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RED Legends – Suzuki RG500 Gamma

Questa moto rappresenta probabilmente l'apice del momento storico in cui i giapponesi sono "impazziti" e hanno proposto vere moto da GP omologate per strada. Il sound del suo 4 cilindri in quadrato due tempi è diventato leggenda. E ancora oggi non è raro vederne qualcuna in giro seguita dall'immancabile fumo blu e da un "profumo" che ti resta nelle narici. Poteva mancare tra le moto da leggenda di RED?

Su RED Legends non avevamo ancora parlato di nessun gioiello di Hamamatsu. Niente di personale, anzi, la Suzuki ha sfornato fior fior di motociclette capaci di far battere il cuore. Per esempio, abbiamo fatto un gran parlare di Honda RC30, una regina, se non la regina della Superbike anni ’80. Una moto con tanti primati, con tante nobili qualità tecniche e di stile. Meno che una: non è stata la prima superbike moderna in assoluto, perché questo primato spetta probabilmente proprio a una Suzuki: la GSXR750 dell’85.

L’inizio di una dinastia storica che, almeno per quanto mi riguarda, manca enormemente. L’abbiamo detto in diverse occasioni: gli anni ’80 sono stati un decennio spettacolare per gli appassionati di moto. E incredibile a dirsi, la Gixer non era l’unico cavallo di battaglia della casa giapponese, perché nello stesso anno era arrivata lei: la mitica RG500 Gamma. Come e ancor più della sorellona quattro tempi, una vera formidabile moto da corsa con targa e fanali. Un modello epico che certamente arrivò seconda sul mercato dietro alla Yamaha RD500, ma non in quanto a contenuti tecnici e carattere sportivo. Suzuki in quel periodo aveva le competizioni nel sangue. Trovo divertente pensare che, al contrario, agli inizi della sua storia Suzuki non avesse una vera e propria propensione per le corse.

A smuovere le acque, nel 1953 ad Asama, arrivò la prima vittoria di classe di un pilota privato. Ma fu solo nel 1959, in seguito al fortuito incontro durante un viaggio in treno tra niente meno che Soichiro Honda e Shunzo Suzuki, che le cose iniziarono a cambiare radicalmente. In quell’occasione, Soichiro Honda spronò il connazionale a correre le gare in Europa, spiegando come la vetrina del vecchio continente, in particolare del Tourist Trophy, potesse essere un’occasione per aumentare le vendite. Fatto, e tenete presente che parliamo di aziende teoricamente rivali.

Negli anni successivi, per Suzuki le corse assunsero un ruolo determinante e fu in particolare il motore due tempi a giocare un ruolo fondamentale in questa riscossa. Esperienza su questo motore che arrivò anche grazie alla rocambolesca collaborazione con il pilota Ernst Degner, che proveniente dalla tedesca MZ e fuggito dalla Germania Est proprio durante un weekend di gara, portò un grande contributo alla Suzuki e in particolare alle corse nipponiche. Cosa che gli valse una curva del circuito di Suzuka a lui dedicata.

Se negli anni ’60 il terreno di caccia della Suzuki furono soprattutto le piccole cilindrate 50 e 125, dove la casa colse diversi titoli mondiali, bisogna aspettare la fine degli anni ’70 per trovarla stabilmente ai primi posti della 500. Prima Barry Sheene nel ’76 e nel ’77, e poi i nostri Marco Lucchinelli e Franco Uncini nell’81 e nell’82. Soprattutto un totale di sette mondiali costruttori consecutivi dal ’76 all’82. Insomma, niente male se pensiamo alla caratura degli avversari. Anni che, guarda caso, corrispondono all’affermazione del marchio Suzuki anche sui mercati di tutto il mondo. Fu quindi naturale indirettamente celebrare questi risultati con una moto stradale straordinaria. E per tutto il contesto che vi ho raccontato finora, risulta chiaro come per la Suzuki, con il due tempi nel DNA, dovesse essere la RG Gamma più di tutte ad incarnare questo retaggio.

Tante volte piace accostare la moto da corsa a quella stradale, raccontando di mirabolanti somiglianze. Ma in questo caso, con la RG non è per dire. Anche se la vediamo con la sella Bost, con geometrie non particolarmente estreme se confrontate con quelle di oggi, la 500 di Suzuki è realmente una moto da corsa travestita. Esteticamente, come abbiamo detto nello scorso video sulla Yamaha RD500, non parliamo di grandi innovazioni paragonabili a quelle osservate su RC30 e 916. Ma se pensiamo a com’erano le moto anni ’70, beh, è chiaro come il salto in avanti sia comunque evidente. E poi guardiamo i dettagli: la ricerca aerodinamica presentava degli aspetti molto avanzati anche rispetto alla RD500. Per esempio, vedete la sottile presa d’aria sotto il faro?

RED Legends Suzuki RG500 Gamma

Qui siamo ancora ben lontani dagli airbox in pressione, ma sull’RG l’aria in quella zona veniva convogliata e raccolta dentro la scatola filtro che si trovava sotto il serbatoio, tra le travi del telaio. Un concetto particolarmente avanzato per l’epoca. Inoltre, tutte le superfici del cupolino riprendevano quelle della GP, incluse evidentissime quelle nella zona davanti alle manopole. Il serbatoio e le carene laterali somigliano tantissimo a quelli della versione da gara. Il codone, sebbene biposto e non particolarmente inclinato, risulta davvero affascinante con il volume laterale che va ad inglobare i due scarichi e con il fanale posteriore semplice e perfettamente integrato.

