Su 250.000 moto del segmento cruiser vendute ogni anno nel mondo, 220.000 sono marchiate Harley-Davidson; i motivi di questa supremazia sono molteplici, a partire dal fatto che questo modo di viaggiare in “poltrona” con le pedane avanzate, il manubrio largo e tutta l’aria in faccia se lo sono inventato loro.Proprio ispirandosi a quella filosofia, anche Triumph si è affacciata al mondo delle cruiser ormai più sessant’anni fa con la prima Thunderbird, e ora nel segmento è praticamente l’unica a tenere alta la bandiera del Vecchio Continente, grazie a tre modelli originali nel look e nelle motorizzazioni.La gamma delle cruiser Triumph comprende le “piccole” Speedmaster e America, equipaggiate con il bicilindrico da 865 cc, lo stesso di Bonneville e Scrambler; l’inossidabile Thunderbird, sotto cui pulsa il bicilindrico parallelo più grande al mondo; e poi c’è la Rocket III, imponente ed esagerata – e che definire cruiser è forse riduttivo – con il suo tre cilindri da ben 2.300 cc. Le abbiamo assaporate tutte sulle strade del Lario, grazie anche alla collaborazione con Metzeler, che per l’occasione ha presentato il nuovo pneumatico cruiser ME 888 Marathon Ultra.LIVEIl settore cruiser cresce anche in Italia, con 6.000 pezzi venduti ogni anno (su 42.000 moto da 500 cc in su) e il motivo è che sempre più motociclisti nostrani cercano una moto che sia appagante esteticamente (e che magari piaccia anche al partner), abbia il fascino vintage, che non invecchia, e sia facile da guidare; il tutto magari a un prezzo che non sia proibitivo.Cominciamo dunque dalle entry level.L’America è il modello più accessibile della gamma: ha uno stile cruiser classico rilassato, con cerchi in lega da 16″ davanti e da 15″ dietro, e pneumatici con spalla piuttosto alta; il look tradizionale viene sottolineato dal parafango anteriore lungo, dal manubrio arretrato e dalle pedane particolarmente avanzate, pedane che sul M.Y. 2014 sono molto più ampie che in passato e prevedono il pedale del cambio tacco/punta.Come impone lo stile cruiser, la sella è ribassata a 690 mm e brillano numerosi dettagli cromati, fra cui il coperchio frizione, il paracatena e il coperchio batteria lucidato, tutte novità del modello 2014.Il cuore è il bicilindrico parallelo raffreddato ad aria da 865 cc e 61 cv di potenza massima, che conosciamo molto bene perché equipaggia tutta la gamma delle modern classic Triumph.L’America è disponibile nelle colorazioni Phantom Black e Cinder Red/Morello Red, al prezzo base di 9.490 euro franco concessionario.Stessa base meccanica per la Speedmaster, che però presenta uno stile naked essenziale e minimalista. L’aspetto della Speedmaster è dominato dal cerchio anteriore in alluminio fuso da 19″, con un freno a disco singolo e un pneumatico sottile, per un look classico da vera hot-rod. Il tutto sottolineato da un ampio utilizzo del colore nero per numerosi componenti, dai cerchi al manubrio, dai fari ai pedali.A completare il look pensano il carter motore in tonalità scura, il serbatoio a goccia, i parafanghi minimalisti e il faro anteriore singolo dalle dimensioni contenute. La Speedmaster è disponibile nella livrea Phantom Black e in quella Matt Graphite con doppie strisce centrali in tonalità Matt Black, a partire da 9.290 euro.Non si può parlare di cruiser inglesi senza menzionare la Thunderbird, che della gamma è sicuramente la regina: la sua storia comincia, infatti, nel lontano 1949, quando l’allora general manager Triumph, Edward Turner, passando davanti all’insegna del Thunderbird Motel a Florence, in South Carolina, durante un viaggio da New York a Daytona Beach, pensò che il nome Thunderbird fosse perfetto (chissà poi perché?!) per l’ultimo modello prodotto da Triumph.Da allora sono seguiti molti modelli e molte “ere tecnologiche” ma il nome è rimasto lo stesso: per il M.Y. 2014 sono state modificate sia la forma sia lo spessore della sella, che è raddoppiato, per offrire un livello di comfort superiore, mantenendo allo stesso tempo la sella ribassata, tipica del genere. I pneumatici sono più larghi – l’anteriore arriva a 140/75-17, il posteriore a 200/50-17, entrambi montati su cerchi in lega torniti al diamante – e questo ha comportato una revisione anche del telaio e delle geometrie di sterzo.Solo piccoli aggiornamenti, invece, per il bicilindrico (il twin parallelo più grande in circolazione) a doppio albero a camme in testa otto valvole da 1.699 cc, capace di erogare 94 cv a 5.400 giri e 151 Nm di coppia a 3.550 giri. La Thunderbird Commander è disponibile nelle due nuove livree bicolore Lava Red/Crimson Sunset e Phantom Black/Storm Grey al prezzo base di 15.300 euro.La Rocket III merita un capitolo a parte. Il manubrio largo e la sella comoda la fanno somigliare a una cruiser ma per la cilindrata esagerata (2.294 cc) e le prestazioni da record (150 cv) sarebbe forse più appropriato definirla dragster.Il propulsore tre cilindri è ormai divenuto leggendario perché è il più grande mai visto su una moto di serie ed è capace di generare la bellezza di 221 Nm di coppia ad appena 2.750 giri/min. L’unità a 12 valvole presenta un alesaggio e una corsa di 101,6 x 94,3 mm, con doppie valvole a farfalla e sensori di posizione dell’acceleratore, velocità di rotazione, posizione e temperatura del motore, temperatura e pressione dell’aria, selezione delle marce e velocità di marcia, che collaborano con l’evoluta unità ECU per determinare