Super Duke contro super Duke. In mezzo otto anni di sviluppo ininterrotto, otto anni in cui a Mattighofen hanno corso a perdifiato creando, sviluppando, perseguendo cocciuti il loro credo “Ready to race” anche quando su alcuni modelli non era necessario. Otto anni in cui, soprattutto, chi ha lavorato su queste moto si è divertito a farle. Divertito a farle e a guidarle. C’è una cosa che noto ogni volta che partecipo al lancio di una nuova moto KTM, una cosa che difficilmente noto in altri casi: è l’entusiasmo quasi infantile di chi la moto l’ha disegnata, progettata, costruita. Li vedi, gli arancioni, e ne percepisci non solo l’orgoglio di averlo costruito, ma anche la voglia di giocare con il loro giocattolo. Come un bambino che ti mostra con gli occhi che brillano la costruzione Lego che ha appena realizzato con le sue mani e poi corre nella sua stanzetta a giocarci.Non so se questo sia sufficiente a raggiungere un successo commerciale come quello di KTM: sicuramente serve molto altro ma l’entusiasmo di sicuro aiuta. Io c’ero al lancio della prima Super Duke, Fuerteventura 2005. Negli occhi di chi l’aveva costruita leggevo lo stesso orgoglio di oggi ma nessuno dei giornalisti presenti prese troppo sul serio le dichiarazioni enfatiche degli uomini in arancione: “Entro pochi anni vogliamo diventare il primo marchio motociclistico europeo” . Le reazioni sono state tra l’ilare e l’incredulo: come avrebbero potuto arrivare a quel risultato loro che costruivano solo moto da fuoristrada e stavano mettendo in quel momento il piedino sull’asfalto? 7 anni dopo KTM ha mantenuto la promessa, producendo e vendendo nel mondo oltre 110.000 moto e mettendo a segno uno storico sorpasso su BMW Motorrad.Credo che le due Super Duke rappresentino al meglio l’evoluzione della specie arancione nel corso degli anni. Quella che provammo nel 2005 era la prima vera moto stradale di grossa cilindrata KTM, perché prima anche le moto da asfalto di Mattighofen erano enduro o motard. La 990 Super Duke invece no: nasceva da una costola della 990 Adventure (telaio, motore e forcellone erano i medesimi) ma non aveva nulla a che fare con il fuoristrada, nemmeno un richiamino. Fu anche la prima KTM ad adottare l’alimentazione a iniezione elettronica.Ai tempi era la KTM tecnologicamente più evoluta. Ma quello che ci si parava davanti era un prodotto ancora ampiamente da sgrezzare dal punto di vista delle finiture. Il retaggio fuoristradistico era reso evidente dal fatto che si badava alla sostanza più che all’apparenza: telaio, motore, sospensioni erano al top, il resto si perdeva in plastiche un po’ semplici, nel cruscotto spartano fissato con viti autofilettanti, in qualche cavo sparso. E il design era affilato, tagliente. Ritrovarla oggi a fianco della nuova super Duke fa un certo effetto: la mano del gruppo di designer che lavorano all’ombra di Kiska è evidente, la continuità del design pure, con il serbatoio che ha l’identico taglio. Ma i passi avanti su dotazione e finiture sono mostruosi. Gli austriaci sono sempre stati piuttosto pragmatici: per loro se una cosa funziona bene non deve per forza essere anche bella, la funzione prima dell’apparenza era un mantra, ma oggi non è più così è la 1290 lo dimostra con finiture all’altezza e tante attenzioni al dettaglio che prima non c’erano.Ma il tempo trascorso va oltre queste considerazioni: è guidando le moto che capisci la strada percorsa da ingegneri e tester KTM. Per me risalire sulla prima 990 (peraltro equipaggiata con pneumatici dell’epoca, le Metzeler Sportec M3) è stato un bellissimo flashback. Le misure estreme, la sella altissima, il motore cattivo e iper reattivo alla minima apertura del gas, sono sensazioni che ricordo molto bene. La logica conseguenza di queste scelte tecniche radicali era, è, una guida tanto estrema quanto esaltante. Ancora oggi la 990 è in grado di regalare sensazioni forti a chi la guida, ed è capace di gestirla: è