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Honda e cambio automatico Un amore lungo 60 anni

Pensate che il cambio automatico su una moto sia un argomento recente? Non è assolutamente così, Honda ci lavora fin dagli anni sessanta, ecco il lungo percorso che, dagli albori dell’automatico, ha portato al DCT e a integrare moto e scooter in un unico veicolo

1961: Honda Juno M80/M85 – Produzione

Honda JunoPresentato nel novembre 1961, il Juno M80 è un veicolo originale e sofisticato, che come l’Integra abbina un’estetica da scooter ad una ciclistica da moto, grazie al motore bicilindrico ‘boxer’ fissato al telaio in posizione anteriore e la trasmissione finale a catena in bagno d’olio.  Sfoggia un cambio a variazione continua di tipo idraulico/meccanico, sviluppato da Honda a partire dal brevetto dell’italiano Giovanni Badalini, soluzione che ritroveremo, ulteriormente evoluta, nella ‘futuristica’ DN-01. Il motore, un 4 tempi da 124 cc raffreddato ad aria e alimentato a carburatori, eroga ben 8,1 kW a 9000giri. Potenza ingabbiata da un telaio monoscocca in acciaio, con vano bagagli integrato nel sottosella e avviamento elettrico, tutto per un peso a secco di 146 kg.A meno di un anno dal lancio si evolve nell’M85, praticamente identico, ma con un propulsore maggiorato a 169 cc, capace di 8,8 kW a 7600 giri, per una velocità superiore ai 100 km/h nonostante il peso cresciuto a 157 kg. Un concentrato di tecnologia tale da fare invidia ai modelli attuali, forse addirittura troppo avanti per l’epoca, di sicuro troppo costoso, ‘dettaglio’ che ne determina l’insuccesso commerciale, con rimozione dal mercato dopo meno di 6.000 immatricolazioni.

1976 – Honda CB750A Hondamatic – Produzione

Honda CB750A HondamaticPreso atto che il mercato delle automobili statunitensi è sempre stato dominato dal cambio automatico, a metà degli anni settanta Honda prova a declinare il concetto anche al mondo moto, ‘automatizzando’ la top di gamma CB750. Idea non nuova, arrivando un anno dopo il lancio della Moto Guzzi V1000 Idroconvert, prima moto automatica destinata al mercato nordamericano (arrivata poi anche in Europa).Questa volta la tecnologia utilizzata per il cambio deriva dalle esperienze maturate in ambito automobilistico e utilizza un convertitore di coppia a due marce, senza frizione, quindi volendo fare i pignoli sarebbe più corretto parlare di moto ‘semiatutomatica’, visto che il passaggio fra le due marce va selezionato col pedale.La ‘base’ ciclistica e propulsiva è della quattro cilindri CB750F, a cui viene ridotta la potenza massima ed incrementata la coppia, per ottimizzare il funzionamento dei due soli rapporti, il primo utile da 0 a 60 mph e il secondo fino alla velocità massima di 105 mph, con una riduzione delle prestazioni, sia in accelerazione che in velocità massima, rispetto al modello con cambio a 5 rapporti, quest’ultimo favorito anche dal peso inferiore. Non altrettanto innovativa dello ‘scooter’ Juno M, soffre però dello stesso punto debole, il prezzo, superiore a quello del modello tradizionale, a cui si aggiunge il tiepido interesse dei motociclisti e così l’esperimento si chiude dopo soli due anni.

1978 – 1979 – 1982 Honda CB400A, CM400A, CM450A  – Produzione

Honda CB400A HondamaticFatto tesoro dell’esperienza CB750 A, Honda prova a puntare su un veicolo di minor pregio e costo contenuto, andando ad applicare la soluzione del convertitore di coppia a due rapporti al propulsore bicilindrico frontemarcia da 395 cc, poi cresciuto a 447 cc, delle serie CB e CM. Motociclette adatte ai neofiti, potenzialmente più attratti dal cambio automatico, declinate in due look: più classica la prima, in stile ‘cruiser’ la seconda. Anche qui i propulsori vengono ottimizzati per incrementare la coppia e la regolarità di funzionamento, ma inevitabilmente ne risentono le prestazioni, il peso e anche il prezzo, superiore di circa 300 dollari rispetto alle versioni ‘tradizionali’. I risultati commerciali danno qualche soddisfazione in più rispetto alla CB750A, ma non abbastanza per protrarre l’esperimento ‘moto automatica’, che si conclude, momentaneamente, nel 1983.

