Al cuor non si comanda, nemmeno a quello dei Tifosi (così sono universalmente conosciuti i fan della Ferrari), e Jean Alesi ne è la dimostrazione vivente. In cinque stagioni in rosso, l’ex pilota francese di origini siciliane ha colto una sola vittoria. Si ferma a uno anche il conteggio delle pole position con il Cavallino (cui ne aggiungerà un’altra al volante della Benetton). La statistica non è dalla sua parte, insomma, anche se gli va riconosciuta l’attenuante di aver guidato tre fra le monoposto peggiori della storia Ferrari: quelle del 1991, del 1992 e del 1993.
In amore, la passione conta più dei numeri
Eppure, Jean è e resterà per sempre nel cuore degli appassionati. Più di alcuni colleghi che non solo hanno vinto più gare (Alain Prost, per esempio), ma hanno portato a casa anche la “roba grossa”, il titolo mondiale (Jody Scheckter). Il motivo? Ben più di uno. Lo stile di guida sempre al limite, soprattutto col posteriore dell’auto.

Picture by John Townsend
Il carattere, a dir poco passionale e incendiario. La sfortuna, anche, perché Jean ne ha avuto parecchia in carriera, soprattutto sotto forma di guasti che l’hanno privato della gioia quando si stava giocando la vittoria. E poi l’amore viscerale per la Ferrari, sempre dichiarato apertamente anche dopo l’addio. Jean uno di noi, insomma, anche negli eccessi. Come quello che ha raccontato a Tom Clarkson per F1 Beyond the Grid.
5 anni di divertimento con Berger
1993, 1994, 1995 in Ferrari, 1996 e 1997 in Benetton: tanto è durata la convivenza tra Alesi e Berger nella stessa squadra. “Cinque anni di divertimento vero e un’amicizia che dura ancora oggi con Gerhard. Un ragazzo estremamente intelligente e molto più abile nella “politica” di quanto si potesse pensare.

Certo, gli è sempre piaciuto godersi i piaceri della vita, era un sex maniac (testuali parole…), ma sapeva benissimo come muoversi nel mondo della Formula 1 ed era estremamente professionale (oltre che ideatore e autore di scherzi memorabili ai suoi compagni di squadra e boss, fra cui Ayrton Senna e Ron Dennis, ndr)”.
La rabbia di Todt per la macchina ribaltata
Questa invece la risposta – dopo grassa risata – alla domanda sull’incidente con l’auto di Jean Todt, il big boss della Scuderia Ferrari. “L’incidente è successo all’80% per colpa mia e al 20% per colpa di Gerhard. Siamo a Maranello e Gerhard deve andare a Fiorano per dei test privati.

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Viene da me e mi chiede di accompagnarlo, ma quando arriviamo in cortile mi chiede: «dov’è la tua auto?». Io non ho l’auto, rispondo; in compenso so benissimo che Jean Todt lascia sempre la sua (una Lancia Y10) con le chiavi dentro. Partiamo e inizio immediatamente a guidare in modo folle per spaventarlo. Lui, per tutta risposta, a ogni curva tira il freno a mano. Dai e dai, proprio davanti all’ingresso della pista, scalo, giro, Gerhard tira la leva e… Boom! Ci cappottiamo. I meccanici, fantastici, vengono subito da noi, si accertano che non ci siamo fatti male e poi coprono l’auto con un telo, per tenere nascosta la cosa ai capi.
La “soffiata” di Berger
“Gerhard corre ai box, si mette tuta e guanti e si prepara per girare e poco dopo arrivano Jean Todt, Luca di Montezemolo e John Barnard. Ed è proprio Barnard che si incuriosisce, chiede ai meccanici cosa sia nascosto sotto al telo, pensando si tratti di un prototipo (anche perché la macchina è talmente distrutta che non ha certamente la forma di una Y10).
I ragazzi ovviamente fanno finta di niente e a quel punto i tre boss, concentrati su altro, vanno verso Gerhard, che sta provando. Ma Gerhard cosa fa? Dice a Todt che io ho avuto un incidente e che forse sono andato in ospedale. Todt, Montezemolo e Barnard, preoccupatissimi, cercano di capire cosa sia successo. E quando realizzano tutto, Jean Todt mi fa passare dei bruttissimi momenti… “