Udite udite, la Brabham ritorna: chi ha qualche capello bianco in testa farà un salto sulla sedia. Dopotutto, si tratta della scuderia fondata nel 1962 dal pilota australiano Jack Brabham: nella sua lunga storia, quattro mondiali piloti (1966-1967-1981-1983) e due costruttori (1966-1967). Perché ne parliamo? Oggi, Brabham annuncia un “nuovo capitolo per uno dei più evocativi brand della storia del motorsport”, con il lancio di Brabham Automotive.Una storia di successoCiò significa, a quanto sembra, che la Scuderia un po’ australiana un po’ britannica rinasca non solo per continuare la tradizione nel motorsport, ma anche per produrre automobili in piccola serie. Un po’ come fa McLaren, per intenderci. Dietro al rilancio, il figlio del fondatore Jack, David Brabham. Poiché buon sangue non mente, anche lui ha all’attivo la partecipazione a diversi campionati F1, dove però ha avuto poca fortuna (non è mai andato a punti). Si è consolato con le gare di durata: ha vinto 24 Ore di Spa (con Nissan) e Daytona, con Jaguar. Senza dimenticare la perla che vale una carriera, il primo posto alla 24 Ore di Le Mans del 2009 al volante della Peugeot 909 HDi FAP, in squadra con Alexander Wurz e Marc Gené.Una storia di m…Scavando nella storia della Brabham è facile trovare un’alternanza di momenti sportivi alti, ad altri piuttosto… rasoterra. Tutto inizia nel 1962, quando un giovane Jack Brabham, già pilota affermato (2 i titoli mondiali vinti con la Cooper dal giovanotto australiano) si mette in testa di voler fare una scuderia, e, non bastasse, pure le auto per correre. Fonda quindi la MRD (Motor Racing Development), destinata però a vita breve. Nel senso che, vista l’assonanza dell’acronimo con la poco elegante parola francese merde – cosa fatta notare, si racconta, proprio da un giornalista francese – Jack cambia la denominazione con il suo cognome. Così, nasce ufficialmente la Brabham.Personaggi specialiIl primo sigillo arriva nel 1966: Jack Brabham vince sia il titolo piloti sia quello costruttori. Tuttavia, le numerose monoposto prodotte dall’estro della scuderia inglese si ricordano non solo per le vittorie, ma anche e soprattutto per la tecnica. Nel 1968, al GP del Belgio, le Brabham sono le prime – insieme alle Ferrari – a montare appendici aerodinamiche. Due anni dopo, ecco comparire sulla BT 34 strani radiatori anteriori, che vengono definiti chele d’aragosta. Nel 1972 diventa proprietario della Brabham un certo Bernie Ecclestone, mentre nel 1974 un giovane Gordon Murray (papà, tra le altre, della McLaren F1) progetta la BT34, che Carlos Reutemann porterà di nuovo alla vittoria.La collaborazione con Alfa RomeoNel 1975, la svolta: addio ai motori Ford Cosworth per dare il benvenuto a quelli Alfa Romeo. Inizia così una proficua collaborazione fra Brabham e il Biscione, che offre inizialmente il V12 disegnato da Carlo Chiti. Murray però non è soddisfatto: accusa Alfa Romeo di fornire motori con dimensioni sempre diverse, difficile ogni volta adattarli alle vetture. Ma le Brabham di quegli anni sono ricordate per altro. Prima di tutto, la ventolona sulla parte posteriore: nelle intenzioni di Murray, voleva aumentare l’effetto suolo (come accadeva alle imprendibili Lotus). In effetti, alla prima sperimentazione, sul circuito di Svezia, Niki Lauda sale sul primo gradino del podio. Ma la ventola non piace agli avversari: in seguito verrà proibita, con l’accusa di scaraventare addosso alle monoposto che seguono qualsiasi oggetto trovato sulla pista.Destinata all’oblioNel 1979 la Brabham ritorna ai motori Cosworth, ma solo nel 1981 rivince il titolo piloti con Nelson Piquet. L’anno dopo inizia la collaborazione tecnica con BMW, che fornisce un 1.500 turbo ma è nel 1983 che la scuderia inglese riconquista il titolo piloti. Poi, più nulla. Il 1986 avrebbe dovuto essere l’anno buono: Gordon Murray disegna una nuova vettura – poi soprannominata sogliola, per la ridotta altezza da terra – con telaio in carbonio e motore BMW riprogettato. Tuttavia né Riccardo Patrese né Elio De Angelis (che perderà la vita durante un test) riescono a vincere, principalmente a causa dei grandi problemi di affidabilità della Brabham BT55. In seguito poco o niente, fino al fallimento datato 1992. Anno in cui la Brabham è riuscita a far correre in F1 anche una donna, l’italiana Giovanna Amati. Il resto (o quasi tutto) è storia d’oggi. Con un nuovo capitolo, tutto da scrivere.