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Porsche Boxster VS Harley-Davidson V-Rod

Milwaukee – Zuffenhausen, gemellaggio tecnico ma non solo. Il decennale della V-Rod, l’Harley con motore progettato da Porsche, è festeggiato dall’arrivo della nuova Boxster. Destini incrociati, passione unica e un popolo di fedelissimi difficili da accontentare

C’è un filo invisibile che unisce le due protagoniste del nostro Duel, non solo perché nel motore della V-Rod c’è un po’ (tanto) di Porsche. In realtà, Zuffenhausen e Milwaukee sono più vicine di quel che si pensi. 1903: nasce la Harley-Davidson, per volere di William Harley e Arthur Davidson, due ragazzi di 20 e 21 anni che si inventano quella che poi diventerà un’icona delle due ruote. 1938: tocca a Ferdinand Porsche creare la 356, la base di partenza per un’altra icona, questa volta a quattro ruote, la 911. Tutto parte da qui, da concetti tecnici che agli appassionati (anzi malati, direi) del marchio paiono inamovibili e che, sedimentandosi anno dopo anno, hanno contribuito a creare due miti a motore. Motore a V di 45° corsa lunga, raffreddamento ad aria, cilindri perfettamente allineati tra loro, carter secco: per l’Harleysta DOC l’Harley è questa e solo questa. Motore boxer posteriore montato a sbalzo, linea a goccia, guida tutta particolare, fari tondi: chi mangia pane e Porsche non riconosce altre caratteristiche che queste. Proprio per questo non rispondere ai “requisiti fondamentali” significa avere vita difficile.