agilissima, rigida di telaio e sospensioni (che infatti quando correvo scaricavo sempre) con un impianto frenante anteriore brusco (aveva le prime pinze Brembo a 4 pastiglie) e con una risposta al gas che rende la manopola destra più un grilletto che un acceleratore. Marco Fierro, nostro ospite in questo test nonché proprietario della 990 non ha dubbi: “è la moto più divertente che abbia mai guidato, ma ti tiene sempre sul chi vive, devi sempre darle del lei”.Vero: ancora oggi salendoci trovi un avantreno sveltissimo ma altrettanto leggero, che ti chiede di fidarti perché la sensazione è sempre quella che la gomma anteriore abbia una impronta a terra di un millimetro quadrato, e invece l’avantreno sta lì. Reattiva in ogni frangente, la Super Duke 990 istiga al teppismo e odia andare piano. Il traffico le va stretto così come i bassi regimi, ostili a questa configurazione del V2 (poi con le successive versioni dell’ LC8 la situazione è migliorata), che fatica a tenere la sesta a meno di settanta all’ora. Nel corso degli anni la 990 è stata evoluta senza mai essere stravolta e mantenendo quindi le sua caratteristiche intrinseche ben presenti.La 1290 volta pagina, anzi cambia proprio capitolo, ma una cosa è rimasta invariata: è il DNA della prima Super Duke, che ritroviamo intatto nella nuova maxi di Mattighofen. Basta salirci per capire che il tempo non è assolutamente passato invano: alta e caricata sul davanti la 990, sella bassa più comoda con e una posizione più rilassata per la 1290, che a dispetto della potenza mostruosa risulta ben più facile da condurre della 990. Merito dell’elettronica? Certamente sì ma non solo, perché “sotto” la 1290 Super Duke c’è una base sana, un motore incredibile per quanto va forte ed è trattabile, una ciclistica che resta amante della guida sportiva (o sportivissima) ma con un occhio alla guida di tutti i giorni. Questa è la differenza maggiore, è qui che si capisce quanto tempo è passato, scendere dalla 990 e salire sulla 1290 significa attraversare un’era.La posizione di guida è più comoda, la sella più bassa, si tocca meglio con i piedi a terra. L’abitabilità è nettamente superiore e le sospensioni lavorano anche su strada. Lo spirito, però, è rimasto intatto; il gas lo gestisci alla grande, è vero, con la 1290 puoi fare la parata sul lungomare senza problemi, ma la capacità innata dei motori KTM di prendere i giri molto in fretta non è cambiata. Accelera e partirai come una palla di cannone! Il carattere, l’anima, non sono cambiati, ma il bello della 1290 è la sua capacità di darti ciò che vuoi nel momento esatto in cui lo vuoi, non prima, non dopo.La 1290 non è cresciuta solo di cilindrata ma anche di dimensioni: più lungo l’interasse, crescono le quote. Il risultato è una moto più abitabile, più precisa a mantenere la traiettoria con un avantreno che infonde una confidenza esagerata, ma sorprendentemente non meno agile di quello della 990. E la maggiore lunghezza della moto non si sente.Anzi, durante la nostra prova la 1290 scendeva in piega ancora più facilmente e rapidamente della 990, che a dispetto dell’avantreno leggero andava tirata giù nella seconda parte della piega. Il merito è anche del continuo sviluppo riservato agli pneumatici, perché otto anni di profili e mescole aiutano non poco. E poi c’è la facilità di guida: quello che con la 990 facevi stando all’erta, con la 1290 lo fai con una mano sola e non è solo per la sicurezza psicologica che ti offre una elettronica meravigliosamente a punto, è tutto un insieme di motore, telaio, sospensioni e controlli. Ora abbiamo per le mani più prestazioni, più usabilità e più sicurezza. Ma non c’è discontinuità con il passato. No, lo spirito Duke non è venuto meno ma tutto il resto è eccezionalmente migliore, al punto che Marco dopo averla provata se ne è andato con una grossa pulce nell’orecchio “adesso mi sa che devo trovare i soldi per comprarla…” Ci vediamo tra otto anni.