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MINI e Triumph, The Royal Babies

Lassù, oltre la manica, amano farle così. Sportive, aggressive, ricche di personalità. Triumph e MINI incarnano al meglio lo spirito British. Punti in comune? Più di quel che si creda…

Oxford e Hinckley distano poche miglia, 72 per la precisione. È qui che nascono due marchi che a modo loro hanno fatto la storia, passata e moderna. Quando scegliamo i modelli per i nostri Duel cerchiamo sempre un filo conduttore. A volte è molto robusto, altre un po’ meno. Questa volta man mano che procedevamo nel test ci siamo resi conto che i legami tra MINI Cooper S e Triumph Street Triple R vanno ben oltre il semplice fatto di essere conterranee. È come se al di là della Manica si respirasse un’aria particolare, che spinge a costruire qualcosa di differente, a tutti i costi.  Un mio caro amico finlandese, pilota militare di elicotteri, quando parlava degli inglesi si grattava l’orecchio destro con la mano sinistra facendo passare il braccio sopra la testa e affermando “if they can make it complicated, they’ll do”. Lui parlava degli elicotteri, naturalmente, però girava con una Triumph Spitfire del 1969 e la cassetta degli attrezzi nel bagagliaio, perché quell’auto gli piaceva da matti. Personalità e carattere sono le parole d’ordine che caratterizzano i progetti Made in England, una personalità non solo estetica ma anche dinamica. Del resto basta guardare i claim dei due marchi per capirlo: “Go your own way e “Not Normal” parlano da soli. Quando Sir Alex Issigonis, 50 anni fa, inventò la MINI fece un capolavoro, realizzando una compatta dal nome che più azzeccato non si può, con doti che andarono oltre la facilità di parcheggio, che peraltro ai tempi non era un problema stringente. Perché la MINI, così bassa piccola e leggera, vinceva anche nei Rally. Quando John Bloor nel 1988 decise che era giunto il momento di far tornare grande il marchio Triumph realizzò prima di tutto un motore tre cilindri per riallacciarsi alla storia del marchio. Non solo. Industrialmente il tre cilindri è vincente e quanto a carattere non è secondo a nessuno. Ai tempi i tre cilindri si contavano sulle dita di una mano, ma sappiamo bene com’è andata a finire. Fare qualcosa che abbia un motore da queste parti significa essere fuori dagli schemi. A dire il vero la MINI ha il doppio passaporto: dietro il suo essere “Not Normal” c’è la forza tedesca di una corazzata come BMW, che su MINI ha riversato tutta la sua capacità di fare marketing. Basti pensare che la Cooper S della prova ci è stata consegnata prima dell’estate con tanto di paletta, secchiello e salvagente, pronta per accompagnarci nelle vacanze. Tanti legami, dicevamo, che sono emersi man mano che i chilometri aumentavano. La personalità estetica è indiscutibile, i fari sgranati (ultimamente non più tondi) della Triumph e il look e le possibilità di personalizzazione di MINI hanno fatto scuola, ma qui si va oltre: è la stessa filosofia di guida a trovare molti punti di contatto, o ad esempio il trattamento riservato ai passeggeri posteriori, tollerati ma certo non coccolati. Bagagli? Minimo sindacale. Il messaggio sembra essere chiaro: “Se vuoi caricarmi di persone e bagagli fa pure, ma sappi che da soli ci divertiremo molto di più”. Motori pronti, potenti il giusto, senza esagerazioni. Assetto perfetto, compattezza, leggerezza sono le parole chiave di due mezzi che iniettano in vena il virus del piacere di guida, a cui non vuoi più rinunciare. MINI e Street odiano i rettilinei, adorano le curve e spingono a cercarne di continuo, perché è lì che si gode veramente. E più la strada si contorce, più aumenta il godimento: sono agili, reattive, precise, frenano alla grande e hanno motori che quando chiamati in causa non si fanno aspettare, rispondono subito. Sì, forse gli inglesi si gratteranno l’orecchio sinistro con la mano destra, ma quando ci si mettono sanno costruire dei gran mezzi..

 

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