E la vita per chi progetta nuovi modelli, a Zuffenhausen come a Milwaukee, è durissima: occorre innovare ma tenendo un piede ben ancorato alla catena della tradizione. Innovando troppo il rischio è di trovarsi in bilico tra l’incompreso e lo snobbato: non è la vera Harley, non è la vera Porsche. Se guiderete una delle due protagoniste di questo servizio preparatevi a sentirvelo dire, perché c’è sempre stato, c’è e ci sarà sempre chi vive solo di  big twin e 911… Tuttavia, Boxster e V-Rod sono unite anche dal fatto di essere riuscite a “entrare” nella testa degli estremisti: oggi sono accettate finalmente come parte della famiglia. La V-Rod  non è stata un fulmine a ciel sereno: da tempo si parlava di un’Harley raffreddata a liquido ma nessuno si aspettava che fosse così. 2002, il popolo degli Harleysti è scioccato da qualcosa con cui fatica a confrontarsi.
Harley-Davidson V-Rod 10th Anniversary
La V-Rod è una scultura di acciaio e alluminio: lunga, bassa, con un motore a corsa corta. 1130 cc raffreddati a liquido, tutto pare fuorché una Harley, ma esprime alla grande una sportività tutta Made in USA, quella sportività che si consuma 400 metri per volta nelle gare di accelerazione. Il cuore è progettato fuori dall’America, con la consulenza di Porsche; in Germania arrivarono richieste bizzarre, come quella di poter lasciare il motore acceso per un’ora e mezza con una temperatura esterna di 40°, senza surriscaldamenti. Perché? Perché gli Harleysti partecipano ai raduni e durante le parate si viaggia per ore a passo d’uomo. Harley è anche questo. 16 valvole e V di 60°: questo è il primo motore Harley della storia con carter umido (olio nel basamento) progettato apposta per garantire una lubrificazione ottimale anche nelle accelerazioni più prepotenti. E infatti l’Harley accelera di brutto: lunga (l’interasse è di ben 1.715 mm) e bassa, non si impenna ma ti proietta in avanti con la forza dei 115 cv trasmessi dall’immancabile cinghia dentata.
Passa i 220 chilometri all’ora: per gente che non è abituata a guidare oltre le 55 miglia orarie è qualcosa di mai visto.  È stata capita? Non da tutti: la V-Rod è rimasta un po’ ai margini delle vendite ma ha comunque piano piano conquistato un suo mercato, anzi lo ha quasi creato, quello delle power cruiser, a cui  nel tempo si sono aggiunti altri player. Intanto il tempo passa e la V-Rod si evolve: il motore arriva a 1250 cc, il pneumatico posteriore si allarga fino a toccare i 240 mm di sezione (la prima aveva un 180/55), nascono varie versioni, la famiglia si allarga e senza che nemmeno ce ne accorgiamo arriva il decimo compleanno, che Harley celebra con una versione commemorativa, simile all’originale. Simile perché il metallo c’è ancora tutto ma la finitura spazzolata ha lasciato spazio alla vernice. Ma dopo 10 anni la linea è ancora attuale, la V-Rod non sente il tempo che passa, e non invecchia, come le altre Harley.
Porsche Boxster
Parli di Porsche e ti viene in mente la 911: inutile dirlo, da lì non si scappa. Poche altre volte un marchio è legato all’immagine di un suo modello in modo così netto. Dopo i tentativi falliti di allargare la gamma con le 928-944-924, Porsche parve rassegnarsi a vendere solo la 911. La Boxster è riuscita dove le altre, tutte le altre, avevano fallito: è lo sdoganamento democratico della cavallina di Zuffenhausen. Il progetto parte nel 1991 con la volontà di realizzare un modello di accesso alla gamma Porsche. L’anima Porsche, ossia il motore boxer 6 cilindri 2.5 da 204 cv, resta; il motore, però, non è montato a sbalzo ma in posizione centrale. Rimane il sound, inconfondibile e unico di tutte le “vere” Porsche. Posti disponibili solo e rigorosamente due; il tetto in tela si chiude elettricamente per poi bloccarsi manualmente. Due i vani bagagli, uno anteriore e uno posteriore, così la Boxster si presta anche ad andare in vacanza È l’inizio di un successo commerciale e di una serie di evoluzioni (crescono anche le cubature dei motori fino a 3.2 litri di cilindrata) che portano la Boxster fino ai giorni nostri.
2012: nel decennale della Harley V-Rod – ecco la versione celebrativa 10th Anniversary Edition – la Porsche lancia la nuova Boxster, una sterzata netta dal punto di vista del design. Il progetto della roadster di Zuffenhausen è tutto nuovo: poche evoluzioni e molte rivoluzioni caratterizzano la nuova Boxster. Scocca e carrozzeria sono del tutto inedite, e soprattutto grazie al nuovo design la Boxster 2012 appare più muscolosa e cattiva, insomma più Porsche che mai. I muscoli in più in effetti ci sono e li troviamo nei due nuovi motori entrambi a sei cilindri boxer e più efficienti che in passato, come certificato dal nuovo 2.7 litri da 265 cv che rimpiazza il 2.9 da 255 del modello precedente. Cavalli che diventano 355 nel motore 3.4 litri montato sulla Boxster S. Sono muscoli “asciutti”, comunque, quelli della nuova Boxster, che si annuncia tirata come un centometrista, visto il robusto calo di peso di entrambe le versioni. Immancabile la possibilità di equipaggiare la Boxster con il cambio PDK a sette rapporti in alternativa al classico manuale a sei rapporti. Il PDK è una spesa che vale la pena di fare, perché ripaga con prestazioni migliori in accelerazione (0-100 in 5,7 secondi per la Boxster e 5 per la S) e consumi più bassi.
Il teatro della sfida
La quiete irreale di una mattina di fine luglio è spezzata solo dal vociare leggero dei pochi che ancora trovano refrigerio nel verde fitto del parco di Monza. Sul ruvido cemento di quello che è stato un tracciato incredibile dell’automobilismo mondiale, cammino strisciando le suole delle scarpe per assaggiare la consistenza di una superficie abbandonata al lento e inevitabile logorio del tempo. Dal piano perfettamente orizzontale del rettilineo davanti ai miei occhi si alza, si torce e s’inerpica una lingua chiara di cemento, non di asfalto, che svolta veloce e ripida verso sinistra e sparisce all’orizzonte nelle foglie degli alberi che sporgono appena. E’ la sopraelevata. Quella vera. Quel tratto di pista è un incubo, un sogno, una scarica di adrenalina. I grandi piloti del passato vi si tuffavano, letteralmente. Sguardo deciso, occhi spalancati e acceleratore “tutto giù” contro la base della pedaliera. Il muso delle auto da corsa di allora puntava deciso verso l’alto, dove il guard-rail è piegato in modo naturale verso il basso, verso quel baratro che è la Sopraelevata. Con la Porsche Boxster ne misuro i primi metri, inizialmente dal basso, scoprendo sconnessioni che a passo d’uomo non esistono. Poi punto con decisione verso la vetta. I primi passaggi mi permettono di cogliere i dettagli più emozionanti, e inquietanti; quell’onda di cemento ricorda la cresta di oceano blu che sta per sommergere il surfista, una valanga in caduta libera, la cima di un ottomila che si staglia davanti allo sguardo dell’alpinista estremo. Vincerla è una questione di coraggio e di follia, almeno oggi, nel 2012, dove ogni circuito è progettato prima pensando alla sicurezza e poi, solo poi, allo spettacolo e alla velocità.
