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Triumph Rocket 3 Storm, la prova

Le dimensioni contano, ma non sono tutto. Il segreto della Triumph Rocket è proprio questo: la capacità di unire prestazioni e numeri impressionanti con una facilità e un piacere di guida inaspettati.

La Rocket festeggia il suo ventesimo compleanno e sceglie il modo migliore per farlo: regalarsi una versione ancora più esagerata. Il nome è naturalmente evocativo, Storm.

Era il 2004 quando Triumph decise di dire la sua negli Stati Uniti e lo fece scegliendo la strada più difficile: entrare nel segmento delle cruiser, roccaforte inespugnabile di Harley. Proprio per questo motivo, non avrebbe avuto senso proporre una motocicletta anche solo paragonabile a una delle bicilindriche con l’aquila sul serbatoio, per di più in un Paese dove vige la regola del Go big or go home. “A Milwaukee hanno il V-Twin da 1.340 cc? Ok, allora a Hinckley facciamo il tre cilindri longitudinale da 2.300 cc…” In realtà, poiché le dimensioni sono sì importanti, ma non sono tutto, gli inglesi misero su strada una motocicletta che si riusciva a guidare davvero e che era pure divertente.
Ecco, semplificando un po’, questa è stata la genesi della Rocket 3.

Evoluzione

Da allora sono passati vent’anni e sotto le ruote della power cruiser di Triumph è passato un sacco di asfalto. Del progetto originario sono rimaste solo l’idea e l’impostazione generale, sono invece cambiate un sacco di altre cose e la nuova Rocket 3 Storm è la versione più estrema di sempre. I numeri sono sempre efficaci nel descrivere una moto simile – 182 cv e 225 Nm – ma raccontano solo una parte della storia e, vi assicuriamo, non è quella più divertente. A fare la differenza, sulla nuova power cruiser, è infatti il modo in cui questi numeri sono stati messi al servizio del pilota per far sì che riesca a goderne appieno, senza divernarne – al contrario – succube.

Come? Nel modo più ovvio, ossia con un eccellente bilanciamento complessivo e con una relativa facilità di gestione delle prestazioni. Intediamoci… se si imposta il selettore del driving mode su “Sport”, ci si deve attaccare saldamente al manubrio e puntare bene i piedi sulle pedane, perché farsi disarcionare è una delle opzioni. Però, la Storm può essere guidata come una piacevole e poco faticosa cruiserona per la maggior parte del tempo.

Così abbiamo fatto noi, sulle strade dell’entroterra di Cannes, spingendoci fino al Verdon.

Due allestimenti, due anime

R e GT sono le sigle che caratterizzano e identificano, in ogni senso, le due versioni della nuova Storm. La prima ha una posizione di guida leggermente caricata sull’avantreno, grazie al manubrio più dritto, pedane montate centrali e una sella a 773 mm da terra. La seconda è una GT di nome e di fatto, pedane più avanzate, sella leggermente scavata (posta a 750 mm da terra) e manubrio arretrato. E poi, ha anche un plaxiglass minimale, che contribuisce a eliminare un po’ delle turbolenze sulla parte alta del busto. Differenze sulla carta minime ma che sulla strada si sentono e che, per il mio tipo di guida, orientano il personale “gustometro” verso quest’ultima versione, che ritengo incarni meglio lo spirito della Rocket 3. Quello più lazy.

Non imbarazza

Che si tratti di una moto nata bene lo si capisce prima ancora di accenderla, quando la si muove da seduti, e la conferma arriva a motore acceso, dopo poche decine di metri. La posizione del baricentro e il bilanciamento rendono tutto più semplice di quanto si possa immaginare. Ovvio, le file ai semafori e lo zig zag fra le auto non sono le voci in cima alla lista dei suoi desideri: il tre cilindri da 2.458 cc vibra pochissimo ma scalda e la massa che ci si porta appresso non è quella di un Booster… però, non appena il traffico diventa più fluido, la Rocket apre il sorriso e in un amen si mangia tutti i mezzi su gomma che occupano la sua visuale.

La coppia è pazzesca e il controllo di trazione fatica a evitare che il gommone posteriore da 240 giri più veloce di quanti serva. E poi fate attenzione: se avete i piedi appoggiati sulle pedane della GT, la botta d’aria dell’accelerazione ve li solleverà. La cosa strana della Rocket è che se in città, a briglie tirate, riesce a portare alla luce la parte più tamarra di noi, quella tutta manate sul gas e scarico che ruggisce, quando la strada permette di lasciarla sgroppare, ti fa quasi diventare educato. Ho scritto quasi…

Alla ricerca del flow

Si comincia a guidare fluidi e dolci (il che non significa affatto “piano”) sfruttando l’erogazione senza incertezze e senza fine di coppia e potenza, che accompagna fuori dalle curve come una fionda e che, quando riesci a trovare il flow, non ti fa venire voglia di spingerti oltre.

La ciclistica è sincera ed efficace: la combinazione fra ruote da 17″ e 16″ è azzeccata e le sospensioni fanno il loro dovere, sostenendo quando ce n’è bisogno e assecondando l’esuberanza del tre cilindri. I nuovi cerchi, più leggeri, hanno di sicuro il loro ruolo nella buona agilità con cui il mastodonte inglese danza fra le curve. Anche i freni sono all’altezza, posteriore compreso, tenuto conto la mole con cui devono fare i conti.

Per buona parte dei 180 km del nostro giro abbiamo trovato asfalti quantomeno umidi, ma anche in questa situazione la Rocket 3 non ci ha mai messo in imbarazzo. Il riding mode in configurazione “Rain” e le eccellenti Avon Cobra Chrome si sono prese cura non solo della nostra sicurezza, ma soprattutto di mantenere alto il ritmo e il piacere di guida. Forse essere nata in Inghilterra e chiamarsi Storm aiuta…

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