“Dev’essere piccola e saper andare ovunque”
Piccola premessa: in Giappone, nel 1949, viene creata la categoria della Kei car. Auto di dimensioni particolarmente ridotte (lunghezza, larghezza e cilindrata vengono modificate nel corso del tempo, ma non superano mai i 3,4 metri), sostenute da incentivi economici governativi. Obiettivo: tamponare il cronico problema (già in quegli anni) del sovraffollamento delle strade delle città giapponesi. Un filone nel quale si inserisce anche Suzuki, ma a modo proprio: sull’onda del fenomeno fuoristrada (Jeep Willis, Land Rover, Toyota Land Cruiser e Nissan Patrol), Suzuki decide di sviluppare un fuoristrada vero, capace di non fermarsi davanti a nulla (o quasi), ma in scala ridotta.
Nasce con motore a due tempi
Piccola, la prima Jimny lo è innanzitutto nella cilindrata: 359cc. Sì, avete letto bene. I cilindri sono solo due e il raffreddamento è rigorosamente ad aria. La potenza? 21 CV. Numeri che oggi stanno stretti a un maxi scooter, ma che nel 1970 bastano per fare della LJ10 un fuoristrada. LJ10? È il nome internazionale di quella che sul mercato interno si chiama Jimny. LJ10 sta per Light Jeep 10 e la cosa curiosa è che non nasce come Suzuki, bensì dalla piccola azienda HopeStar (poi rilevata da Suzuki) con denominazione ON360.
L’auto, ancora con marchio HopeStar, viene presentata nell’aprile del 1968. Si tratta di una biposto molto rude, senza portiere e senza tetto, spinta da motore Mitsubishi e forte di una trasmissione, integrale inseribile, molto robusta. L’ON360 è un fallimento e HopeStar ne cede i diritti a Suzuki, che apporta tre modifiche principali: potenzia di 6 CV il motore, aggiunge un piccolo sedile al guidatore e, per far rientrare l’auto nell’ingombro da Kei car, sposta la ruota di scorta dal portellone e dietro il sedile del passeggero. Pochi tocchi, ma giusti: la “fu” ON360 diventa un vero successo, anche se inizialmente solo in patria.
“Dev’essere piccola e saper andare ovunque”
Dal Giappone al resto del mondo
Nel 1981 diventa un modello globale