La linea gialla ormai sbiadita disegnata sul cemento è visibile appena: divide la superficie curva in due parti. Sotto quel sottile confine puoi controllare i battiti del cuore, sopra devi spingere forte per vincere la forza di gravità che ti ributta il posteriore verso il basso. Dalla consolle centrale seleziono l’opzione con il carattere più crudo e ruvido che possa esprimere il sei cilindri boxer. Spingo sul pulsante della configurazione Sport Plus che regola anche l’assetto delle sospensioni. Giù tutto, lo scarico urla, passo da 0 a 100 km/h in cinque secondi e mezzo, punto deciso una vecchia postazione dei commissari di pista ormai decrepita a 11 metri d’altezza: la Boxster si stabilizza, corre parallela al guard-rail arrugginito e continua ad accelerare, indifferente all’umana richiesta di tornare rapidamente con tutte le ruote in posizione verticale. Le lastre di cemento che coprono la parabolica sono sconnesse, cattive, tirano uppercut decisi alle sospensioni e al telaio, scuotono lo sterzo che rimane saldo sulla traiettoria decisa.  L’adrenalina della foto proibita ad oltre 160 km/h annulla ogni rumore circostante: non sento il vento con la capote aperta, non sento più ruggire il motore, ho un leggero indolenzimento alle mani che hanno stritolato il volante e al ginocchio destro contro il tunnel centrale…
Sessanta gradi. Una V tra i due cilindri più aperta, quella del bicilindrico V-Rod, rispetto alle sorelle classic che si fermano a 45°. Eppure la storia si ripete: la V-Rod è un’Harley che resterà sempre un’Harley. Analogie? Vediamole: la signora di Milwaukee vestita di alluminio festeggia dieci anni e lo fa senza prendere il sopravvento su una gamma che continua ad amare le lunghe strade rettilinee e le curve nel giusto dosaggio. La V-Rod riesce a essere fedele al marchio dal quale attinge la sua identità; curva, ovviamente, ma lo fa meglio quando può correre veloce perché l’interasse – la distanza tra gli assi delle ruote – è di 1.705 mm e l’avancorsa non è meno imponente. Non chiedetele di farlo a bassa velocità, sperando di invertire la marcia in un sol colpo, perché non è previsto nel libretto di istruzioni. Piuttosto toglietevi il gusto di bruciare al semaforo anche la sportiva a quattro cilindri. Aggrapparsi al manubrio è un obbligo, anche se la sella è concepita per non farvi allungare le braccia fino al portatarga. Analogie? Nessuna GT riesce ad andare piano così bene come la Porsche, e poche moto “sportive” riescono ad affrontare le parate come la V-Rod.
Guidare la V-Rod rimane un‘esperienza in perfetto stile Yankee: le pedane sono avanzate, ma preparatevi a consumarle rapidamente sull’asfalto delle prime curve che incontrerete; le leve di freno e frizione non sono regolabili; l’impianto frenante è realizzato dall’italiana Brembo.  Non ci sentiamo di consigliare un giro in due sulla V-Rod benché sia fornita di un sellino minimal e di pedane per il passeggero. La vita di coppia stride con la filosofia di questa moto, che pretende dal suo pilota una simbiosi totale. Costa 18.900 euro.
Motore centrale che determina il carattere della guida, sempre, ogni singolo metro di asfalto che percorre. La Boxster conferma lo spirito delle GT di Porsche: si muove nel dedalo metropolitano con la facilità di una utilitaria, senza la sfacciata arroganza di certe sportive nostrane. Sterzo diretto e comunicativo, comandi precisi, persino inserire la freccia trasmette una sensazione di qualità assoluta. Guidarla è un piacere per i sensi, tutti coinvolti nella guida; dal tatto, alla vista, passando per l’udito che ha un ruolo di privilegio quando sopra i capelli non c’è il filtro del tetto in tela che scompare in meno di dieci secondi. La Boxster, oltre al classico Start&Stop, vanta un dispositivo che a velocità costante regola i giri del motore portandolo al minimo. A gas costante il sei cilindri scende a quota 800 giri mantenendo la spinta al minimo. La più piccola variazione sull’acceleratore fa salire i giri al valore ottimale. La Boxster entra decisa in curva, corre sui binari naturali del telaio, con sospensioni efficienti e un’elettronica a prova di neopatentato. Il motore non è a sbalzo come le 911 ma a Zuffenhausen sono riusciti a iniettare nelle vene della Boxster il carattere delle vere Porsche.
Il muso in curva tende alla leggera deriva, dal motore che scrive le leggi della sua dinamica in ogni momento; sensazione che è parte del carattere di questa vettura e della sua storia. I 265 cavalli del flat-six convincono soprattutto nella configurazione Sport Plus, connessi direttamente al comando dell’acceleratore quando la lancetta del contagiri sorpassa quota 4.500 per proiettarsi fino alla zona rossa, oltre i 7.500. Scelgo di cambiare le marce con la cloche centrale e rinuncio ai comandi simmetrici sulle razze del volante: sono poco intuitivi e si rischia di fare confusione, facendo schizzare la lancetta del contagiri oltre il consentito. Gli innesti del cambio a sette rapporti e della doppia frizione PDK – Porsche Doppelkupplung –  di cui non si discute la velocità, sanno essere morbidi come un cuscino di piume o schioccanti e vibranti come il tronco di un albero squarciato da un fulmine, nella configurazione Sport Plus in cui ogni scalata corrisponde a una doppietta che dà i brividi. Per ultimi i freni a disco autoventilanti dal diametro motociclistico,  i posteriori grandi quasi quanto gli anteriori, scelta inusuale per una GT ma non per una Porsche:  permettono quegli spazi d’arresto che schiacciano il cuore contro lo sterno. Un sogno incredibilmente a portata di mano: 52.757,25 euro.

 

 

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