Adrenalina
Tu da una parte della pista, la moto dall’altra. Silenzio. A separarvi quei 14 metri di asfalto che dovrai attraversare di corsa. Lo ammetto, mi mancava. Mi mancava da pazzi. Le partenze delle gare di endurance hanno un gusto unico e un pathos che nessuna altra partenza riesce ad eguagliare. Mentre sono li, che aspetto l’abbassarsi della bandiera del giudice di gara, davanti agli occhi mi passa tutto il film delle mie gare passate, le partenze, la fatica, le soddisfazioni, le delusioni. Ma non c’è più tempo per pensare. La bandiera del giudice di gara si abbassa, scatto verso la moto, parte la gara.
21 anni fa…
Curioso, proprio 21 anni fa io e Marco Selvetti esordimmo (era l’esordio assoluto) in pista con una gara di endurance a Vallelunga. Anche allora era una moto che i più definivano “improbabile” per la guida in pista ad accompagnarci in questa avventura, una Honda CB500 con cui Honda Italia organizzava un trofeo. 21 anni dopo è sempre Vallelunga e ancora una moto “improbabile” a farci compagnia in questa che, vi confesso, per me è più che una gara. In mezzo anni di gare, tre mondiali Endurance, tante competizioni a tutti i livelli mi hanno insegnato che quando ci sono una pista, un cronometro e una moto, qualsiasi moto, ti prende “quella cosa li” che fai fatica a spiegare ma che chi ha corso in moto conosce benissimo.
Sì, quegli attimi prima della partenza, quel mix di tensione, adrenalina, paura sono la vera droga del racer. Pensi di poterne fare a meno, ma se ce l’hai dentro non ce la fai. E mentre gli anni passano magari cambi moto, ma riviverla ti regala sensazioni uniche. Ecco perché campionati come la Moto Guzzi Fast Endurance European Cuo hanno molto senso, ecco perché ci sono così tanti iscritti (31 equipaggi=62 piloti), quando altri campionati soffrono. Ecco perché questi campionati DEVONO esistere. Perché con lei, con la Guzzi V7 corri ti diverti, guidi tanto e spendi poco e alla fine la regola è sempre una sola: andare più forte degli altri.
Trofeo Moto Guzzi Fast Endurance tutto quello che c’è da sapere
I pregiudizi
Marco e io arriviamo a Vallelunga per quella che nel trofeo si chiama gara lunga (sui circuiti brevi si corrono due gare da un’ora su quelli lunghi una sola gara da un’ora e mezza). Ci arriviamo con uno zainetto pieno di dubbi. Come funzionerà la V7 in pista? E il cardano? E la forcella? Sta moto sarà un cancello… Inevitabile avere un po’ di pregiudizi su una moto che è nata per fare tutt’altro. Ma più che altro i dubbi sono su chi la moto le dovrà guidare. Saremo capaci di interpretare la moto nel migliore dei modi? Perché quando si guidano queste moto la guida veloce non trascende dai fondamentali, bisogna staccare piegare, accelerare. Solo che la cosa principale in questo caso è conoscere bene la moto.
Già, conoscerla bene. Il problema di essere wild card è proprio questo, arrivi il venerdì (tra l’altro in ritardo causa una A1 piena come durante l’esodo di Ferragosto) salti su una moto che non conosci e devi andar forte. E ti confronti con gli altri, i cosiddetti “specialisti” del trofeo che la moto la guidano da un paio di anni e ne conoscono i segreti. Perché ogni moto, anche la più semplice ha i suoi segreti e pretendere di salirci e andar forte è segno di grande presunzione.
In Ritardo
Arriviamo in ritardo come vi dicevo, e per questo motivo il turno che avevamo previsto per me ce lo siamo giocato in coda sulla A1. Non dispero, nemmeno il tempo di parcheggiare che sono già in direzione autodromo supplicando che mi infilino in qualche altro turno disponibile. Quello più sensato è quello in cui sono indicate molto vagamente “moto storiche”; mi danno proprio quello. Peccato che le storiche in questione siano le superbike degli anni 90, così nel turno mi trovo ad avere a che fare con Bimota e Ducati 1098. La differenza di velocità sul dritto è pari a quella che vedi quando sei sulla A1 a 130 e a fianco ti sfreccia il Frecciarossa a 299.
