Guelfi e ghibellini, coppiani e bartaliani, angeli e diavoli: è nell’animo umano dividere il bianco e il nero in ogni frangente. Le vie di mezzo, le sfumature, sono spostate, talvolta a forza, in una delle opposte fazioni. Elio De Angelis non era una via di mezzo: lui era il buono per antonomasia, un uomo che aveva il viso e i modi da protagonista di fotoromanzi o commedie sofisticate, le mani delicate da pianista (e forti, da pilota vero) e il carattere educato di chi appare per ciò che è realmente, anziché per la maschera indossata.
Era aristocratico nell’animo, De Angelis: ai motori c’era arrivato per passione sin da giovanissimo, grazie anche a papà Giulio. Per meglio inquadrare l’habitat di Elio, pariolino DOC, il padre era immobiliarista: uno che ha impresso all’offshore il sigillo della potenza economica mischiata alla passione. Giulio De Angelis, negli anni Settanta, correva contro i vari Giorgio Mondadori (editoria), Guido Niccolay (Banca Steinhauslin) o Carlo Bonomi (alta finanza e affari immobiliari). C’era anche un certo Giovanni Agnelli, l’Avvocato: utilizzava barche con motori Maserati, ma diede forfait dopo poco. Papà Giulio no: lui era un vincente nella Classe 1, in pratica il Mondiale di Formula 1 delle barche a motore. Quando Giulio vinceva, Elio cresceva. Molto rapidamente, a dire il vero: a 14 anni, nel 1972, il primo contatto con i kart, e a 17 il titolo europeo che gli schiude le porte della Formula 3 dopo un rapido passaggio in Formula Italia. La prima Chevron la finanzia papà, poi è il giovane Elio a doversi arrangiare alla ricerca di sponsor: operazione evidentemente riuscita, se negli albi d’oro figura come campione italiano nel 1977. Gli avversari di allora, tra i tanti, si chiamano Gabbiani, Ghinzani, Fabi e… Piquet. Già, proprio Nelson: che in quei tempi non disdegnava sporadiche capatine nella Formula 3 tricolore e nell’Europeo.
Ce n’è abbastanza per attirare l’occhio, lungo e sornione, del Drake in persona: nel 1977, il giovanissimo De Angelis ha modo di provare le 312 T2 e T3, senza perdere d’occhio la Formula 3 (dove vince il Gran Premio di Monaco) e la Formula 2, dove gareggia (senza tuttavia grandi risultati) l’anno successivo con il team di Giancarlo Minardi. Con la Ferrari di Formula 1, a Fiorano spesso Elio gira sui tempi di Gilles Villeneuve e Carlos Reutemann, suscitando entusiasmo. Sin troppo: leggenda vuole che una pacca sulle spalle di troppo del papà a Enzo Ferrari costi al promettente figlio un biglietto di sola uscita da Maranello.
Non c’è solo la Ferrari: anche Tyrrell e Brabham sono sulle tracce di De Angelis. Specie la prima scuderia, che gli fa firmare un contratto per il 1978, salvo poi volatilizzarsi: le parti si ritrovano in tribunale e il risarcimento accordato a Elio non basta neppure per le spese legali… I test con la modesta Shadow danno però il via libera al debutto in Formula 1 per il 1979: via libera subordinata al pagamento di 25.000 dollari per Gran Premio, coperti da sponsor più o meno estemporanei. Il debutto vede De Angelis settimo in Brasile, salvo poi inanellare una serie innumerevole di ritiri, fino al Gran Premio degli Stati Uniti-Est. Si corre a Watkins Glen, è il 7 ottobre: la mattina piove, si parte con il tracciato letteralmente inzuppato. De Angelis scala sette posizioni nel primo giro, da ventesimo a tredicesimo: di qui inizia una lunga, inesorabile rimonta che lo porta, dopo una sosta ai box per montare le slick, in zona punti dopo avere sorpassato la ATS di Stuck. Un paio di aiutini della sorte, sotto forma di cambio KO per Scheckter (fino ad allora secondo) e di un’uscita di strada di Daly che lo precedeva, portano De Angelis a chiudere quarto.
