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Turbo: a volte ritornano

Oggi sono figli del downsizing: meno centimetri cubi, meno cilindri, meno emissioni. Ieri rappresentavano potenza. Con un controllo direttamente collegato al piede destro del guidatore

I primi successi

Il seme era gettato: dal 1981 in poi, con alterna fortuna, tutti i costruttori impegnati in Formula 1 avrebbero realizzato un turbo. Dall’8 cilindri a V Alfa Romeo fino al brutale 4 in linea della BMW, dal TAG-Porsche a 6 cilindri fino al cenerentolo Hart a 4 che faceva il paio con lo Zakspeed 4 cilindri o il coraggioso V6 Motori Moderni. Senza dimenticare il V6 Honda o il V6 Ford. Chi sognava di emulare Piquet (il primo iridato dell’era turbo, nel 1983) sulle autostrade italiane e non era servito: già, perché a chi costruiva auto di serie bastava installare un turbo per trasformare un’utilitaria nella bruciasemafori di turno.

Se BMW rimaneva stranamente al palo – proprio lei, che nel 1973 aveva “turbato” la 2002 realizzando una vera e propria belva per uso stradale, affidando alla sensibilità del guidatore e a un autobloccante al 40% la correzione dei sovrasterzi – Renault, a cavallo tra il 1981 e il 1982, lanciava la 5 Alpine Turbo: 110 cavalli di cattiveria e un turbo lag infinito. La potenza arrivava d’un colpo, e spesso metteva in crisi cambio e semiassi: chissenefrega, che goduria! Mamma Fiat ci sarebbe arrivata nel 1985, con la Uno Turbo i.e.: l’onesto 1.301 CV arrivava a 105 rabbiosi cavalli grazie a un turbo IHI, che spingevano l’utilitaria a 200 km/h. Uno Turbo o Supercinque GT Turbo? Se ne parlava praticamente in ogni bar: la francesina, di cavalli, ne aveva 115…

Turbo, la via del futuro

Mettere il turbo…al turbo

Le sportive

L’altro lato della…turbina

Il turbo diventa “gentile”

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