A scuola di Guzzi V7
Quando inizi a guidare una moto nuova niente è più utile che seguire gli altri, carpirne i segreti, prenderne i riferimenti per imparare dove frenare, quando accelerare. Ma se chi c’è in pista con te ha una superbike e tu una Guzzi V7 non è che impari granché. La moto è comunque insospettabilmente guidabile, il motore va piano, per cui qui il tempo lo fai in curva, devi scorrere come se fossi in Moto 3, ma il peso non è da Moto 3 le ruote sono smilze e l’anteriore da 18 non è che sia così reattivo. Però, ancora una volta, la Guzzi V7 conferma che in realtà di mezzi improbabili in pista non ne esistono, basta sistemarli a dovere. E dire che dovrei saperlo, nella mia vita ho corso con quasi tutto dalla Boxer Cup, alla Suzuki Gladius, alla Harley 1200 XR. E con tutte ho scoperto quanto si possa andar forte. Il problema è solo prenderci la mano.
Orecchie basse
Mi pare di aver guidato pure bene, ma non ci vuole poco a farmi abbassare le orecchie. Il mio 2.07 è 6 secondi lontano dal 2.01 della pole dell’anno scorso. Pessimismo e fastidio si impossessano del sottoscritto mentre Marco entra per la sua sessione (questa volta quella giusta) e sfodera subito un 2.05, e questo è un buon segno. Marco non scende in pista da due anni, non fa gare da almeno 10. Eppure con la Guzzi si trova subito bene. La moto non mette in difficoltà, ti aiuta soprattutto se sei inesperto/arrugginito. Ecco perché questo trofeo ha successo, ci possono correre davvero tutti. Ci diamo da fare, dobbiamo capire, imparare. E dobbiamo farlo in fretta. La “lezione” di Vittoriano Guareschi ci serve parecchio. Come tutte le moto anche la V7 ha i suoi piccoli segreti, va “sistemata” con le altezze, con il precarico, con le pressioni, super importanti in questo caso, perché più la sezione degli pneumatici è piccola più la quantità d’aria che ci metti dentro è fondamentale per farle funzionare bene. Qui si lavora sui centesimi di bar: una gomma a 1.65 si comporta diversamente da 1.70 anche perché le termocoperte sono vietate e si entra a gomma fredda (ma basta mezzo giro perché tutto funzioni), per cui va trovata l’alchimia.
La notte porta consiglio
Intanto ci dormiamo sopra. Come sempre accade, la notte porta consiglio resetta il cervello e quando scendi in pista hai già fatto il “click” che serve. Il sabato abbiamo solo una qualifica, ma riaccendere tutta la procedura della gara (le verifiche, la posizione, l’attesa) ti fa salire una carogna pazzesca. Poco importa che tu corra con una Superbike o con un cinquantino, quando entri nel “mood gara” non fa differenza. Gli avversari, amici nel box, sono i nemici in pista e il cronometro è il più nemico di tutti.
Primo turno di qualifica
Decidiamo anche il colore delle fasce, sarò io il blu, il primo a scendere in pista e io quello che partirà per la gara. Finalmente sono in pista con gli altri, le moto tutte uguali, e tra l’altro abbiamo aggiustato un po’ anche l’assetto secondo i suggerimenti di Guareschi. Primo giro 2.04 secondo giro 2.03, non ho fatto niente di diverso, o meglio così mi sembra e sono già 4 secondi più veloce di ieri. Chiudo con un 2.02.8 che fa ben sperare, anche se i primi volano a 2.00 “alto”.
Team omogeneo
Migliora anche Marco, il suo 2.03.8 è ottimo perché significa che siamo un team omogeneo con i tempi il che in gara aiuta sempre. Giro dopo giro prendiamo sempre più confidenza con la moto e ci fidiamo sempre di più delle sue reazioni del grip delle gomme. Con lei più sei gentile più vai forte: il curvone di Vallelunga? Non cavi manco il gas entri in sesta piena e devo dire che nel cambio di direzione nonostante il ruotone anteriore da 18 pollici la V7 si comporta molto meglio di quello che pensassi. E poi velocità, scorrevolezza, una marcia dietro l’altra. La seconda non esiste, si usano solo marce dalla terza in su, la forcella è “delicata” e sulle buche in successione si agita un po’, quindi meglio evitarle soprattutto quelle “croniche” dell’ingresso della esse prima della curva Roma.
