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Rolls-Royce Wraith: grinta in guanti di velluto

È la vettura più potente mai realizzata dalla Casa inglese. Mossa da un V12 6.6 biturbo a iniezione diretta di benzina da 633 cv, abbina prestazioni da sportiva a stile e raffinatezza da ammiraglia. Il padiglione? Intarsiato da un cielo stellato (in fibra ottica)

“Lo Spirito dell’Estasi, che ha scelto il viaggiare sulle strade come piacere supremo, che esprime il proprio appassionato godimento, con le braccia distese e lo sguardo fisso sulla distanza da percorrere…”. Così veniva descritta nel 1911 la caratteristica statuetta che adorna (oggi a scomparsa) il frontale d’ogni Rolls-Royce. Un inno al lusso, all’opulenza, alla raffinatezza e all’abbondanza. Un simbolo che, dopo l’ultima creazione della Casa inglese, andrebbe equipaggiato con un caschetto protettivo!

Wraith, in italiano “spettro”, è la Rolls più potente mai prodotta. Secondo tradizione riprende il nome di uno storico modello realizzato dalla Factory di Derby, in questo caso dal 1938 al 1939, e costituisce l’interpretazione del tema Gran Turismo da parte del brand di proprietà del Gruppo BMW. È mossa da un ciclopico V12 6.6 biturbo a iniezione diretta di benzina in grado di eruttare 633 cv e 81,6 kgm di coppia, spingendo i 2.360 kg della vettura, tutt’altro che una piuma, da 0 a 100 km/h in 4,6”. Un tempo eccezionale, inferiore di 0,3” a quanto fatto registrare dalla sorella Ghost, dotata di uno step meno spinto (571 cv) del medesimo propulsore.

Le prestazioni, però, costituiscono solamente il contorno. Il piatto forte, da tradizione Rolls, sono il lusso, la raffinatezza e il comfort. Quest’ultimo spinto ai massimi livelli; al punto che, grazie all’interazione tra il sistema GPS della vettura e la centralina del cambio automatico ZF a 8 rapporti a convertitore di coppia, l’inserimento dei rapporti viene previsto e anticipato in funzione del percorso affrontato, dello stile di guida nonché della posizione e velocità dell’auto. Wraith vive così di vita propria. La tecnologia predittiva, del resto, è estesa anche alla servoassistenza dello sterzo e alla taratura delle sospensioni pneumatiche.

La scocca è in acciaio e beneficia di ben 6.364 punti di saldatura; realizzata, analogamente a Ghost, con elementi scatolati rivestiti da pannelli, sempre in acciaio, assemblati a mano. Rispetto alla citata “sorella” a 4 porte vanta una carreggiata posteriore più ampia di 2,4 cm e un interasse più corto di 18,3 cm, cui consegue una riduzione della lunghezza complessiva pari a 13,1 cm. Resta, in ogni caso, tutt’altro che brandeggiabile, alla luce dei 5,27 metri d’ingombro. Secondo tradizione lo schema delle sospensioni, a triangoli sovrapposti all’avantreno e multilink al retrotreno, forte di ammortizzatori adattivi e molle pneumatiche.

Uno yacht a quattro ruote. Le portiere si chiudono automaticamente e con la massima delicatezza grazie a un apposito pulsante in abitacolo, i pannelli interni sono rivestiti in radica satinata o pelle, il padiglione è intarsiato da una costellazione di punti luce (ben 1.340) in fibra ottica. Accedere all’abitacolo equivale a evadere dalla realtà entrando in un mondo dorato, ovattato, riservato. Dove la banalità è bandita. Basti pensare, in proposito, al singolare strumento analogico collocato a sinistra del tachimetro. Un contagiri? Scontato. Il consueto strumento per visualizzare il regime di rotazione del motore è sostituito dall’indicatore istantaneo della potenza residua, con valori che vanno da 100 a 0. Quest’ultimo segnalato quando di sfruttano tutti i 633 cv erogati dal V 12 biturbo. Un momento di “follia” in un Eden dei sensi.

 

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