzina c’è un istruttore paraplegico. Questo aiuta a mettere a loro agio gli allievi, che sanno di aver a che fare con una persona che conosce bene le loro difficoltà, perché a sua volta ha dovuto affrontarle e uscirne vincitore. Nonostante questo la tensione è palpabile, inutile negarlo. C’è anche chi risale in moto per la prima volta dopo oltre 30 anni dall’incidente. Primi giri tra i birilli, qualcuno ce la fa subito, altri hanno bisogno di qualche prova in più, poco male. Ma la moto compie la sua magia: ha un potere unico, quello di rendere felice chi ci sale. Ed è così anche questa volta. Dopo un paio di prove (o turni) nel paddock la tensione svanisce per lasciare posto ai sorrisi. Ma subito viene il momento di alzare l’asticella. Per tutti gli esercizi diventano più difficili. Ai ragazzi paraplegici vengono smontati i supporti più ampi con le ruote in gomma. Così, una volta partiti e sollevato il carrello automatico sono “soli” in equilibrio sulla moto. Ma dopo i timori iniziali, a sorpresa si scopre che senza le ruote in gomma laterali si va anche meglio. Perché in realtà questi supporti, così importanti per evitare le cadute nelle prime prove, limitano la piega in modo innaturale. Ributtano su la moto quando meno te lo aspetti. Una volta presa un po’ di dimestichezza e raggiunto l’equilibrio è meglio eliminarli.
Ci ho provato, occorre solo crederci davvero
In pausa pranzo (per non rubare un posto ai corsisti), grazie alla gentilezza e alla disponibilità dei ragazzi di Di.Di. viene anche per me il momento di risalire in moto. Sollevato di peso sono salito sulla moto allestita per i paraplegici. La sensazione è strana, non sembra essere passato molto dall’ultima volta e invece sono trascorsi più di due anni. Tutto è al suo posto tranne la frizione, che non c’è perché è una moto con cambio automatico. Il serbatoio non si sente tra le gambe ed è una sensazione strana. L’istruttore mi spiega tutto con pazienza, mi fa vedere come funziona il carrellino. Ma alla prima partenza confondo i tasti up e down. Risultato: dopo alcuni metri con il carrellino giù riesco finalmente a sollevarlo, ma la velocità è troppo bassa e cosi mi sbilancio di lato e mi appoggio sulle ruote in gomma laterali. Meno male che ci sono altrimenti finivo subito in terra. Mi raddrizzano e la seconda partenza va bene: le ruote in gomma quasi non toccano più, si appoggiano solo in curva. L’istruttore che mi corre a fianco con la sua carrozzina come un razzo, mi urla “Gas, Gas” (manco fossimo al Mugello) e io gli do retta. Va meglio, allungo e arrivo fino in fondo al paddock, toccando la folle velocità di 40 km/h. Tanto per me ora, una volta mi succedeva solo in partenza o nel traffico. Occorre riprogrammare il proprio cervello, così come è stato per tantissime altre cose, perché la moto non si sente più come prima. Ma la sensazione di equilibrio è comunque buona, anche in curva. Bisogna solo fidarsi un po’ di più e prendere confidenza. A questo punto sarebbe ora di togliere le ruote laterali, ma non c’è più tempo. Poco male. Magari sarà per la prossima volta, con la pettorina ufficiale da corsista indosso.
Nel pomeriggio tutti a dare gas in pista
Dopo pranzo è la volta della pista, anche per i ragazzi in carrozzina. La tensione torna a salire, come è naturale che sia. Lo schema è lo stesso per tutti: davanti l’istruttore e dietro gli allievi, che si alternano in seconda posizione dietro di lui ad ogni giro. A chiudere la fila un secondo istruttore. Dopo qualche giro così si rientra e ci si scambiamo le impressioni, con un approccio molto diretto. Ognuno è invitato a dire come è andata, quali sono state le difficoltà incontrate e le sue sensazioni. Poi interviene l’istruttore con i suoi consigli e le correzioni. Qualche minuto e si parte per il secondo turno: la sicurezza di guida aumenta e man mano anche la velocità in pista. La tensione iniziale lascia spazio al divertimento. Tornare in sella è stata una cosa fortemente voluta per chi ha partecipato al corso, per chiudere il cerchio e salire in moto un’ultima volta. Per qualcuno si è trattato di un’esperienza unica e non ci sarà un seguito. Altri magari ripeteranno il corso. C’è poi chi prenderà la patente AS per tornare a guidare in strada, dopo il parere positivo della commissione medica per le patenti. Ma non tutti possono tornare a guidare in strada, dipende dal tipo di lesione. Chi è paraplegico, per esempio, non può: gli è consentito guidare la moto solo in pista e nemmeno su tutti i circuiti. Anche se ha l’esperienza e le capacità necessarie. Eppure a Cervesina c’erano ragazzi in carrozzina con la loro moto preparata da pista, venuti per perfezionare la guida. È l’effetto della passione.