I primi punti nel Mondiale di Formula 1 portano il pilota romano con il viso da bravo ragazzo e un’intelligenza tattica da veterano a provare la Lotus: Colin Chapman paga la clausola rescissoria (e in cambio impone a Elio di correre gratis per il 1980) e gli fa siglare un contratto da tre anni. Inizialmente come seconda guida, con Andretti come compagno di squadra. Così, a nemmeno ventidue anni, De Angelis si ritaglia un posto nella Formula 1 che conta.
Il confronto è di quelli impietosi, stando ai numeri: De Angelis è settimo in campionato, Piedone racimola la miseria di un punto prima di spendere l’ultima stagione completa di una grande carriera in Formula 1 all’Alfa Romeo. In realtà, la Lotus è una squadra in crisi, di idee e di liquidità: la 80 e la successiva 81 non reggono il passo della concorrenza, ma – al secondo appuntamento in stagione – De Angelis arpiona il primo podio della propria carriera in Formula 1. E tanto basta per iniziare con i galloni di caposquadra il 1981, a fianco di Nigel Mansell. E’ l’anno del quinto posto più vicino alla vetta di tutta la storia, con Villeneuve che al Jarama tiene dietro un trenino chiuso dalla Lotus di Elio, ma anche della geniale 88 a doppio telaio: dove gli altri sfruttano una lacuna regolamentare inventando il correttore d’assetto per rialzare la monoposto in sede di verifiche, l’intuito di Chapman sfruttava un telaio interno, contenente l’abitacolo e ammortizzato, per il quale il secondo era elemento funzionale e completamente demandato a creare deportanza. Il risultato pratico? Il veto delle altre scuderie al debutto in gara (il secondo telaio viene poi considerato dalla FISA una superficie aerodinamica mobile) e una versione riveduta e corretta, la 88B, che non viene ammessa neppure alle prove.
Arriva così il 1982: è Zeltweg a salutare la prima vittoria di De Angelis, in testa a cinque giri dal termine dopo una rottura meccanica alla Renault di Prost. Per la prima volta in carriera al comando e capace di sbagliare una cambiata quando al termine manca sì e no un giro: con Rosberg negli scarichi, Elio si esibisce in una guida che riporta alla memoria imprese epiche. Non quelle di Nuvolari, tutto cuore e sudore, quanto quelle di Varzi, un esteta della guida. Si difende senza ostacolare, trae velocità dal proprio rallentare l’avversario: “Non poteva passare”, commenta sereno De Angelis ad Autosprint. Il vantaggio? Di quelli che, in foto, non si riescono a vedere: a fare fede è il braccio alzato del romano, cui fa il paio l’espressione colma di gioia della fidanzata, la bellissima tedesca Ute. Grazie a questa unione, il personaggio garbato di Elio diventa popolare anche in Germania: De Angelis si esibisce anche col pianoforte in televisione. Senza essere un pilota di Formula 1 prestato alla musica, ma un vero e proprio professionista degli 88 tasti. Già, come poi ricorderà in un intervista, se non si fosse dato all’automobilismo, avrebbe voluto essere un compositore.
Nel biennio 1983-84 l’antipersonaggio De Angelis, con il motore Renault turbo nel frattempo in dotazione alla Lotus, si ritaglia un posto stabile tra le prime donne della massima formula: da registrare la prima pole position, un rapporto conflittuale con Peter Warr, sostituto di Colin Chapman dopo la morte di quest’ultimo, e un buon numero di podi. Senza un acuto in grado di inserirsi nella contesa Brabham-Renault-Ferrari prima, e nella lotta intestina in casa McLaren poi. L’anno seguente, a fianco di De Angelis arriva un talentuoso brasiliano, tale Ayrton Senna: a San Marino, Elio conquista la seconda vittoria in carriera, pur senza il sapore dell’Austria di due anni prima. E’ una vittoria postuma, ottenuta grazie alla squalifica della McLaren di Prost (sottopeso di 4 kg): un po’ come se la sua Roma, squadra di cui De Angelis era sfegatato tifoso, l’avesse vista vincere in differita e non in diretta.
