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Prova Mini Cooper S – Il nuovo volto del turbo

Dopo l’elettrica, ecco la rinnovata Mini a tre porte con motori endotermici. La Cooper S, con il 2.0 turbo da 204 CV, è la più frizzante delle due versioni disponibii

I più tradizionalisti fan della Mini Cooper accoglieranno bene la notizia che la mitica tre porte inglese con motore termico non solo resiste sul mercato, ma addirittura si rinnova. Aggiornandosi profondamente fuori e soprattutto dentro, tanto che la Casa parla di una vera e propria nuova generazione (la quinta dalla nascita del modello). La base tecnica non si discosta da quella che ha debuttato nel 2013, dunque le misure non crescono: con i suoi 388 cm di lunghezza, la Cooper si conferma una compatta sportiva senza rivali dirette.

Tre oppure quattro

Due i motori in catalogo, un tricilindrico 1.5 e un 2.0 a 4 cilindri. Entrambi sono turbobenzina, abbinati a un cambio robotizzato a doppia frizione con 7 marce. Il 1.500, capace di 156 CV e 230 Nm di coppia, equipaggia la Mini Cooper C. Invece il due litri della più prestante Cooper S, la protagonista del nostro test, sforna 204 CV e 300 Nm: quanto basta, secondo la Casa, per schizzare da 0 a 100 km/h in 6,6 secondi e di toccare i 242 km/h. Anche la C, comunque, è velocissima: promette i 225 orari di punta e, nello 0-100, è in ritardo sulla S di appena 1,1 secondi.

Nuova semplicità

La carrozzeria è stata rinfrescata in molti dettagli e resa più essenziale, quasi minimalista, con soluzioni ispirate alle Mini Cooper elettriche E e SE (che però impiegano una piattaforma diversa e sono costruite in Cina, mentre queste a benzina nascono nel Regno Unito). Così le cromature lasciano il posto al nero lucido o a una particolare tonalità argento, e fra gli elementi ridisegnati si notano la calandra, i fari (comunque sempre tondeggianti) e la fanaleria di coda (ora di foggia triangolare). Basati su tecnologia a led, sia i fari che i fanali consentono di personalizzare la firma luminosa, scegliendo fra diverse soluzioni “grafiche” dal menu del sistema multimediale.

La nuova Mini Cooper parte da 28.900 euro

Quattro gli allestimenti. Si parte dall’Essential per arrivare al ricco e sportiveggiante JCW (John Cooper Works, come molti ben sapranno), passando per gli intermedi Classic e Flavoured. Nel caso della Mini Cooper C in allestimento base i prezzi partono da 28.900 euro, mentre per la S si devono aggiungere 3.000 euro. La forbice è comunque ampia: per la Cooper S JCW che abbiamo guidato (e che offre pure le sospensioni adattive e i freni sportivi) occorrono almeno 39.980 euro. Nota di servizio: sebbene al momento la sigla JCW designi un allestimento, non è escluso che in futuro torni, come già accadeva, a identificare anche la versione più pepata della Cooper. Che potrebbe avere 265 CV…

Fantasia al potere

Come da sempre per le Mini, è ampia la scelta degli accessori (alcuni riuniti in pacchetti) e delle possibilità di personalizzazione. Stanti le configurazioni di partenza legate ai quattro allestimenti, le possibili combinazioni sono moltissime. Naturalmente non mancano gli ausili alla guida evoluti, dal cruise control adattativo al parcheggio automatico, come pure si possono avere chicche solitamente riservate a vetture di classe superiore, quali ad esempio le poltrone con regolazione elettrica e funzione massaggio.

Un grande schermo tondo

Design essenziale anche per la plancia, rivestita in piacevole tessuto ecologico che lascia filtrare le sottostanti luci ambiente. Al centro dell’attenzione c’è il touchscreen Oled circolare da 24 cm di diametro: ispirato al vecchio strumento analogico che occupava la stessa posizione, è l’interfaccia con la vettura, dal quale si gestiscono il sistema multimediale (supportato dal Mini Operating System 9, accetta anche comandi vocali), la navigazione e le varie funzioni di bordo, compresa la climatizzazione.

Il padellone della della Mini Cooper propone diverse grafiche, collegate anche alla modalità di guida selezionata: ad esempio con quella più sportiva, denominata Go Kart, fra i parametri in evidenza c’è il regime del motore. Ma le informazioni sono davvero tante e non sempre la leggibilità è immediata.

Cruscotto addio, arriva l’HUD

Appena sotto il display c’è una plancetta con i pochi comandi fisici “superstiti”, fra i quali il selettore del cambio automatico. È invece scomparso il cruscotto, rimpiazzato da un head-up display con le informazioni essenziali. Nell’insieme l’ambiente è piacevole, con un’elevata qualità percepita nonostante nelle zone “fuori mano” non manchino plastiche rigide. Discreta la disponibilità di portaoggetti, e funzionale la banda elastica che trattiene lo smartphone sulla piastra di ricarica a induzione.

Fra le cose che non sono cambiate c’è l’abitabilità. Davanti si sta comodi, bene accolti da poltrone profilate il giusto, e l’agio non manca. Dietro, invece, il divanetto a due posti si conferma (ovviamente) quasi virtuale: lo spazio in altezza sarebbe pure discreto, ma quello per le gambe passa da scarso a inesistente a seconda di quanto si arretrano i sedili anteriori. Sotto la media pure la capacità del bagagliaio, che con i suoi 210/725 litri resta uno dei punti deboli congeniti dell’inglesina.

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