Era il 1964 e Ferruccio Lamborghini, titolare dell’omonima fabbrica di macchinari agricoli, possedeva due Ferrari 250 GT. Come racconta Valentino Balboni, storico collaudatore della Lamborghini, “Si divertiva a sgommare. E più di una volta ruppe la frizione. Dopo aver sborsato fior di quattrini per riparare le auto a Maranello, un giorno – dopo l’ennesimo guasto – ne portò una nella propria officina, e un meccanico la smontò. La frizione che si rompeva era identica a quella che montava sui suoi trattori!». Da quel momento le lamentele di Ferruccio Lamborghini con il Drake divennero accese. La risposta di Enzo Ferrari, che non brillò mai per diplomazia, fu: «La macchina va benissimo. Il problema è che tu sei capace a guidare i trattori, e non le Ferrari». Non l’avesse mai detto……forse oggi non avremmo l’Huracán. Il moto d’orgoglio successivo alla risposta del Grande Vecchio fu la molla che indusse Ferruccio a fondare il settore automobili della Lamborghini, con il proposito di realizzare in proprio una supersportiva. Venne scelto quale motorista Giotto Bizzarrini – manco a dirlo ex Ferrari –, che progettò un rivoluzionario V12 di 3,5 litri con distribuzione a doppio albero a camme in testa per bancata. Il prototipo, chiamato 350 GTV, arrivò in produzione sotto la direzione tecnica di Giampaolo Stanzani (motori) e Gian Paolo Dallara (telai). Alle linee disegnate dalla Carrozzeria Touring – che fece ricorso alla celebre costruzione Superleggera, in grado d’abbinare una grande rigidità strutturale a un sensibile contenimento delle masse grazie alla scocca in sottili tubi d’acciaio e ai lamierati in alluminio – venne abbinato un propulsore “addolcito” nell’erogazione, portato da 350 a 284 cv. Anziché per la raffinata lubrificazione a carter secco, si optò per una più convenzionale soluzione a carter umido, mentre il telaio mantenne la struttura tubolare originaria, sebbene l’interasse venisse maggiorato di 10 cm.La nuova sportiva, ribattezzata 350 GT, fu realizzata in 120 esemplari. Era caratterizzata dalla trazione posteriore – un must per le sportive degli Anni ’60 –, dal cambio manuale a 5 rapporti e dallo schema delle sospensioni a ruote indipendenti a bracci triangolari sovrapposti sia all’avantreno sia al retrotreno. Lo sterzo era del tipo a vite senza fine e settore dentato; una soluzione datata che sarebbe stata sostituita dalla più moderna configurazione a pignone e cremagliera, in dotazione all’iconica Miura del 1966. Grazie a un peso contenuto in solo 1.050 kg, scattava da 0 a 100 km/h in 6,8 secondi e toccava i 250 km/h.