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Milano Ride e Deejay 100, musica nuova sotto i grattacieli

Ora non ci si può più lamentare. Da una città che da decenni non ha una vera manifestazione ciclistica a una Milano protagonista di due eventi (nuovi) nell’arco di quindici giorni, GF Milano e Deejay 100.Della prima, una Granfondo classica con partenza da Bresso e percorso di 100 km sui saliscendi brianzoli, abbiamo già raccontato. Quello che è accaduto lo scorso fine settimana è un’altra cosa, o meglio, anche un’altra cosa.UN PIATTO RICCOLa Milano Ride è stato un vero e proprio evento. Due giorni interamente dedicati alla bicicletta con più manifestazioni, non soltanto agonistiche, e una scenografia che da sola ha illuminato tutto lo spettacolo: il velodromo Vigorelli – per dirla bene Maspes-Vigorelli -, all’interno del quale già venerdì è stato allestito il Deejay Village.Sì, perché dietro alla Milano Ride ci sono pilastri di una certa robustezza, il Comune di Milano, Vodafone e, appunto, Radio Deejay. In effetti l’obiettivo è molto ambizioso, ossia dare alla città più europea d’Italia un evento di respiro altrettanto ampio, sulla falsariga della RideLondon, che porta sulle strade della metropoli e fra le colline del Surrey decine di migliaia di appassionati, agonisti, bambini e famiglie inclusi. Fra costoro trentamila agonisti, più o meno furiosi, che affrontano la gara di 100 miglia (160 km) con partenza dal Parco Olimpico e arrivo a casa della Regina, Buckingham Palace.La trasposizione meneghina Milano Ride ha messo in scena nel pomeriggio di sabato le due Citylife Urban Crono Mtb dedicate una ai giovanissimi e l’altra ad agonisti e amatori (2,5 km con tracciato misto asfalto/sterrato nell’aera di CityLife). La serata è stata movimentata allo spettacolo delle scatto fisso, con la Milano Fixed, criterium da 24 giri su un percorso di 1.300 metri ricavato intorno al Vigorelli.DEEJAY 100, LA GARAIl pezzo forte della manifestazione, come per la RideLondon, è andato in scena la domenica con la Deejay 100, mediofondo competitiva che mantiene il numero 100 nel nome ma cambia l’unità di misura da miglia a chilometri.RED era ovviamente sotto l’arco della partenza, con il team quasi al completo. Sapevamo che la gara sarebbe stata differente dalle altre Granfondo alle quali siamo soliti prendere parte, con un tracciato praticamente pianeggiante, in cui i dislivelli più marcati erano quattro cavalcavia e uno strappo vero, lungo cento metri. Questo significava solo una cosa: gara nervosa con rilanci continui e medie elevate. Fondamentale, quindi, entrare subito nel gruppo di testa e non mollarlo fino all’arrivo.I primi chilometri li percorriamo intorno a Parco Sempione, transitando davanti al Castello Sforzesco per poi pedalare lungo tutto Corso Sempione fino a lasciare la città.Che emozione. Sembrava di essere i padroni della strada, i pro del Giro, con le staffette della polizia e le auto della direzione gara che guidavano il gruppo…A dispetto di quanto anticipato dagli organizzatori – “Tranquilli, velocità controllata entro i 25 km/h nel tratto urbano!” -, il Polar non è riuscito a segnare meno di 40, anche se con tutti i numeri che siamo obbligati a fare per evitare arrotamenti su spartitraffico, marciapiedi, piste ciclabili e colli di bottiglia, si fa sinceramente fatica a distogliere lo sguardo dalle ruote di chi pedala accanto per posarlo sul display.CHI SCAPPA, CHI CADE E SI RIALZA…Il tempo di leggere “Goodbye – Au revoir – Auf wiedersehen Milano” che in testa al gruppo i più veloci si sono già staccati; con loro i quattro RED boys più rapidi. Noialtri equamente divisi nei due gruppi appena dietro, ognuno in linea con i propri Watt. Rotonde e cavalcavia obbligano a continui rilanci per ricucire i piccoli strappi che ogni volta si vengono a creare.Così via, per i primi 50 chilometri di questa Deejay 100. Casorezzo, Inveruno, Castano… Direzione Ovest, verso il Parco del Ticino. A Turbigo il giro di boa e il primo inconveniente. Nel gruppo dei migliori due si toccano e uno finisce sotto le ruote del nostro Marco, che si schianta a terra picchiando la spalla e la testa. Casco rotto ma per miracolo nulla di grave, al punto che, rimessi in bolla i comandi grazie alla fortunata presenza dell’auto assistenza, riprende a menare anche se ormai assorbito dal terzo gruppo.Le gambe cominciano a diventare gonfie e a muoversi meno agili, il tracciato si fa più mosso ma fino ad Abbiategrasso si naviga bene, rimanendo un po’ protetti dietro a chi ha meno acido acido lattico nei quadricipiti. Se dietro cerchiamo di risparmiarci (seppur saltando i ristori, usanza che considero assolutamente immorale…), davanti continuano a spingere e parte una fuga di quattro, che riuscirà ad arrivare al traguardo sotto gli occhi degli inseguitori. Gli ultimi chilometri che da Pero riportano al Vigorelli percorrono una via stretta e con rotonde, per cui c’è poco da fare se non tenere la posizione. Sotto lo striscione, Edo, Fabio e Luca arrivano con il primo gruppo, a una manciata di secondi dai quattro fuggitivi, ignari del dramma che si sta consumando alle loro spalle……E CHI PENAA una decina di chilometri dall’arrivo della Deejay 100, sul cavalcavia che supera la tangenziale e segna l’ingresso a Milano, ho un accenno di crampi e perdo le ruote del gruppo, che vedo allontanarsi inesorabilmente e senza pietà. Resto solo come un nocciolo di oliva a un aperitivo. Dopo la salita, ecco la discesa e una rotonda, presidiata da uno dei tanti omini sparsi sul percorso. Mi guarda, lo guardo e forte dell’abbrivio mi esibisco in una discreta curva per svoltare a destra. Dopo tre chilometri di stradine di paese, senza cartelli e presenza umana, mi trovo al casello della tangenziale… Maledetto nonno! Se oltre a guardarmi mi avesse detto “Di qua, non di là!!!” avrei risparmiato sei chilometri, un bel po’ di energie e non lo avrei insultato al ritorno.Vabbé, da lì all’arrivo pedalo da solo, lanciando languide occhiate al Polar per cercare di arginare il calo della media della quale fino a poco prima ero così orgoglioso. L’arco del trionfo mi rasserena con il mondo. La medaglia e l’ingresso al Vigorelli mi fanno addirittura perdonare il nonno. Dopo il “cinque” con gli altri RED boys e le foto per Instagram mi sdraio sull’erba sintetica dei Seamen con le mani dietro la testa.Mentre il sole caldo mi accarezza la faccia e i grattacieli che svettano dietro il velodromo mi appagano gli occhi, penso che i 42 di media Edo sono un sogno proibito e mi godo questa realtà affatto male.

 

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