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Ovali contro, Velodromo e Flat Track

In comune hanno mezzi essenziali, ridotti all’osso, e una pista ovale, corta. Parquet da una parte, sterrato dall’altra. Niente freni, solo manico. Se volete sapere quanto sia difficile girare in tondo, eccovi accontentati

I mezzi usati per correre sono degli autentici distillati di essenzialità. Un telaio un motore (nel caso della moto) niente freni. Li usano degli specialisti dell’ovale per gare entusiasmanti corse sul filo dei decimi di secondo. Punti in comune tanti, la pista innanzitutto, corta essenziale, due rettilinei e due curve da affrontare a tutta,  a velocità elevatissime a pochi centimetri dal tuo diretto avversario che certo non vuole lasciarti strada. Coraggio scaltrezza e tecnica vanno a braccetto, chi corre qui, è sicuramente “un manico” che poi quando esce dall’ovale spesso mette in riga tutti. Non è un caso che molti piloti da pista si allenino con il Flat Track e un pistard come Wiggins abbia centrato quest’anno l’accoppiata Tour de France/olimpiadi.Interessante il confronto tecnico tra i mezzi utilizzati essenziali ma capaci di raggiungere il risultato finale (la vittoria) partendo da due presupposti tecnici completamente differenti. I telai sono costruiti per essere uno rigidissimo (la bici) e reattivo e l’altro molto flessibile (la moto) perché dove non arrivano le sospensioni deve arrivare il telaio. Il feeling di guida in questo caso è un punto imprescindibile.Ma cos’hanno in comune queste due discipline, oltre ovviamente alla forma del tracciato? Le gare, sia di bici su pista che di flat track, sono piuttosto brevi. Da fuori, si percepiscono bagarre entusiasmanti fatte di velocità e stile, potenza e scaltrezza; nell’uno e nell’altro ovale le traiettorie dei corridori si incrociano innumerevoli volte quasi a formare una danza continua, in cui il finale è quasi sempre a sorpresa. Volevamo farvi conoscere meglio questi mondi, cosa si prova a correre in un ovale? Lo abbiamo chiesto a Elia Viviani e Marco Belli i principali protagonisti italiani in queste spettacolari discipline. Cominciamo dal velodromoIl successo al Tour de France dell’ex pistard Bradley Wiggins ha risvegliato in molti sportivi anche in Italia l’interesse per il ciclismo su pista, che è stata una delle discipline più seguite all’Olimpiade. Nel nuovissimo e modernissimo velodromo di Londra si sono viste sfide appassionanti sul filo dei 60 km/h.Tra gli atleti impegnati nell’ovale olimpico, c’era, unico Italiano, Elia Viviani. Abbiamo chiesto a Elia di raccontarci qualcosa di questo mondo e lui, che in questi giorni è impegnato alla Vuelta, dove è stato a un passo dal vincere la 13° tappa, ci ha risposto con entusiasmo. Riportiamo l’intervista integrale.Elia, raccontaci innanzitutto dell’esperienza olimpica“L’Olimpiade di Londra è stata l’esperienza sportiva più bella della mia vita. Rompere il ghiaccio con la prova su strada e poi cimentarmi in pista è stato un valore aggiunto. Se solo essere presente alla prova su strada mi rendeva felice, a quella su pista non mi bastava: volevo la medaglia, l’obbiettivo era alto molto alto; era l’Oro e ci ho creduto fino all’ultima prova. Mancavano solo 4giri di pista, un solo km, che però è stato fatale: da leader della classifica sono finito sesto. Non nascondo la delusione. Il boccone amaro è stato durissimo da digerire; ho lavorato tanto per quest’obbiettivo, l’ho fatto per me, perché l’Olimpiade, o meglio l’oro Olimpico era ed è ancora il mio sogno. Nonostante questo comunque ho analizzato cosa non è andato per il verso giusto e credo di aver fatto esperienza per la prossima.”Che caratteristiche deve avere una bici da pista?“A Londra ho corso con delle bici fatte da importanti marchi Italiani, che mi hanno seguito e accontentato in ogni mia richiesta. In ogni caso per tutte le bici la caratteristica principale è la rigidità, per evitare qualsiasi dispersione di potenza; la reattività è un’altra caratteristica importantissima a cui siamo stati attenti. Per quanto riguarda la bici per le gare di gruppo anche l’agilità e la guidabilità sono fondamentali, perché deve rispondere subito a repentini cambi di direzione, per quanto riguarda le bici utilizzate nelle prove contro il tempo diventa importantissima l’aerodinamica.”Cosa ti piace del ciclismo su pista? Si sente “il vuoto” scendendo dalle paraboliche?