Domenica QP2e il tempo…
Domenica mattina, ore 8.30 è il momento della verità. Secondo turno di prove, l’aria è fresca i motori rendono, le gomme… mmm magari serve un giro in più per scaldarle perché qui le termocoperte sono vietate. Ho visto chi va forte (e sono nomi noti) mi piazzo in pit lane e punto alla strategia Marquez, ovvero li seguo anche se questi vanno al cesso… Ovviamente le volpi non diventano agnelli chi è davanti sa come si fa: un giro di riscaldamento e poi mollano, quindi mi lancio da solo, sono io che li tiro (un po’ come Vinales…). Ma oggi mi sento bene, conosco le reazioni della V7: 2.01.026! Ebbene sì quel tempo che sembrava irraggiungibile solo 36 ore prima è incredibilmente arrivato. Secondo più veloce in pista, terzo tempo assoluto della combinata. Siamo messi bene anche perché Marco scende di un altro mezzo secondo nonostante si trovi intruppato in un gruppetto che lo rallenta un po’. In griglia siamo ottavi assoluti, niente male per due “rookie”.
Il tempo è relativo
Quando corri in moto capisci che non è vero che il tempo è assoluto. In realtà è molto relativo. Perché altrimenti non si spiegherebbe come mai il tempo che divide le prove (alle 8.30) dalla gara (alle 17.10) ci sia sembrato un mese. Mentre una volta in gara i 15 minuti del tuo stint sembrino 15 secondi. Interminabile e logorante l’attesa, ma adesso siamo qui, da dove ho iniziato l’articolo. Io da una parte, la moto dall’altra Marco che la regge. Silenzio.
Il problema al primo giro
Quando scende la bandiera solo rumore di stivali, poi quasi all’unisono 31 motori bicilindrici prendono il via. Azzecco una buona partenza, sono già quinto ho i canini affilati so che ce la possiamo giocare, ma il destino ce l’ha con noi, nel cambio di direzione della esse infilo la quarta con troppa enfasi e “giro” letteralmente la leva del cambio il cui leveraggio supera il punto di stop. Leva sparita, panico, non ho manco concluso il primo giro che già devo rientrare. Quello che è uscito dalla mia bocca in quel momento non è replicabile qui a meno di non voler incorrere in una scomunica. Mentre sono nella corsia dei box capisco il problema riabbasso la leva con la mano, il leveraggio torna al suo posto, posso rientrare ma lo scherzetto ci è costato quasi 1 minuto. Quando rientro in pista il gruppo (non i primi, tutto il gruppo) è praticamente già ai Cimini.
Parte la rimonta
Doveva essere una gara in gestione partendo bene e cercando di stare con i migliori, diventa una gara a inseguimento. Ma io i primi due giri sono così sconfortato che guido perfino piano, poi però l’endurance insegna: non è finita fino a che non è finita. Inzia una rimonta quasi furiosa, quando cedo la moto a Marco siamo già in diciannovesima posizione, ogni turno una qualifica, ogni giro al massimo. Non sbagliamo più niente macinando avversari e cronometro e guadagnando anche ai box con cambi perfetti, ogni 15 minuti come da regolamento. La Guzzi adesso è veramente “nostra”, la sentiamo, la gestiamo, ci giochiamo. Al punto che l’ultimo dei miei giri in gara è anche il più veloce, quasi il più veloce in assoluto perché con 2.00.8 abbiamo il secondo giro più veloce della gara.
Traguardo
Sesti, dopo una rimonta che sembrava impossibile e primi degli equipaggi wild card. L’abbraccio liberatorio al parco chiuso scarica tutta l’adrenalina. Sì, solo chi ha corso può capire. E solo chi ha corso l’endurance riesce a comprendere cosa significa partire, soffrire, fermarsi e rimontare. È il bello di questa formula pensata da Moto Guzzi con il Fast Endurance è anche questo. Grazie per averci pensato, grazie per averci ricordato cosa vuole dire correre in moto. Non ci credete? Provatela.