Intervista A Emiliano Malagoli: “Dopo l’incidente la mia vita è cambiata in meglio”
A fine giornata abbiamo fatto quattro chiacchiere con Emiliano, per capire le motivazioni che stanno dietro al suo impegno.
Chi era Emiliano Malagoli e chi è oggi?
Emiliano Malagoli: “Lo dico spesso: la mia vita è cambiata in meglio, l’incidente ha cambiato il mio corpo ma anche mia la testa e il mio cuore. Mi ha aperto gli occhi: solo adesso vivo una vita vera. Prima vivevo come chiuso in una scatola e la mia felicità era a pagamento, legata al raggiungimento di risultati. Quando dicono che se fai felice gli altri sei tu la prima persona ad essere felice è la verità. Io questa sensazione la provo ogni giorno. Tutte le sere ringrazio il Signore per quello che mi è successo. Perché mi ha aperto gli occhi su un mondo che altrimenti non avrei mai conosciuto e che la maggior parte delle persone non conosce. Talvolta ci vuole una difficolta che ti stordisce talmente tanto da farti aprire gli occhi. Perché siamo come in una scatola, viviamo una vita fatta di abitudini e questa non può essere la nostra vera vita. Io adesso mi godo ogni istante, vivo la mia vita pienamente ed è la cosa più bella che ci può essere.”
Di.Di. è una bella avventura, come ti è venuta l’idea?
Malagoli: “Sono tornato in moto a un anno dall’incidente perché era la mia passione, ma anche perché era il modo migliore per accettare la mia disabilità. Se riuscivo a fare uno sport complicato come il motociclismo, allora non avere una gamba non poteva essere un ostacolo per riprendere la mia vita di tutti i giorni. Per tornare in moto ho incontrato tante difficoltà, burocratiche e dovute a una mentalità un po’ chiusa. Perché allora non agevolare questo percorso a tutti quelli che come me desideravano tornare in moto? Visto poi che non lo fa nessuno. Tutto questo senza essere obbligati a comprare una moto: io per ricominciare ho dovuto acquistare e adattare la mia moto, andando incontro alle relative spese. Ma la mia passione era talmente tanta che ero sicuro di quello che facevo. Per qualcuno ci può essere qualche dubbio. Mi piacerà ancora andare in moto? Ci riuscirò? E, vista la spesa necessaria (almeno 9-10 mila euro), spesso si rinuncia. Dare la possibilità di riprovare ad andare in moto senza sostenere i costi iniziali permette di capire e di decidere cosa fare, se comprare una nuova moto e continuare oppure no.”
Tornare in moto dopo un incidente, non è un po’ strano ripartire proprio da qui?
Malagoli: “È il modo di chiudere il cerchio: risalire in moto può sembrare folle ma è anche vero che le cose possono essere cambiate solo da chi ha un pizzico di follia. Solo spingendosi un pochino oltre e provando a rimettersi in gioco si può migliorare.”
Parliamo di numeri: quante persone Di.Di. ha rimesso sulla moto?
Malagoli: “400 persone circa e abbiamo rilasciato 100 patenti speciali. Penso che non ci sia una sola scuola guida in Italia con moto adattate per i disabili. Prendere la patente AS diventa quindi molto difficile. Una situazione discriminante. Questo perché la scuola guida guarda solo l’aspetto economico: l’investimento per l’acquisto di una moto adattata non sarebbe giustificato dalle patenti rilasciate. Tutto questo è logico, ma Di.Di. parte da un altro punto di vista, è un mondo completamente differente.”
Qual è il tuo rapporto con FMI?
