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L’Isola di Man, il TT e un vortice secolare

Scrivere un articolo sul Tourist Trophy e parlare della gara motociclistica più famosa e colta al mondo è una vera impresa. Il solo acronimo, TT, pronunciato con un filo di voce, evoca emozioni, ricordi, suoni, immagini e una scarica di adrenalina pura, da togliere il fiato. Le storie e gli aneddoti si rincorrono a centinaia, si intrecciano creando un filo conduttore che anima questo evento dal 1907. Più di cento anni di storia. Mancano davvero le parole per dare una struttura valida e sensata ad uno scritto. Da dove partire…

Il Tourist Trophy è la vera punta di diamante delle corse su strada, il pinnacle delle road races, come si dice in questi casi. Le altre gare internazionali, come la NorthWest 200, l’Ulster GP e Macao sono eventi memorabili, splendidi per svariate ragioni, ognuno affascinante a modo suo. E poi ci sono le piccole nationals irlandesi: Armoy, Mid-Antrim, Tandragee, Skerries e decine di altre gare tutt’ora in calendario o perse nel corso degli anni, gare capaci di emozionare e divertire. In questo universo delle corse su strada, però, il Tourist Trophy si erge ad icona assoluta, fatica ultima del pilota lungo le 37,73 miglia del tracciato stradale più pericoloso al mondo. 221 curve da togliere il fiato, ognuna con le sue peculiarità, ognuna con il suo nome, la sua storia e i suoi pericoli. Il Tourist Trophy, dal punto di vista prettamente motociclistico, è questo. 

TT-01Quello che tuttavia rende difficile descrivere l’evento del TT è ciò che gli gravita attorno e che al tempo stesso ne costituisce la linfa vitale. L’Isola di Man in primis. Ellan Vannin, per dirla in Manx Gaelico, è una piccola isoletta con poco più di ottantamila anime spruzzata nel Mare d’Irlanda, tanto equidistante dall’Inghilterra quanto dall’Irlanda stessa. L’Isola, che per due settimane all’anno, da fine maggio a inizio giugno, ospita il Tourist Trophy, è una perla dal fascino indescrivibile. Cattura il visitatore, colpisce il motociclista, ma solo chi l’ha vissuta veramente nei suoi giorni tranquilli e sereni delle settimane extra TT sa coglierne e assaporarne le sfaccettature. Ed è proprio la pacatezza e l’atmosfera dell’Isola di Man, dei suoi luoghi e dei suoi affabili abitanti, a rendere il Tourist Trophy un evento unico al mondo. Ecco, ciò che regge il fascino del TT è l’Isola di Man, la sua storia, le tradizioni, la cultura, il fatto stesso di essere un’isola, come una sorta di scappatoia dal mondo esterno.

Ellan Vannin è la cornice, il Tourist Trophy ne è il quadro memorabile. L’Isola di Man è un luogo unico, un posto mistico sotto certi punti di vista: le sue bellezze archeologiche, segni indelebili di un passato importante, le scogliere, l’architettura e la sua affascinante lingua nativa la rendono un’isola che merita ben più di una singola visita. Ciò che colpisce a fondo è la semplicità con la quale gli elementi elencati sopra si fondono in un tutt’uno indissolubile, amalgamandosi perfettamente, poi, con l’evento motociclistico per eccellenza, il Tourist Trophy. Radici celtiche si intrecciano con l’odore di benzina e gomme in quelle due settimane di fine primavera, quando le barriere temporali sembrano sgretolarsi e le gesta di vecchi miti vengono cantate nuovamente nei pub, nei marquee e nel paddock; quando le imprese lungo il Mountain dei vari Guthrie, Hailwood, Hislop, Dunlop e Jefferies vengono raccontate a memoria e si mischiano alle leggende dell’Isola. Quando le urla dei motori si insinuano tra i boschi e le vallate, sfrecciando verso curve, rettilinei e sezioni dai nomi altisonanti, quasi epici, direi: Cronk-y-Voddy, Glen Mooar, Barregarrow, Ballacraine, Creg-ny-Baa, Gob-ny-Geay. Motociclismo e Isola sono un tutt’uno, la fusione della cornice con il quadro è perfetta.

Ricordo bene una giornata di luglio a Castletown, nel sud dell’Isola di Man, quando un anziano mi pronunciava i nomi più rappresentativi del Tourist Trophy in lingua Manx, con una sonorità affascinante, diversa e sicura. Per me, appassionato di road races sull’Isola per studiare e fare ricerche sulla lingua celtica Manx è stato un momento mistico, di trance. Attorno a noi gli addetti smontavano ciò che rimaneva delle barriere posizionate per la Southern 100, finita pochi giorni prima; l’asfalto caldo presentava ancora i segni delle ‘staccate’ a Castletown Corner e io, nel cuore dell’Isola motociclistica per eccellenza, ascoltavo incredulo quei nomi scanditi con reverenza: B’garrow, diceva l’anziano. La bellezza del TT sta proprio nella sua capacità di unire, di amalgamare: giovani, vecchi, uomini e donne, piloti e spettatori, tutti sullo stesso piano, tutti protagonisti di un evento irripetibile.