1985 – Honda CH250 Elite / Spacy – Produzione

Honda CH250 Elite SpacyQualche anno dopo Honda torna a pensare agli scooter e stupisce tutti con questo modello elegante e raffinato, che evolve il CH 125/150 cc del 1984, superando per primo al mondo la barriera dei 200 cc e staccando completamente con il concetto di scooter a cui eravamo abituati in quegli anni (perlomeno fuori dal Giappone). In Italia infatti (e non solo) scooter è sinonimo di Vespa (Lambretta purtroppo è già stata venduta agli indiani), che al top della gamma propone la PX 200 E con avviamento elettrico, un 2 tempi da 8,8 kW con cambio al manubrio a 4 rapporti, telaio monoscocca in acciaio e freni a tamburo. Honda arriva invece con uno scooter dal design avveniristico, dotato di cruscotto digitale e finiture da berlina di lusso, che monta un motore oscillante a 4 tempi, raffreddato a liquido, da 244 cc per 12,5 kW, con cambio automatico a variazione continua, telaio in tubi d’acciaio con carrozzeria in plastica, sospensione anteriore ‘antiaffondamento’, sella comfort e aggiunge parabrezza e bauletto coordinati opzionali. In Italia costa 4.800.000 lire, il 35% in più della Vespa citata, suscita una certa curiosità, ma poche vendite, va meglio in Giappone dove rivaleggia con lo Yamaha Cygnus/Riva 200.

1986 – Honda CN 250 Fusion / Helix / Spazio – Produzione

Honda CN250 Spazio

Un anno dopo viene presentato il CN250, che eredita lo stesso propulsore del CH, ma ne stravolge l’impostazione di guida, abbassando la sella e allungando le gambe in avanti, quasi come alla guida di un’automobile. Anche la carrozzeria si ispira al mondo delle 4 ruote, con tanto di muso anteriore e baule posteriore integrato.

Non è una novità assoluta, perché già ai primi del ‘900 sono state prodotte moto con questa impostazione (Wilkinson TMC) tendenza poi ripresa dalla ‘corrente’ Feet Forward (piedi avanti) concretizzatasi nel progetto Quasar di Newell e Leman nel 1975, ma di sicuro è il primo modello a proporla su larga scala. In Italia arriva solo nel 1988, ad un prezzo che sfiora gli 8.000.000 di lire, quasi il doppio di una Vespa PX 200, ma già a colpo d’occhio si capisce che i due appartengono a epoche diverse.

Il CN che sembra un’astronave atterrata dal futuro, la Vespa a confronto diventa vintage. Il successo non è immediato, del resto non esiste neppure un vero e proprio ‘target’ di riferimento, si rivolge un po’ a tutti: automobilisti, scooteristi o motociclisti e a nessuno in particolare, per il suo troppo fuori dagli schemi. Sono i primi proprietari, letteralmente entusiasti, a decretarne il successo grazie al passaparola e il CN250 (o ‘Spazio’ coma si chiama all’inizio) si diffonde in modo esponenziale, nonostante il prezzo.

Nasce così il fenomeno ‘maxiscooter’ di cui il CN, se non il primo esempio, rappresenta sicuramente l’elemento di rottura determinante. Anche uno fra i più longevi, che da noi è stato commercializzato solo fino al 2000, ma in Giappone (denominato Fusion) e Stati Uniti (Helix) arriva fino al 2007, superando i 20 anni di carriera (praticamente immutato) e trasformandosi in oggetto di culto!

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