Se poi veniva aggiunta la carenatura aggiuntiva, che era opzionale, a coprire la sella biposto, il risultato era davvero impressionante. Anche le finestrelle retate, per dissipare meglio il calore generato dagli scarichi, erano presenti sulla versione da corsa. Quindi, al di là di luci, targa, sella biposto e angoli, la RG Gamma 500 risultava esteticamente molto molto simile alla RGB da gara. E voi potreste dire: “Beh, facile farla uguale alla GP esteticamente, ma il motore?”

E invece, è soprattutto il motore ad essere il vero filo conduttore con la moto da corsa. Il quattro cilindri inquadrato, cioè con due cilindri paralleli davanti e due dietro, risultava essere praticamente lo stesso della moto da GP, tanto che i pistoni e perfino gli ingranaggi della trasmissione primaria erano praticamente gli stessi. I due cilindri anteriori sono posizionati leggermente più in giù, così da poter sfalsare gli alberi motore e avvicinare la coppia posteriore più avanti, permettendo così un interasse più corto, appena 1425 mm. Ogni coppia di cilindri aveva, come detto, il suo albero motore. Questi erano alberi controrotanti tra loro, con un ulteriore controalbero di bilanciamento nel mezzo.

Al contrario di Yamaha, che aveva la missione lamellare, qui per alimentare il motore c’era un bel disco rotante, una soluzione ben più raffinata e prestazionale, presente ovviamente anche sulla GP. Il disco rotante garantiva più potenza e rendeva l’erogazione più dolce. Ma attenzione, non immaginatevi una moto da passeggio. Forse era meno nervosa rispetto a una RD, ma il peso inferiore di quasi 40 kg e qualche cavallo in più rendevano la RG una moto da circo, con l’erogazione tipica del due tempi sportivo: vuoto sotto e cattivissimo in alto.

Dall’impennata facile, terribilmente veloce e piacevole da guidare. 498 cc, 95 cavalli a 9500 giri al minuto, ma che con alcuni accorgimenti, come una modifica al disco rotante, l’adozione di quattro carburatori da 30 invece dei 28 originali, e poi come sempre con quattro scarichi dalle espansioni più spinte, la potenza poteva facilmente arrivare a 120 cavalli su un peso di soli 158 kg a secco. Tenete conto che 95 cavalli era tranquillamente la potenza delle GP di metà anni ’70, mentre in quel 1985 le GP del mondiale avevano circa 140 cavalli. Questo vi dà un’idea del carattere estremo della nostra RG. Carattere sportivo che veniva fuori con grande facilità, motivo per il quale la versione stradale fece spesso il percorso inverso dalla strada alla pista, essendo abbondantemente usata anche da tantissimi piloti privati in diverse categorie, dalle gare in salita alle gare endurance o nei vari trofei.

Arriviamo ora al cambio, l’ennesimo capolavoro di questa moto. Era estraibile, che io sappia un unicum per quei tempi, e poteva contare su sei rapporti perfettamente azionabili da un comando preciso e ben progettato. Con motore e rapportatura standard, sfiorava i 240 all’ora e copriva i 400 m da fermo in poco meno di 12 secondi. Ma numeri a parte, che di per sé sono strabilianti, il bello della Gamma era la sua guida. Il telaio a doppia culla in tubi di alluminio e una ciclistica sofisticata ma relativamente semplice le permettevano di esaltarsi tra le curve, nelle accelerazioni e nelle decelerazioni.

Davanti c’era una forcella da 43 mm, mentre dietro un monoammortizzatore. Per essere una moto degli anni ’80, era frenata bene grazie a due dischi da 260 davanti e al disco singolo da 210. Ma soprattutto, come detto, era il peso ridotto a fare la differenza. Come sempre, il rapporto peso-potenza diventa centrale quando si vuole fare veicoli dinamicamente validi, emozionanti e prestazionali.

La RG500 Gamma è una grande moto, un mito, ma non lo è diventata solo oggi. Non è stata una moto incompresa, rivalutata nel corso degli ultimi 40 anni. Anche nel 1985 si era perfettamente consci della straordinarietà di quello che stava avvenendo. Per carità, anche negli anni successivi arrivarono moto da corsa “stradalizzate”, ma a differenza di queste, la RG era una delle poche, se non l’unica nella storia del motociclismo, ad essere relativamente alla portata di molti motociclisti. Costava circa 10 milioni di lire, vale a dire all’incirca €15.000 di oggi. I prezzi delle moto di oggi li conoscete, non serve infierire.

Va bene che la tecnologia in 40 anni è diventata spaziale, ma con le debite proporzioni, provate a immaginare di avere una MotoGP in stradale a queste cifre. Un grande successo, per questo motivo ne hanno prodotte 10.000 in cinque serie: F la prima, poi G, H, J e K tra l’85 e il ’90, di cui solo 7900 della primissima serie. Le differenze più importanti tra le varie serie riguardano i colori e le grafiche, perché la Gamma è nata buona fin dal principio. Una moto leggendaria che ha fatto la storia e che non ha mai smesso di far battere i cuori degli appassionati. Un battito pungente e leggero come i due tempi della RG Gamma 500. E adesso ne vorrei una.

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