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Prova Suzuki GSX-R1000 2012

Niente elettronica, ma con la nuova GSX-R1000 2012 se ne può anche fare a meno. Controllo perfetto del gas, più accelerazione e maneggevolezza. Con questa moto si gode della guida "meccanica" che piace ai puristi...

LIVEElettronica, no grazie. Mentre le Case europee continuano a mostrare i muscoli e a farcire le moto di elettronica, i giapponesi sembrano aver preso una pausa di riflessione in attesa di tempi migliori, quando magari le sportive torneranno a fare numeri. In realtà non è proprio così: i giapponesi sono più riflessivi ma questo non vuol dire che non evolvano i loro prodotti.Come? Lavorando di fino e sulle cose che contano. A prima vista la Suzuki è la fotocopia di se stessa: ad Hamamatsu tendono a essere molto conservatori con il design, ma così facendo hanno creato un classico. Se andiamo a osservare le evoluzioni delle supersportive giapponesi possiamo notare cambiamenti stilistici. Per Suzuki, invece, la K5 ha rappresentato il punto di svolta e da quella versione in poi le evoluzioni che si sono susseguite hanno sempre mantenuto un filo diretto con la prima moto. Un family feeling che se per certi versi può sembrare immobilismo, da un altro punto di vista rende la moto sempre riconoscibile. La GSX-R la riconosci subito. Azzardando, possiamo dire che è un po’ come la Porsche 911, auto che cambia di continuo ma nel design è sempre, inconfondibilmente, una 911.Comunque la nuova Suzuki GSX-R1000 2012 si distingue a prima vista dalla moto precedente per due particolari: lo scarico con un solo silenziatore, che finalmente torna ad avere misure “umane”, e le pinze radiali Brembo monoblocco abbinati a una pompa Nissin. Altre modifiche meno visibili riguardano i dischi più sottili (da 5,5 a 5 mm) e il perno ruota con dado in alluminio. Interventi piccoli ma che puntano a togliere peso nelle zone “delicate” delle masse non sospese. Alla fine la bilancia segnala un calo di 2 kg: siamo a 203 con tutti i liquidi tranne la benzina nel serbatoio.Il quattro cilindri in linea conferma le misure vitali di 74,5x 57,3 mm: Suzuki, quindi, non insegue gli alesaggi esagerati delle concorrenti (si arriva agli 80 mm della BMW) ma resta fedele a un rapporto alesaggio/corsa che ormai rende questo motore, pur superquadro, quasi un “corsa lunga”. Ciò fa sì che il carattere del motore Suzuki sia differente da quello degli altri quattro in linea.Come ormai prassi per le evoluzioni motoristiche attuali, cresce il rapporto di compressione (da 12,8:1 a 12,9:1), mentre cambiano i pistoni, derivati da quelli della GSV-R della MotoGP e alleggeriti (-11%); i cilindri adottano fori alla base più ampi a sezione pentagonale. Sono nuovi anche gli alberi a camme, con una fasatura che vuole migliorare il riempimento dei cilindri.Parlando di numeri, la potenza massima dichiarata non cambia, però ora i 185 cv arrivano 500 giri prima, ossia a 11.500. Nemmeno il picco massimo di coppia è cambiato (117 Nm a 10.000 giri) ma in compenso i miglioramenti sono arrivati nei transitori, ai medi regimi, dove la nuova GSX-R1000 2012, curve alla mano, si dimostra più consistente della moto precedente. Resta invariato anche il sistema Suzuki delle tre mappature motore (A full power, B intermedia, C potenza limitata a 100 cv), azionabili “al volo” con un pulsante al manubrio.Per quel che riguarda la ciclistica non ci sono evoluzioni epocali: la GSX-R1000 2012 conferma misure da pin-up, alla ricerca della massima agilità: l’inclinazione del cannotto di sterzo è di 23,5°, l’avancorsa di 98 mm e l’interasse, il più ridotto della categoria,  fa segnare soltanto 1.405 mm, roba da 600. La forcella è la Showa BPF di cui la GSX-R1000 è stata pioniera, ma a cambiare leggermente è la distribuzione dei pesi, con un carico che cresce dell’1% sull’avantreno non solo a causa dello scarico più leggero ma anche perché la forcella stessa è 7 mm più corta e ha una escursione accorciata di 5 mm.Parlamo di prezzi? Parliamone, ma facciamo in fretta visto che dal lancio (previsto nei prossimi giorni) e fino al 31 marzo la GSX-R1000 2012 costerà 13.500 euro. Dopo quella data il prezzo salirà a 15.100 euro. Se la moto vi piace, quindi, è meglio fare in fretta.RIDEHo un ricordo: 24 Ore di Oschersleben, quando dopo due anni passati a correre il mondiale endurance con la GSX-R K6 il team aveva cambiato marca. La nuova moto aveva più potenza della Suzuki ma io a Oschersleben le Suzuki le odiavo. Perché? Perché Oschersleben è un circuito molto tortuoso e con molte ripartenze e rettilinei corti: a ogni accelerazione in uscita di curva i piloti in sella alle Suzuki mi prendevano qualche metro. Insomma, avevo più cavalli ma non dove mi servivano veramente, quindi facevo fatica a sorpassare. Ecco, in questo aneddoto è raccontata l’essenza del motore Suzuki: non ha potenza massima straripante, non ha numeri che fanno marketing, ma spinge dove serve e soprattutto consente di gestire