Malagoli: “All’inizio è stato complicato. Non è stato facile far capire loro che una persona come me, aveva le capacità per guidare una moto. Ho dovuto dimostrarlo, farglielo vedere. Poi si sono ricreduti ed ora abbiamo un ottimo rapporto. Ci sono ancora delle cose da migliorare, specialmente per i ragazzi paraplegici, però la strada è quella giusta. Ci vuole solo del tempo. Bisogna dare modo alle persone di capire senza forzarle, altrimenti si corre il rischio di ottenere l’effetto contrario.”
Sei a conoscenza di novità tecniche per permettere a chi è disabile di andare in moto?
Malagoli: “Ad oggi ci sono alcune moto che non possono essere omologate per la guida da parte dei disabili, sono richiesti nulla osta particolari, specie per l’impianto frenate. Con Handytech, azienda che ci mette a disposizione gli ausili per la guida e che modifica i nostri mezzi, stiamo cercando di risolvere anche questo aspetto. Da dicembre o al massimo gennaio un ragazzo con disabilità (non sulla carrozzina) potrà acquistare qualsiasi tipo di moto, scegliendo quella che desidera. Finora BMW, Ducati, Honda in strada non si potevano utilizzare. Pensa, un ducatista sfegatato, ad esempio: non sarà più costretto a comprare una Yamaha. Anche questo è un traguardo: è stato un lavoro lungo, durato diversi anni. Sarebbe poi bellissimo che, come avviene in alcuni Paesi europei, sia consentito anche ai ragazzi paraplegici guidare una moto in strada con sistema simile a quello che utilizziamo qui. Le commissioni mediche per le patenti dovrebbero rivedere i loro metodi, ma è un discorso molto particolare e delicato.”
Quella dell’atleta paralimpico, del super-disabile, che fa cose eccezionali, sembra quasi una moda. Non c’è il rischio di cadere nell’eccesso?
Malagoli: “Capisco cosa vuoi dire. Spesso gli atleti paralimpici vengono chiamati eroi. Secondo me è sbagliato. Io sono una persona normalissima: chiamare eroe chi che fa qualcosa di particolare lascia in qualche modo intendere che si tratta di qualcosa di impossibile. Chiamandoli eroi, gli altri probabilmente nemmeno proveranno a fare qualcosa di simile. Chi ottiene risultati importanti nelle diverse discipline sportive è una persona normale che si impegna con dedizione e che crede in quello che fa. Se è così, allora tutti ci possono provare, impegnandosi. Magari non otterranno gli stessi risultati, ma l’importante è mettersi in gioco, provare. Eroe è chi salva la vita alle persone. Chi con una disabilità riesce a fare cose fuori dal normale, ottenendo risultati importanti, secondo me deve farlo con l’idea di dare lo spunto agli altri che si trovano in difficoltà per mettersi alla prova. Per questo i nostri istruttori hanno la stessa disabilità dei loro allievi. Chi partecipa ai corsi viene così rassicurato: se lo fa lui allora lo posso fare anche io, questa è l’idea.”
Durante la breve conferenza stampa qui sul circuito hai annunciato la tua partecipazione alla maratona di Berlino: ce ne vuoi parlare?
Malagoli: “È un’altra grande sfida. A livello fisico la maratona di Berlino è ancora più impegnativa di quella di New York. Come ho detto, non puoi capire dove sei in grado di arrivare se non ti metti in gioco. Le nostre azioni hanno inoltre effetto sugli altri. Vedere una persona come me, che corre la maratona, o i ragazzi disabili che risalgono in moto, è un esempio per tanti altri e permette loro di vincere le paure e le incertezze che li bloccano. Alla maratona di Berlino può andare bene o male, ma sarà comunque un successo.”
Obiettivi futuri?
Malagoli: “Oltre alla maratona, a ottobre ho l’ultima gara in moto del Campionato europeo ( European Handy Bridgestone Cup) e sarebbe bellissimo diventare campione. Poi mi prenderò qualche giorno di pausa, perché è anche giusto staccare per qualche tempo. Ultimamente mi sono alimentato anche troppo di obiettivi: prima di portare a termine una cosa avevo già in mente il prossimo obiettivo. Una fatica anche mentale. Quindi dopo il Campionato tireremo una riga e poi pianificheremo le attività per il 2023. Di idee ce ne sono già tante.”
Prima di lasciarci Emiliano mi strappa una promessa: quella di pensarci a partecipare al prossimo corso. Troppo facile. mi sono divertito e ci penserò sicuramente.