“La pista personalmente mi diverte. Io sono un atleta professionista, e il mio lavoro è il ciclismo su strada ma la pista mi ha sempre lasciato qualcosa dentro. Mi diverte il fatto di essere dentro uno stadio, di dare spettacolo, di essere a contatto diretto con 7/8/9/10 Mila persone. Dall’esterno il velodromo, soprattutto sulle paraboliche, fa paura. Capita anche a me di avere quella sensazione se salgo sulle tribune e guardo il velodromo, ma quando sono sulla pista, quando salgo sulla bici, spariscono tutte quelle sensazione e sale l’adrenalina, la voglia di fare su e giù per quelle paraboliche, la capacita’ di sfruttare tutta la curva per fare meno fatica; la sensazione di vuoto c’è eccome se c’è ma è più un piacere che una paura. La pista è bella perché è adrenalina pura nelle gare di gruppo; tutti lì a pochi centimetri a 50/60km/h con delle bici senza freni e a scatto fisso. Ma è anche eleganza e perfezione in una prova contro il tempo.”Allenarsi in pista migliora anche la guida su strada?“Certo, allenandosi in pista si sviluppano qualità che fanno molto comodo su strada: la padronanza del mezzo, l’abilità nel muovere la bici e affrontare curve e discese con maggior sicurezza; aumenta poi l’agilità che ti permette di risparmiare e energie utili su un finale di corsa su strada. Quindi la consiglio vivamente a tutti, ai piccoli ciclisti soprattutto.”DAI PEDALI AL MOTORE Raggiungiamo Marco Belli al telefono. Classe 1972, Marco è il pilota italiano più vittorioso nel Flat Track ed è anche il responsabile di questa disciplina per la Federazione Motociclistica Italiana (che da quest’anno ha istituito un vero e proprio campionato nazionale). Marco è il classico esempio citato prima: un manico che va forte con qualsiasi cosa. Vince nello Short Track ma ha un controllo impressionante della moto in qualsiasi situazione, e se lo fai correre, stai tranquillo che lui sta davanti. Non a caso è un po’ deluso per il quinto posto conquistato alla Pikes Peak 2012, dove era abituato a salire sul podio..Marco è certamente il più grande esperto italiano di flat track. Per questo gli chiediamo di introdurci in questo mondo. La nostra chiacchierata comincia con il racconto delle origini di questa specialità, derivata sì dallo speedway, ma che con questa aveva in comune solo il fatto che si svolgeva su un anello ovale di terra battuta: la moto da flat-track è infatti molto vicina alle moto di produzione, mentre quelle da speedway hanno poco a che fare con le moto di serie, essendo tral’altro totalmente prive di freni e di cambio.In Italia il flat-track è ancora poco conosciuto. In America invece, dove è nata, questa disciplina è stata la scuola per molti campioni della velocità. Basti pensare a Kenny Roberts, pluricampione di Flat Track prima di passare alla velocità. Anche molti campioni attuali, ci racconta Marco, hanno scoperto il flat track e si allenano nell’ovale: Stoner, Hayden, Lorenzo  e lo stesso Valentino Rossi sono soltanto alcuni esempi.Gli chiediamo di parlarci della moto con cui si corre negli ovali. Il regolamento FMI in proposito è molto largo: tra le poche regole c’è che la cilindrata deve essere compresa tra i 200 cmc e 1200 e che la leva del freno anteriore non può essere montata. Tendenzialmente le moto da Flat Track sono leggere monocilindriche, a volte la stessa disciplina si può correre anche con potenti bicilindriche da 100 e oltre cavalli. Una delle migliori, per potenza, agilità e leggerezza, è senz’altro la sua Zaeta: la Zaeta monta motore TM monocilindrico 530. L’alimentazione è a carburatore, anche se, ci spiega Marco, da quest’anno dispone di un sistema particolarmente tecnologico che si avvale anche dell’iniezione elettronica. Di Zaeta esiste anche una versione omologata per andare su strada.Marco è anche il titolare di una scuola di flat track, la “scuola del traverso” (www.marcobelli.net). Sostiene infatti che la pratica di questo sport, e in particolare la familiarità con l’equilibrio precario e il controsterzo, sia la base per ogni disciplina motociclistica.Anzi consiglia il flat track anche a chi non pratica il motociclismo a livello agonistico ma usa la moto solo su strada:  una corretta gestione del gas è infatti fondamentale anche su strada, in particolare in caso di pioggia  o comunque di scarso grip. Certo, ammette Marco, è innaturale per un neofita arrivare in prossimità della curva e, anziché frenare, buttar giù la moto e spalancare il gas intraversandola. Ci vuole anche una certa dose di “pelo”. E se lo dice lui…foto credit Zaeta

 

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