In Canada, De Angelis stampa un giro-monstre e, sceso dalla macchina, commenta soddisfatto con Michele Alboreto il distacco rifilato al compagno di squadra. Il Dio della Velocità Ayrton viene visto con sospetto da Elio, che ritiene – e spesso sostiene apertamente – che i favori di Warr si concentrino su Senna. Come sia realmente andata non è lecito saperlo, ma a fine anno alla Lotus arriva, a fianco del paulista, il ben più malleabile John Colum Crichton-Stuart, settimo marchese di Bute, più noto come Conte di Dumfries. Le sovraimpressioni tremule delle tv di metà anni Ottanta riportano semplicemente Johnny Dumfries, le classifiche iridate un desolante 55-3 per Senna. Che, nel 1985, aveva sì superato Elio, ma per 38 punti a 33.
Il cambio di casacca porta Elio De Angelis alla Brabham, a fianco del confermato Patrese, in sostituzione del due volte Campione del Mondo Piquet, emigrato alla Williams. La monoposto, siglata BT55, è estrema: è “la sogliola” a causa della sua ridotta altezza da terra. Perfino il motore è inclinato (di 72°) per rendere più lineari i flussi d’aria sulla vettura e migliorare la deportanza: peccato che il pilota sia di fatto sdraiato e che il telaio in carbonio, il primo della squadra di Bernie Ecclestone, sia alla prova dei fatti deficitario. La stagione inizia con un ottavo posto in Brasile e una mortificante sequenza di ritiri. Prima di andare a Spa, c’è tempo per una sessione di test privati a Le Castellet: ci dovrebbe andare Patrese, ma Elio gli chiede di poterlo sostituire per meglio abituarsi alla “sogliola”.
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Sono le 11,30 di martedì 14 maggio 1986, il tracciato è il Paul Ricard. I tecnici hanno appena montato una nuova ala posteriore sulla monoposto di De Angelis, che si accinge a entrare in pista con Streiff su Tyrrell e Jones su Lola-Beatrice. All’entrata della Verriere, una “esse” da 270 km/h di percorrenza, l’ala si stacca di netto, facendo decollare la Brabham. Il balletto è di quelli macabri, le testimonianze scarse: solo dopo questo incidente si vedranno misure di sicurezza pari a quelle di un Gran Premio di Formula 1 anche nei test. Ciò che resta della BT55 è contro una barriera, ben presto il fuoco divampa. Elio viene soccorso da Prost e Mansell, che tentano di strapparlo alle fiamme. Dopo sette minuti interminabili, De Angelis è fuori dalla Brabham. Ha lesioni gravissime al capo, la colonna vertebrale distaccata. Il cuore viene fatto battere con un disperato massaggio cardiaco, la corsa dell’elicottero verso l’ospedale La Timone di Marsiglia avviene a mezz’ora dallo schianto. Il verdetto è solo rimandato: Elio De Angelis scompare il giorno successivo, ufficialmente per asfissia cerebrale. Chi lo ha visto mentre il fuoco della BT55 attecchiva anche sugli alberi circostanti alla pista capisce comunque subito che non c’è più nulla da fare. I titoli di coda sono mesti, Elio riposa al Verano da trent’anni esatti. Lieve, come lieve è stato il suo sorriso.
Il suo casco si è visto in Canada sul gradino più alto del podio, dieci anni dopo la rabbiosa pole del romano, indossato da un ferrarista di belle speranze: per metà italiano, lo ha adottato a inizio carriera per omaggiare un pilota stilisticamente impeccabile nella guida e dai modi gentili. Si chiama Jean Alesi. Il francese, casco a parte, è Nuvolari, tutto impeto e cuore: metaforico trait d’union di un cerchio che non si può non chiudere con l’etereo Varzi. Dove il contraltare, il Varzi di turno, non è tanto un “professionista di grandi qualità”, come poi avrebbe detto Luca di Montezemolo ai giornalisti ricordando De Angelis, ma semplicemente Elio.