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Giampaolo Dallara: “Non è mica detto che serva un SUV per andare al lavoro ogni giorno”

La Dallara compie 50 anni ma non smette di lavorare per rimanere al top nel presente e nel futuro. Ecco (brevemente) la sua storia e il punto di vista di Giampaolo Dallara sulle tematiche più varie

Rapidità di ragionamento oltre la media, memoria a breve termine brillantissima, memoria storica enciclopedica e sguardo tagliente, indagatore: in due parole, Giampaolo Dallara, classe 1936. Un uomo dall’intelligenza sopraffina, alimentata da un’insaziabile voglia di imparare. Il cocktail perfetto per creare, nel cuore di una cittadina che non arriva a 3.000 abitanti (Varano de’ Melegari, provincia di Parma), un’eccellenza; un’eccellenza italiana nel mondo. Lo so: il rischio di cadere nella retorica è elevato, quando si usano frasi come questa, ma nel caso di Dallara davvero non si tratta di frasi fatte. No, qui ci sono solo competenza e concretezza, tecnologia ai massimi livelli e voglia di miglioramento costante. Tutto questo ha permesso alla Dallara di tagliare il traguardo dei 50 anni di attività e di gettare le basi per un futuro solido; anzi, come afferma Giampaolo Dallara “Ancora adesso cerco di organizzare il futuro, affinché sia il più solido possibile”. Sulle sue parole, pronunciate in occasione dei festeggiamenti per il mezzo secolo di attività, torneremo più avanti. Prima facciamo un piccolo (anzi piccolissimo: a raccontarla tutta, la storia di Dallara, rischieremmo di intasare il web) riassunto che racconti di cosa è stata capace questa azienda. 

Dal garage di casa agli Stati Uniti

Ok, forse qualche freddo numero può aiutare: nel 1972 nasce Dallara Automobili da competizione, con la SP1000, nel garage di Giampaolo Dallara (no, Steve Jobs non è stato il primo). Nel 1984 Dallara costruisce la prima galleria del vento con tappeto mobile in Italia e l’anno successivo lancia la sua prima monoposto con monoscocca in fibra di carbonio: fino ad allora, questa fibra nobile viene utilizzata solo dai top team di Formula 1.

Nel 1972 nasce Dallara Automobili da competizione, con la SP1000, nel garage di Giampaolo Dallara (no, Steve Jobs non è stato il primo)

Nel 1998 arriva la prima vittoria alla 500 Miglia di Indianapolis e, dal 2012, tutte le monoposto che corrono questa gara sono Dallara. Sempre nel 2012, Dallara scrive il proprio nome anche nell’albo d’oro delle Olimpiadi: Alessandro Zanardi taglia per il primo il traguardo a Londra con la Z-bike, progettata proprio a Varano de’ Melegari (risultato bissato nel 2016 a Rio). Nel 2013, nella sede vicino a Parma, diviene operativo il primo simulatore professionale di guida utilizzato per lo studio della dinamica del veicolo. Un sistema che, attraverso modelli matematici, permette di guidare un’auto non ancora costruita. E veniamo al 2017. 

La prima Dallara omologata per la strada

Semplicemente: Dallara Stradale. Nome più coerente con la filosofia di un’azienda che ha sempre anteposto i fatti alle chiacchiere non avrebbero potuto trovarlo, a Varano de’ Melegari. Questa auto rappresenta il classico coronamento di un sogno, quello di Giampaolo Dallara, che nella sua lunga storia non aveva mai costruito una vettura omologata (in Europa e Giappone, non negli USA) per la circolazione stradale. Una supercar a due posti, realizzata sulla base di una monoscocca in fibra di carbonio (pre-preg autoclave e hot compression moulding, come per le auto da corsa) e studiata a fondo in galleria del vento. Dallara Stradale

La collaborazione con Bosch

Un capolavoro di leggerezza (855 kg), aerodinamica ed efficacia tra i cordoli (sospensioni a quadrilatero articolato, tra le altre cose), sviluppato con la collaborazione di un partner di primissimo livello: Bosch. L’azienda tedesca ha contribuito fin dai primi test ai banchi motore e successivamente in tutte le fasi di sperimentazione sui veicoli prototipali, in stretta collaborazione con i collaudatori Dallara. La Stradale è inoltre equipaggiata con il sistema elettronico di stabilità Bosch – ESP 9.1 (con sensori specifici per un’auto che arriva a sviluppare fino a 2g di accelerazione laterale), messo a punto con l’obiettivo di garantire sicurezza ma anche controllo da parte del guidatore, evitando cioè interventi intrusivi. Ultimo ma non meno importante, il contributo di Bosch si è allargato anche al motore, un 2.3 4 cilindri turbo di Ford, pesantemente rivisto (nella centralina motore ECU e nel sistema di iniezione diretta, tra le altre cose) per arrivare a quota 400 CV. 

Le parole di Giampaolo Dallara

Se volete saperne di più sulla storia di Dallara, il consiglio è di visitare il sito ufficiale di Dallara. Ora godetevi le risposte di Giampaolo Dallara alle domande poste dal Direttore di Quattroruote, Gianluca Pellegrini. 

