Una macchina, due amici e via. La vecchia Panda è quella roba lì. Riporta a quando si era giovani e la felicità era una cosa semplice. Niente telefonini, navigatori, gente attaccata ai social. Si stava bene così, spontanei, genuini, liberi, una vita che ormai è solo un ricordo cui si ripensa con nostalgia, perché le esperienze più belle sono quelle fatte con poche risorse, tecnologia al minimo e molta incertezza. Le stesse caratteristiche su cui ha puntato Panda Raid, il rally amatoriale pensato per le Fiat Panda 4×4 che, dopo l’annullamento dell’edizione 2020 causa Covid, quest’anno si terrà dal 22 al 30 ottobre. Un percorso attraverso sette tappe su piste sabbiose da Madrid a Marrakech senza strumentazioni sofisticate: solo bussola, roadbook e intuizione.
Uno spirito che, per l’essenzialità dei mezzi, riporta alla memoria la Paris-Dakar e la passione per l’avventura più autentica. Il merito principale del raid è rendere accessibile un sogno: quello di vivere un’esperienza racing tra sabbia e sterrati, unendo il viaggio e la sfida, lo stress e le soddisfazioni sulle quinte di un viaggio indimenticabile.
Viveri, carburante, utensili, tende: l’indispensabile è tutto caricato sulla Panda, l’utilitaria Fiat disegnata da Giugiaro nel 1980 e proposta, tre anni dopo, nella versione a quattro ruote motrici, che in quel periodo partecipò anche alla Paris-Dakar. A quasi quarant’anni dalla nascita, la Panda 4×4 sta vivendo una seconda giovinezza. Riscoperta e apprezzata per le qualità di compattezza e facilità di guida, è la protagonista da 13 anni di questo raid dedicato, che raduna a Madrid circa trecento partecipanti pronti per la partenza.
Avventura accessibile
Con Panda Raid l’avventura è a portata di tutti, in quanto l’impatto economico è accettabile: una Panda 4×4 in discrete condizioni si recupera con 2.000 euro. La parte più costosa è l’iscrizione, 2.500 euro a macchina, oltre alle spese di viaggio per raggiungere Madrid. Lo stile è quello dei raid d’antan e l’ideale è condividerlo con un amico, partendo dalle fasi preliminari di allestimento del mezzo fino alla gara in sé.
L’auto non dev’essere sgangherata, poiché si devono attraversare tremila chilometri di piste africane spesso sabbiose, ma tutto sommato non è una competizione; il più delle volte bastano un tagliando olio e filtri, gomme e sospensioni a posto e poi scegliere il ritmo giusto, quello che consente di preservare la macchina, caricando le quattro cose che servono senza esagerare. In questo modo si assapora la sfida e si godono i panorami e gli imprevisti.
Panda Raid è una gara di regolarità. I partecipanti sono stati divisi in più gruppi – che partono ogni giorno in ordine diverso – e tutte le mattine ci si presenta allo start per il timbro della tabella con l’orario di partenza. Poi, lungo il percorso, si passa ai controlli timbro e, se la sera non si arriva entro il tempo massimo imposto, si paga penalità. È un modo per stilare una classifica, goliardica più che altro, perché, volendo, la si può prendere comoda, partendo quando si vuole. Non c’è rischio di eliminazione, è solo un gioco mascherato da gara di regolarità che, tuttavia, è lo stimolo per dare di più.
Inoltre ogni giorno bisogna affrontare una prova speciale con una velocità media imposta da rispettare, che cambia a ogni nota del roadbook, con il rilevamento posto in un punto segreto del percorso. Un’idea per soddisfare la voglia di classifica dei concorrenti senza rischiare che si facciano male.
La navigazione
Il roadbook consente di districarsi tra i labirinti di piste con numerosi incroci e cambi di direzione, con navigazione a CAP nei fuoripista lungo i tratti desertici, a cui vanno aggiunti intuito e un po’ d’esperienza. Dunque, si può scegliere se puntare alla classifica o prediligere l’aspetto turistico: la formula giusta per chi non ha esperienze agonistiche. Nonostante ci sia una classifica, si può mettere al primo posto il viaggio che arricchisce attraverso immagini, incontri, condivisioni, per gustarselo sotto ogni profilo, compresi l’arrivo a fine giornata, il bivacco e l’aspetto umano. Ciò che, invece, non si può sottovalutare è il rispetto per il mezzo, che deve arrivare fino in fondo e, ovviamente, ci vuole sempre un occhio alla navigazione perché è un attimo perdersi e complicarsi la giornata.
Mutuo soccorso
Lo spirito di Panda Raid è di reciproco soccorso. L’organizzazione – sia per favorire il metodo vecchia scuola, con etica, piacere di condividere e arrivare tutti insieme alla meta, sia perché sarebbe impossibile intervenire ogni volta che uno si pianta – impone l’aiuto tra equipaggi e in questo modo le situazioni di stallo si risolvono col cameratismo, aiutandosi con una spinta di gruppo, tanto la Panda è leggera e in quattro persone si cava sempre d’impaccio. Poi la sera c’è molto senso di aggregazione. Si monta la tenda vicino alla propria macchina e si dà un’occhiata al roadbook del giorno seguente. I campi sono organizzati con un’area meccanica dedicata a manutenzioni e riparazioni.
Le tappe sono scorrevoli ma non mancano tratti di sabbia, strade sassose, fango, dossi rocciosi, plateau, oued, fesh fesh, canyon, guadi e tante piste parallele, a tratti divergenti, che complicano non poco la navigazione. Calibrato per le caratteristiche delle Panda 4×4, il percorso non attraversava cordoni di dune: solo zone dunose, ma sempre restando sui fondovalle. Variegati anche i panorami, fatti di spazi sconfinati, falesie, oasi, piccole aree abitate e villaggi abbandonati. L’organizzazione è molto abile ad avvicinarsi sempre a prove impegnative senza oltrepassare il limite.
Ritorno al passato
Oggi si assiste a un ritorno ai mezzi del passato, con poca tecnologia ma con un forte valore affettivo. La Panda è un giocattolino low cost che dà modo di sognare, trasmette belle emozioni ed è molto ricercato proprio perché permette di fare un fuoristrada soft ma, soprattutto, trovare momenti di aggregazione nei numerosi club. Probabilmente, in parte, ciò è legato all’eco derivata proprio da Panda Raid, che ha spinto molte persone a esplorare questo mondo, il che si sposa con l’attuale tendenza che vede il ritorno alle vecchie cose.
Alla fine dei conti, l’oggetto meccanico emoziona sempre. La passione verso moto e auto datate, scomode e dure sotto certi punti di vista, regala a chi le utilizza molta soddisfazione. Le macchine sono pesanti da guidare, difficili da portare, però trasmettono sensazioni ineguagliabili. Sono semplicissime, si riesce a metterci mano senza avere esperienza meccanica, non ci sono centraline elettroniche, spie, nulla. C’è un motore che gira con una trasmissione attaccata ed è comunque emozionante. Con la Panda 4×4 è la stessa cosa: si apre il cofano e, anche se ignoranti in meccanica, si capisce quanto basta. Un aspetto che crea feeling con la macchina, perché la si sente propria, la si tocca, si riesce a farci riparazioni di fortuna da soli.
Guidare la Panda è come tornare alle origini, e si realizza perché c’è tutto questo interesse verso un oggetto squadrato, semplice, che prima non era desiderabile, mentre ora è diventato di culto. È la macchina che hanno avuto tutti e, inconsciamente, riporta a quando si era giovani.