la moto come poche altre.O almeno la GSX-R era così, perché le ultime evoluzioni della maxi sportiva di Hamamatsu avevano un po’ perso per strada il carattere che aveva permesso alla K5 di fare il salto in avanti e di restare competitiva per parecchi anni. Bene, con la 2012 posso dire che Suzuki è tornata al passato, l’anima della K5 rivive nella nuova L2  – i codici Suzuki indicano con la lettera il decennio e con il numero l’anno di uscita,  quindi K5 anno 2005 L2 anno 2012 -, perché, senza darlo troppo a vedere, in Suzuki hanno migliorato la moto più di quello che avremmo potuto aspettarci semplicemente scorrendo le fredde cifre della scheda tecnica.I kg in meno sono solo due, vero, ma guidandola sembrano molti meno: la moto si è snellita, velocizzata, ha migliorato l’avantreno (anche se tutte le moto con la Showa BPF, semplicemente fantastica in frenata, mantengono sempre una larvata tendenza ad allargare la traiettoria una volta che si rilasciano i freni) è reattiva nei cambi di direzione, ma soprattutto ha guadagnato cattiveria ai medi e mantenuto quella gran bella gestione della potenza.Lo ammetto: pensavo di scendere dalla GSX-R sicuramente soddisfatto, ma poco appagato, poco “gasato”, come talvolta mi è successo provando le ultime hypersport made in Japan. Invece è accaduto l’esatto contrario. Non ci è voluto molto per capire che il carattere della moto era cambiato. Tra le Jap con motore tradizionale (escludiamo la R1 a scoppi irregolari, quindi) la GSX-R1000 è quella che mantiene una personalità percepibile non solo alla guida ma anche con l’orecchio.Bello il rumore del nuovo scarico, bello il ringhio di aspirazione, con le quattro bocche dei corpi farfallati che “raschiano” sotto al mento, ma, soprattutto, bello il rapporto diretto che c’è tra la manopola dell’acceleratore e la ruota posteriore. La gestione del gas su questa moto rasenta la perfezione: la GSX-R ha una gran trazione e in più, com’era già accaduto in passato, riesce a servirti tutta la sua esuberanza su un piatto d’argento, a comunicarti sempre con grande precisione ciò che accade nell’interfaccia pneumatico/asfalto, consentendoti di gestire i cavalli perfettamente. E tutto questo lo fa senza elettronica.Le ripartenze sono il suo forte, in particolare quelle dalle curve lente, dove puoi permetterti di scendere a 5.000 giri o giù di lì e di uscire veloce dalla curva, senza aspettare che il contagiri salga nelle zone “calde”. È questo che distingue la Suzuki dalle altre sportive: la “schiena” del suo motore, che spinge dai bassi e poi prosegue lineare e pulito fino alla zona rossa.Piuttosto, se una cosa manca a questo motore è la rabbia degli ultimi mille giri dei motori più “superquadri”, quella che ti offre l’ultimo colpo di reni prima di sbattere contro il limitatore. In realtà l’allungo non manca (limitatore a 13.500 reali, 14.000 indicati) ma una volta superati i 13.000, regime a cui conviene cambiare, la spinta si stempera un po’.Per cui se quando c’è da tenere la marcia tra una curva e l’altro sull’allungo del quattro cilindri Suzuki si può contare, non è questo che fa la differenza quando si tratta di potenza pura in fondo a un rettilineo. Certo è che definire lenta la Suzuki GSX-R1000 2012 appare un eufemismo. 960 metri è la lunghezza del rettilineo di Monteblanco: ci si arriva da una curvetta da seconda marcia, ripartendo da circa 90 km all’ora. Togli altri 200 metri che sono quelli a cui inizia la staccata (se non si vuole finire a Siviglia…) e ne restano 760 sufficienti alla GSX-R1000 per toccare i 280 all’ora di tachimetro in quinta, 264 veri da GPS.Il cambio non mi fa impazzire, soprattutto se confrontato con quelli, eccellenti, che di solito caratterizzano le Suzuki sportive. L’escursione alla leva è corta e la cambiata è anche rapida.  Ma quando il cambio è sotto stress richiede di chiudere parecchio il gas perché a volte tende a impuntarsi, e questo rende la manovra più lenta di quanto potrebbe essere. In questo caso si avverte l’assenza di un quickshifter, accessorio di uso ormai comune tra le maxi sportive europee ma che i giapponesi continuano a ignorare.Migliorata, invece, la frenata, che grazie all’arrivo delle pinze Brembo si è fatta più potente e gestibile: resta però una certa spugnosità della leva (che detto tra noi nemmeno mi dispiace, personalmente preferisco impianti “morbidi” che troppo “secchi”) e la tendenza ad allungare la corsa dopo 5-6 giri realmente tirati. Va detto che il Monteblanco è un circuito stressante per i freni e che comunque, una volta assestato, l’impianto resta costante nelle prestazioni. La soluzione è di partire con la leva di una tacca più lontana rispetto a quello che ci piace, per arrivare poi ad avere la distanza corretta. Anche in questo caso un piccolo consiglio agli ingegneri della Suzuki mi sento di darlo. La prossima volta anziché solo le pinze Brembo, sulla GSX-R metteteci anche la pompa…

 

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