Bei tempi gli anni 80, anni in cui la Fiat poteva permettersi di inventare auto geniali ed essere un po’ meno “follower” di quanto sia attualmente. Era il 1983 quando da una costola della apprezzatissima Panda nacque la Panda 4×4. Dalla sua aveva parecchi record, uno tra tutti: essere la prima piccola auto a motore trasversale ad adottare la trazione integrale. Progettata dalla Steyr Puch, che realizzava tutto il sistema di trazione, freni compresi, aveva una prima cortissima; in condizioni normali si partiva in seconda e la quinta era lunga come la quarta della versione a due ruote motrici.
Negli anni successivi di piccole integrali (giapponesi soprattutto) ne sono arrivate tante, ma il “pandino” 4×4 si è fatto strada a suon di prestazioni. Non quelle velocistiche, naturalmente, visto che faticava a passare i 130 km/heffettivi, ma quelle di autentica arrampicatrice. Motore piccolo (965 cc e 48 cv), peso piuma (solo 740 kg), la Panda 4×4 era capace di andare ovunque, una vera “capra di montagna”, apprezzatissima nelle valli ma anche dal “fighetto” di allora, che magari sceglieva la versione Sisley. Per capire il successo di quest'auto basta visitare una comunità montana e rendersi conto di quante ancora ce ne sono in circolazione, magari un po’ peste e marce di carrozzeria, ma comunque capaci di raggiungere qualsiasi alpeggio e in ogni condizione.
Da allora, e sono passati quasi trent’anni, ogni nuova generazione di Panda ha avuto la sua 4×4: non poteva che accadere lo stesso per la nuova Panda che, dopo aver debuttato al Salone di Francoforte nella sua versione “normale”, ha scelto Parigi per presentarsi in quella più “ruspante”. Che tanto ruspante, in realtà, non è più: i nostalgici del parabrezza piatto come la finestra di casa, dei sedili spartani e del riscaldamento/sbrinamento al minimo sindacale si mettano il cuore in pace, perché la nuova Panda 4×4 è decisamente più raffinata anche rispetto all’ultima versione, pur continuando a mantenere il primato quale unica vettura del segmento A dotata di trazione integrale.
Più lunga e più larga di 3 cm, più alta di 5 (3,68×1,67×1,60 le sue misure), la Panda 4×4 2013 adotta una nuova trazione integrale definita “Torque on-demand”, con due differenziali e un giunto centrale gestito da una centralina. Se sulla prima Panda (quella con la trazione Steyr Puch) era tutto puramente meccanico, qui è l’elettronica a gestire ogni cosa. Nel caso in cui vengano rilevati slittamenti, la centralina regola il giunto centrale inviando trazione a uno dei due assali secondo il bisogno. In più, a dare manforte al classico controllo di stabilità ESC (Electronic Stability Control) arriva anche un sistema battezzato ELD (Electronic Locking Differential) selezionabile per mezzo di un pulsante sul cruscotto e attivo per velocità entro i 50 km/h. L'ELD sfrutta l’impianto frenante per rallentare le ruote in crisi di aderenza, trasferendo potenza a quelle messe meglio in termini di grip. Insomma, l'inarrestabilità del Pandino dovrebbe essere mantenuta anche in questa nuova versione farcita di elettronica.
A livello di telaio l’unica novità è rappresentata dalla sospensione posteriore a ruote interconnesse tramite ponte torcente, specificamente sviluppato per la 4×4. Rispetto alla soluzione a bracci tirati della generazione precedente, Fiat dichiara maggiore leggerezza e miglior comfort di marcia a parità di prestazioni off-road.
Per le motorizzazioni non ci si discosta molto da quanto offre attualmente la Nuova Fiat Panda. Pensionato il 1.2 Fire, anche sotto il cofano della Panda 4×4 2013 arriva il bicilindrico Twin Air 900 da 85 cv, che promette il 40% di coppia in più rispetto al precedente quattro cilindri, senza però – e chi ha provato il Twin Air sa di cosa parliamo – la medesima fluidità. Il cambio è a sei marce, studiato specificamente per la 4×4, con una prima ultracorta a svolgere quasi la funzione della ridotta. Se sceglierete il diesel, invece, sotto il cofano troverete il classico 1.3 Multijet in versione 75 cv. Entrambi i motori sono dotati di sistema Start&Stop, perché le 4×4, alla fine, non finiscono soltanto in mulattiera, ma spesso lavorano anche in città.