San Patricio, Jalisco, Messico – San Patricio, nello Stato dello Jalisco, è stata una bella sorpresa. Un pueblo davvero piccolo e con poco turismo internazionale: ci si ritrova circondati da soli messicani che è quello che solitamente un viaggiatore vorrebbe in ogni luogo che visita.Dove non c’è turismo internazionale di solito è tutto fatiscente, soprattutto se si vuole spendere poco, però basta farci l’abitudine. Io, ad esempio, senza nessuna particolare ricerca, sono riuscito a trovare a circa nove euro a notte una stanza direttamente sulla spiaggia, ampia abbastanza da farci stare la bici e avanzare spazio. Quando si viaggia con la bicicletta bisogna sempre mettere in conto che ovunque si vada, il tuo mezzo viene con te, specialmente in posti come il Messico, ma direi che questa regola vale in tutto il mondo. Il tuo mezzo di trasporto, anzi meglio, la tua casa ambulante, è il tuo bene più caro e quindi bisogna evitare di lasciarlo da qualche parte con il rischio che lo rubino.Nelle successive due giornate di stop sono stato male fisicamente. Una specie di guardia medica, da cui sono andato per precauzione, mi ha ovviamente consigliato di stare il più possibile a riposo e mi ha prescritto delle medicine. Le medicine le ho prese, il riposo invece l’ho evitato.Ho cercato di mettere a posto il cambio, pulendolo bene, ho messo del grasso ed ho cercato di regolare al meglio la trasmissione, anche se non è mai perfetto e silenzioso come dovrebbe essere un cambio Sram Eagle GX.Riparto cercando di non esagerare con i chilometri giornalieri. Entro nel piccolo e verdissimo stato del Colima, dove le persone sono davvero sorridenti e molto curiose al mio passaggio. Percorro con piacere le strade, che da ogni lato abbondano di piantagioni di banane e cocco. Fortunatamente la strada in questo tratto è abbastanza larga, quindi posso godermi ogni pedalata senza pensare troppo al traffico. L’unico rischio sono i furgoncini pieni zeppi di cocco: qualche volta ne vola via uno e se non presti attenzione rischi di trovartelo in testa o tra le ruote.Più vado avanti e più la strada diventa dura, i dislivelli iniziano a farsi davvero impegnativi e la carreggiata sempre più stretta. Non c’è nemmeno un centimetro buono per pedalare ed il percorso diventa un insieme di curve pericolose. La strada che porta da Manzanillo a Lazaro Cardenas è praticamente nel mezzo della giungla, che può anche essere affascinante a pensarci, ma la realtà è diversa.Pedalare con un grosso carico, affrontare salite con pendenze elevate, in mezzo a curve pericolose con il rischio costante di essere investito, l’umidità al 100% e 35 gradi di media, lo stomaco in subbuglio, le zanzare e soprattutto strani insetti simili a tafani che durante le pause ti attaccano pungendo anche attraverso i vestiti, i video e le foto costanti cercando di mantenere la lucidità davanti alla telecamera, rendono il viaggio molto impegnativo, anche se intorno a te hai un incredibile e lussureggiante giungla.Mi ritrovo, come spesso accade in questi anni di viaggio, ad andare in una specie di trans agonistica, dove conto ogni respiro a tempo con ogni pedalata, provando a concentrarmi sul dolore fisico, come gambe, schiena, braccia e mani, e facendolo sparire anche del tutto per brevi tratti. Il fiato va sempre meglio anche se con quel caldo sento spesso come se il cuore e le tempie dovessero esplodere da un momento all’altro.Spesso, lungo la strada, capita di fare incontri molto particolari come serpenti coloratissimi, enormi anaconde, o ragni tipo tarantole dai colori incredibili, che però fanno passare la voglia di piazzare la tenda ovunque. In ogni caso, da queste parti, è sempre meglio cercare una stanza ed essere più cauti possibile.La giornata prima di arrivare a Lazaro Cardenas è stata una delle più impegnative di sempre. Una tappa con 2000 metri di dislivello lunga oltre 100 chilometri. In più, lungo la strada, ho praticamente assistito ad una strage di asini, investiti da un grosso furgone. Cinque erano ormai morti, due, tra cui un puledro, vivi sul ciglio della banchina, un altro invece in mezzo alla carreggiata con la spina dorsale spezzata in due e sanguinante, ma vivo. Così sono rimasto per circa un’ora tenendogli la testa e facendogli compagnia. Poi sono riuscito a fermare un tir e mi sono fatto aiutare a spostare la povera bestia sul bordo della strada: ero pieno di sangue. So che in questi casi bisognerebbe sopprimere il povero asino per non farlo soffrire ulteriormente, ma non ho avuto il coraggio. Ho chiesto all’autista del tir se potesse chiamare almeno la stradale per vedere se potessero fare qualcosa e poi sono risalito in sella e sono ripartito.Verso sera, ormai stremato, trovo un cucciolo di cane nel mezzo del nulla.Stavo quasi per ignorarlo, perché ci sono davvero tanti cani randagi da queste parti, ma non me la sono sentita, gli ho dato acqua e cibo e poi me lo sono caricato sul manubrio, appoggiandolo sulla borsa della Ortilieb. Ho pedalato per circa 25 chilometri, in piena notte con le luci della bici ormai scariche, insieme ad un cane che si agitava sul manubrio. Arrivo in un piccolissimo pueblo dove trovo una simpatica famiglia con cui inizio a chiacchierare e a raccontare la mia storia, e che, con grande sollievo, decidono di tenere con sé il cagnolino che hanno visto con me sulla bicicletta. Avevo pensato per un attimo di tenerlo con me, ma in fondo è stato meglio così. L’idea di viaggiare con un cane c’è da sempre, ma non qui, non ora, bisogna essere attrezzati per viaggiare con un amico a quattro zampe: è un essere vivente non un giocattolo.Il giorno dopo arrivo bello cotto a Lazaro Cardenas con l’idea di fare almeno un paio di giorni di stop.Penso sempre che viaggiare in questo modo ti costringe a vivere ogni giorno come se fosse un viaggio a sé stante.Indescrivibile.