TT-13Il fascino unico del Tourist Trophy, poi, risiede nella sua Storia e nelle storie che sono state scritte dal 1907, leggende che ormai sono parte integrante delle tradizioni di Ellan Vannin, ponendosi in continuità con quelle storiche ‘dei libri’. Hailwood affianca il re Godred Crovan, le imprese di Joey Dunlop sono tessute al pari di quelle del rivoluzionario Illiam Dhone. E questo i piloti odierni lo sanno perfettamente, consapevoli di essere in un luogo unico e di poter scrivere, ogni prima settimana di giugno, una nuova pagina di storia motociclistica. Per questo motivo la luce negli occhi dei più blasonati McGuinness, Martin, Dunlop, Donald, Hutchinson e Anstey è la stessa di chi al TT parte con il numero 50 o più. Solo pronunciare l’acronimo TT accende in loro la voglia, la smania di affrontare il circuito, desiderio e paura nella loro essenza più pura. La reverenza nei confronti dello Snaefell, il Mountain dell’Isola, è assoluta da parte di tutti e la consapevolezza del rischio, altrettanto. Davanti ai sessanta chilometri del Mountain Course tutti i piloti sono uguali, primi ed ultimi, perché tutti hanno il coraggio, ma soprattutto la passione di voler ‘picchiare’ tutte le marce fiondandosi lungo Bray Hill, fremere di tensione all’approccio di Ballagarey, far gridare i propri motori nei boschi di Glen Helen, sfiorare i muri di Handley’s Corner, gettarsi nel tratto tortuoso di Ginger Hall e scalare il Mountain, per poi essere nuovamente inghiottiti dalla folla di Douglas.

Non esiste sconfitta sull’Isola di Man, tutti consapevoli, spettatori e piloti, organizzatori e turisti, di aver dato vita per un altro anno al TT. Non c’è scontento o bruciante delusione, tanta è l’adrenalina e l’euforia di aver finito la corsa, così che il sorriso del primo classificato nel parco chiuso è quello del numero 50 o più che sta piegando, entusiasta, verso Windy Corner, fiero di portare a termine il suo personale Tourist Trophy. La pericolosità innata nel TT, solamente affievolita nel corso dei decenni grazie a misure di sicurezza più importanti, è, nel bene o nel male, una componente chiave dell’evento, rendendolo proprio per questo motivo così rincorso e così affascinante. Il TT è festa, è tradizione, è cultura. Ma è anche una lepre che attraversa la strada a Ballacobb lasciandoti menomato, se non peggio, come testimonia il sidecarista Nick Crowe, ancora detentore del record sul giro nella categoria sidecar dal 2007. Prendere o lasciare. Nick ha deciso che il TT è la sua vita e, nonostante le menomazioni, va avanti: impossibilitato a guidare, ha dato vita ad un Team del quale ora è manager. Anche queste sono storie da Tourist Trophy. Anche queste verranno cantate nelle vie di Douglas, Peel o Ramsey tra altri cento anni.

Euforia e disperazione si fondono nelle due settimane del Tourist Trophy all’Isola di Man, adrenalina e paura in un cerchio che ricorda la trinacria stessa, simbolo iconico dell’Isola. Picchi massimi di gioia e di sofferenza, il tutto in un vortice secolare. Migliaia di persone estasiate ed esultanti si intrecciano con i piloti più professionali. Il suono sordo dei limitatori nella corsia box si fonde con gli applausi scroscianti. Piccoli scout provvedono alla realizzazione della classifica dei tempi sulla lavagna storica di Glencrutchery Road, mentre un fiume di dita incrociate invade il circuito nei momenti topici, con il fiato sospeso. Tutto questo, condensato ora in qualche centinaia di parole, viene vissuto ogni anno in due settimane. Tutte queste emozioni, a loro volta, condensate in due sole settimane. Roba da far venire la pelle d’oca. Due settimane che potrebbero sembrare ‘da pazzi’, ma che sono invece di una lucidità sopraffina ed estrema, la sola capace di reggere un secolo e più di storia. La stessa lucidità con la quale l’anziano di Castletown, come una vecchia quercia o una Matchless degli anni Sessanta, pronunciava: B’garrow, B’garrow.

 

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