l’alimentazione e l’iniezione corrette e calibrare la curva di coppia in base al rapporto.Il motore è montato rigidamente al telaio ed è di tipo portante, dato che questa soluzione offre il collegamento più rigido possibile fra il cannotto di sterzo e il perno del forcellone.L’albero motore forgiato da 17 kg ha quattro cuscinetti, con i singoli perni posizionati a 120°, per accendere le tre coppie di candele seguendo l’ordine dei cilindri, dall’anteriore al posteriore.La trasmissione finale è a cardano e le colorazioni in cui è disponibile la Rocket III M.Y. 2014 sono Phantom Black con doppie strisce rosse e Matt Phantom Black con doppie strisce Matt White; il prezzo è di 17.190 euro.RIDEIl nostro viaggio alla scoperta del mondo cruiser di Triumph parte da Arese (MI), sede italiana della Casa britannica, alla volta del Lago di Como.Parto dalla più piccola, la Speedmaster e, dopo la breve ricerca di un portadocumenti (che manca, come sugli altri modelli cruiser e sulle modern classic) avvio il bicilindrico, che mostra subito un carattere familiare e docile. Non solo il motore è lo stesso della Bonneville ma è identica anche la facilità di guida sin dai primi metri. La ruota davanti è un po’ più lontana (come vogliono le geometrie di una cruiser) e l’agilità non può essere la stessa della Bonnie ma la Speedmaster è comunque poco impegnativa.La posizione in sella è talmente rilassata che non viene proprio voglia di correre ma piuttosto di guardare il panorama e gustarsi l’aria in faccia, che sopra i 120 km/h diventa fastidiosa vista l’assenza di protezione dall’aria. La sella è comoda ma non consente alcun movimento, motivo per cui dopo aver percorso un po’ di chilometri avverto un gran bisogno di sostare e sgranchirmi le gambe. Le pedane toccano terra piuttosto rapidamente quando si va in piega ma la Speedmaster è sorprendentemente stabile nei curvoni e rapida a salire e scendere in piega, grazie anche allo pneumatico anteriore dalla sezione ridotta.Se sulla Speedmaster viene voglia di guardare il panorama, sull’America si pensa a sfogliare un giornale, dato che questo modello regala una sensazione di guida ancora più rilassata. La sella è più larga e morbida, il manubrio molto vicino, lo pneumatico anteriore più largo e con una spalla molto pronunciata, che assorbe bene le asperità dell’asfalto ma per contro la rallenta un po’ negli inserimenti in curva e nei cambi di direzione.Come sulla Speedmaster, a fermare i 250 kg (con tutti i liquidi e il pieno di benzina) dell’America pensa un disco singolo anteriore, più che sufficiente per dimensioni ma che richiede un’azione decisa sulla leva per contenere gli spazi d’arresto; mancano controllo di trazione e ABS, in attesa che quest’ultimo diventi obbligatorio a partire dal 2016.Quando viene il mio turno di guidare la Thunderbird Commander siamo a Bellagio: sulle strade strette e tortuose che scendono verso Lecco intuisco che cosa significa “ispirarsi alle cruiser americane” e alle strade dritte tipiche dei territori sconfinati. Il perno della ruota anteriore sembra lontanissimo e per inserire la TB nei tornanti stretti ci vuole un po’ di mestiere. Ritrovo il giusto feeling con la ruota davanti quando termina il tratto di misto stretto e scopro che la Thunderbird è decisamente gradevole nel misto largo, dove si mostra stabile e in uscita di curva si riesce ad apprezzarne la coppia formidabile. Ai regimi molto bassi il bicilindrico “pistona” un po’ ma superata questa soglia minima, la sua erogazione diventa piena e regolare.La sella è davvero comoda e le sospensioni si apprezzano per l’abbondante escursione: 120 mm davanti e 109 dietro non sono male per una moto del genere. Inoltre il telaio del M.Y. 2014 è stato modificato e non presenta più una putrella centrale ma un “twin spine”, per essere più morbido nelle reazioni. Il risultato di tutto ciò è che la Thunderbird è molto comoda anche sui fondi sconnessi. L’impianto frenante Nissin dispone di tre dischi da 310 mm e ABS, che consentono alla TB di arrestarsi in spazi discreti, nonostante il peso di oltre 340 kg con il pieno di benzina.Quando salgo in sella alla Rocket, dopo aver avviato il tre cilindri, guardo nello specchio retrovisore e mi accorgo del sorriso che si fa largo sul mio volto: sto per guidare una moto “ignorante”, esagerata nelle dimensioni e nella cilindrata. La massa dell’enorme motore mentre sale di giri può essere avvertita anche da fermi e ad ogni colpo di gas la moto si inclina leggermente a destra.La coppia della Rocket è sbalorditiva. Lo pneumatico posteriore da 240 mm e il controllo di trazione riescono a tenere a freno la sua esuberanza ma in accelerazione la Rocket prende il sopravvento. Potete scordarvi il cambio perché se si apre il gas in quinta marcia da 40 km/h non si avverte nemmeno una vibrazione; si percepiscono solo il rombo cupo del tre cilindri, che sembra quello di un V8 americano, e poi una spinta e un allungo infiniti.Meglio in questi casi non pensare ai consumi, che sono in linea con le prestazioni, e godersi le sensazioni uniche di questa moto.La Rocket è tanto entusiasmante sul dritto quanto faticosa da condurre tra le curve strette. Per farla inclinare e rialzare quando serve, e per contrastare una leggere tendenza ad allargare in uscita di curva, bisogna utilizzare molto il corpo; per fortuna le pedane sono piuttosto arretrate e consentono di caricare bene il proprio peso.