I freni carboceramici stanno a una supersportiva come gli spinaci a Braccio di Ferro: può vivere senza ma, per dare il meglio, ha bisogno di attingere a questa risorsa. Specie considerando che tale dotazione tecnica è sempre più diffusa, anche se a caro prezzo.I freni carboceramici rappresentano l’evoluzione dei dischi in ghisa grigia e nascono per l’utilizzo agonistico quale derivazione dei componenti in carbonio puro, riservati alle competizioni ad altissimo livello (ad esempio alla Formula Uno). Il carbonio vede infatti aumentare il proprio coefficiente d’attrito proporzionalmente alla temperatura raggiunta, sino a toccare i 900/1.000°C, contrariamente all’acciaio che va in crisi attorno ai 400°C. Per l’utilizzo stradale un kit full carbon è però inutilizzabile, dato che “scaldare” in modo ottimale le superfici risulterebbe impossibile, e per questo è stata sviluppata una soluzione di compromesso; i freni carboceramici appunto. Vale a dire dischi realizzati abbinando fibre composite e resine che, sottoposte a pressioni e trattamenti termici estremi, generano una mescola ceramica arricchita da infiltrazioni di silicio.Rispetto ai componenti tradizionali in acciaio, i freni “ceramici” possono contare su di un coefficiente d’attrito superiore del 25%, un peso inferiore del 50% e una resistenza tripla sia alle alte temperature (l’effetto fading è scongiurato) sia all’affaticamento. Sono, non a caso, la soluzione ideale per l’utilizzo amatoriale in pista, complice un ciclo vitale dieci volte più lungo. Ecco perché tutte le Case top, da Ferrari a Lamborghini passando per McLaren, Audi, BMW, Jaguar e Mercedes-AMG, hanno scelto questa soluzione per le proprie supercar. Rovescio della medaglia, i costi sono decisamente elevati – per equipaggiare una berlina da 450 cv come la BMW M3 è necessario spendere 7.500 euro – e la scelta tra i kit after market e le pastiglie è limitata.