D: Sembra che il suo rapporto con il territorio sia molto stretto, è davvero così?
R: “Per me è incredibilmente importante il rapporto con la mia terra perché mi sento di dover pagare un debito di riconoscenza. Ancora adesso cerco di organizzare il futuro, affinché sia il più solido possibile. 
E poi, lo ammetto, quando ho iniziato era tutto un po’ più facile: innanzitutto la domanda di macchine da corsa superava nettamente l’offerta. E poi c’era decisamente meno concorrenza, in sostanza bastava avere qualche intuizione e tanta buona volontà. 

D: Fra 50 anni Dallara sarà come Ferrari? 
R: “No, Ferrari è un’altra cosa, detto che senza Ferrari non ci saremmo noi. Io non dimentico che ho iniziato a imparare proprio in Ferrari, con Carlo Chiti: facevamo tutto, per auto di ogni categoria. Però, siccome avevo fretta di misurarmi con le competizioni, ho accettato l’offerta di andare in Maserati come ingegnere di pista di Roger Penske e Bruce McLaren; io, così inesperto. Per fortuna è andato tutto bene. E poi la chiamata di Lamborghini per progettare auto stradali; anche a Sant’Agata Bolognese ho imparato tantissimo. Posso dire che fino al 1972 ho fatto l’apprendista, ho avuto il privilegio di imparare nei posti più formativi e tra l’altro mi pagavano anche, per farlo… Ora che ci penso avrei dovuto pagare io per essere lì. Comunque dicevo, Lamborghini. La prima è la Miura e se non fosse così incredibilmente bella non sarebbe il mito che è oggi, per cui bisogna rendere i giusti meriti a Marcello Gandini che l’ha disegnata. In quella auto, di mio ci ho messo la perseveranza nel voler collocare il motore in posizione posteriore centrale. Detto questo, gli errori fatti sulla Miura sono incredibili: ha il motore controrotante per esempio, una complicazione assurda che ha comportato adattamenti artigianali pazzeschi. Oggi, con la consapevolezza maturata, non avrei il coraggio di fare quello che ho fatto allora. E poi la Miura è assolutamente insicura: serbatoio davanti al pilota (con bocchettone dietro, un altro mezzo metro di pericolo gratis) e vicino alla batteria, piantone rigido, ecc.. All’epoca, semplicemente, quasi nessuno badava alla sicurezza. 

D: C’è ancora spazio per la “geniale follia” oggi? 
R: “Certo che sì, guardate come stanno cambiando oggi le auto! Lo spazio per la creatività è molto grande, anche se si tratta di uno spazio meno “libero”. Oggi infatti è impossibile rischiare: tutto è calcolato e non si va per tentativi. Se alcune idee non funzionano al simulatore non vengono nemmeno messe in sperimentazione. Nel periodo della Miura, ma anche per diversi anni dopo, mettevamo in commercio soluzioni che poi ci rendevamo conto essere completamente sbagliate. Oggi, certe cose non sono più concepibili”.

D: Una sua frase famosa è questa: “Se cerchi di fare bene ciò che stai già facendo stai sbagliando: sì perché se fai qualcosa di buono vieni copiato” – ce la può spiegare meglio. 
R: Da Colin Chapman (fondatore della Lotus e geniale progettista di auto da corsa), che per me è stato il più grande di sempre, hanno copiato tutti per esempio. Ma lui era sempre uno e a volte due passi avanti. Questo per dire che se fai bene qualcosa sicuramente verrai copiato, ma se non ti innovi ti stai preparando al declino. È una rincorsa continua insomma, anche perché di bravi ce ne sono tanti in giro per il mondo. Quando abbiamo realizzato la vettura LMP2 abbiamo pensato che con la nostra galleria del vento avremmo potuto fare meglio del competitor, che invece il primo anno ci ha battuto. L’abbiamo capito e l’anno dopo abbiamo vinto. Mai dare per scontato qualcosa”. 

Se fai bene qualcosa sicuramente verrai copiato, ma se non ti innovi ti stai preparando al declino.

D: Pensa che un domani ci sarà convergenza tra F1 e Formula E? Oppure la FE verrà messa da parte? 
R: “Secondo me tutte le competizioni si daranno – ancora di più – una spolverata di verde. In Formula 1, per esempio, dal 2026 il powertrain andrà ancor di più in direzione dell’ibrido. Quanto alla Formula E, in una certa fase ha avuto grande successo tra i Costruttori ma la F1, vivace anche nella comunicazione, non si farà superare. Persino negli USA, grazie a Drive To Survive, la F1 è riuscita a crearsi un seguito importante. In generale credo che le macchine da corsa cambieranno, saranno sempre più elettrificate, ma secondo me il motorsport non sparirà”.

D: Le auto di serie diventeranno davvero tutte elettriche?
R: “Il problema dei problemi è l’inquinamento, la CO2: se nel ciclo totale si riesce a essere neutrali, anche con motori endotermici, perché no? Al momento nessuno è ancora riuscito ad arrivare alle emissioni zero, però qualcuno ci si sta avvicinando. Secondo me, comunque, si dovrebbe tornare a una maggiore sobrietà. Le auto di oggi sono sempre più curate dal punto di vista dell’aerodinamica, però la superficie frontale cresce senza sosta vanificando il progresso. Io dico che per fare i piccoli spostamenti bastano vetture più piccole. Non è mica necessario andare a lavorare col SUV né con auto da 250 km/h di velocità massima o, nel caso delle elettriche, avere per forza batterie da 400/500 km di autonomia. 

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