Rinomata per attrarre centinaia di piloti che bramano l’infinito rincorrendo un record, la Bonneville Salt Flats è teatro, da più di un secolo, di epici lanci nel nulla compiuti a bordo dei mezzi a motore più disparati. Tutto ciò cui si è abituati qui subisce una distorsione. Non c’è vita a Bonneville, le condizioni estreme non lo consentono e, tutt’intorno, regna un silenzio avvolgente. È curioso come un posto così totalmente inadatto ad accogliere qualunque essere vivente, senza piante, né animali, né colori, riceva migliaia di ospiti antiteticamente variopinti e gioiosi.
Una glacialità imponente, che racchiude il destino cui vanno incontro i piloti contagiati dalla febbre del sale che imboccano l’americana Interstate 80, al confine tra Nevada e Utah, per mettere la propria vita nelle mani del Signore della Velocità. Una divinità splendida quanto diabolica, capace di elevare un cercatore di gloria sull’olimpo degli sport a motore, o di divorarlo e risputarlo crudelmente, lasciandolo con la faccia a terra.
Sfidare l’ignoto
Chi parte alla volta del mistico deserto bianco accetta di sfidare l’ignoto. Bonneville non fa promesse e molte variabili rimangono ipotetiche fino al lancio stesso. Di certo, tuttavia, questo scenario tanto puro all’occhio umano da provocare un effetto lisergico, porta con sé un’aura fortemente leggendaria, impregnata dei sogni di avventurieri visionari, folli quanto basta per dedicare quasi interamente le loro vite all’attraversamento di quella superficie così ingannevole e glaciale.
La purezza eterea del lago non è composta unicamente di sale, ma al suo interno nasconde molto di più. Essa, da oltre cent’anni, si nutre dell’adrenalina vibrante dei piloti, della potenza arrugginita delle hot rod, delle curve procaci delle moto, della sensualità affusolata degli streamliner.
Forse proprio perché non sembra di essere sulla Terra, a Bonneville si sfidano le leggi della natura. I partecipanti arrivano da ogni latitudine, La storia di Burt Munro riportata poi in un film è solo una delle tante, portando con sé una miscela di talento e coraggio che li spinge a lanciarsi a velocità estreme su una pista plasmata dal vento, liscia solo in apparenza, ma ricca, in realtà, di pericolose increspature.
Più è rischiosa la faccenda, più appare allegro il risultato finale. A ben guardare, si tratta di un calderone traboccante di storie. Sono le avventure di ogni uomo che è, ed è stato lì. Passeggiare lungo il paddock significa farsi un giro tra le passioni dei concorrenti, tra le esperienze senza eguali che portano con sé, e che il tempo non può scalfire. Si intuiscono dai colori sgargianti dei mezzi in cui ci si imbatte, bellissimi nella loro diversità, alcuni conservati con cura maniacale, altri lasciati arrugginire dal tempo. Rispecchiano l’artista che li ha forgiati, tanto da assumerne sembianze simili, quelle di chi ha affrontato più volte il suolo ruvido e stridente del sale, alla ricerca della simbiosi totale tra uomo e macchina.
Spesso, colori, materiali e soluzioni innovative per cercare la massima aerodinamicità sono ottenuti con pezzi di scarto e colpi di genio, con risultati originali quanto l’estro dei propri creatori. Basta soffermarsi sui volti per rendersi conto che si tratta di artisti puri. Veri, con gli occhi vispi, le mani sporche d’olio e un inconsapevole stile naïf.
Atmosfera
L’atmosfera è allegra ma composta, di certo non chiassosa. Sia perché, dopo tante ore, si accusa un po’ di spossatezza a causa delle temperature roventi, sia per lasciare la parola ai protagonisti: i motori. A ogni lancio, la gente si raccoglie per assistere alla sacralità dell’attimo che precede la partenza, quello in cui il pilota è solo con sé stesso, con la sua concentrazione e i suoi timori, consapevole del rischio insito nel gesto che sta per compiere. Tutto il resto del mondo che lo circonda lo sa, ragion per cui non proferisce parola e, quasi per paura di disturbare, trattiene il respiro.
Una volta partito, i cuori riprendono a battere e un sorriso si dipinge sui volti di chi è rimasto immobile a guardare. Si avverte un alone di sacralità, come si trattasse di un luogo misterioso e suggestivo che, infatti, si dice contagi piloti e visitatori con la salt fever, costringendo chiunque vi metta piede a sentire l’irrefrenabile impulso di tornare.
Ogni anno migliaia di spettatori partono alla volta dell’oceano bianco a bordo di mega motorhome, rimorchi, furgoni trasformati in case erranti, e si appostano ai lati delle piste con tende, teloni e sdraio. Restano lì per ore tutti i giorni, muniti di binocolo e, allineati sotto un sole feroce, assistono allo spettacolo dell’Enorme Squalo Bianco, il banco di prova più grande del mondo. La maggior parte degli iscritti, quasi tutti uomini, ha un’età avanzata – almeno una sessantina d’anni – ma ci sono piloti anche più attempati, autentici veterani della Speed Week. Li si riconosce dal piglio sicuro con cui si muovono in mezzo ai rookie che, invece, si guardano in giro un po’ disorientati, barcamenandosi tra lo stand delle registrazioni e quello delle verifiche dove, si scopre, il regolamento è rimasto pressoché immutato sin dalla prima edizione.
Stile americano
Per aprire le danze ci vuole un briefing in perfetto stile americano: dopo il discorso di benvenuto del presidente, il microfono passa a vecchie glorie della Bonneville che, tra un invito a levarsi il cappello (da cowboy) e un minuto di silenzio, esortano i presenti a onorare chi non c’è più. Una ragazza intona a cappella l’inno nazionale, ed è molto toccante vedere quanto patriottismo alberghi nei cuori degli americani.
I partecipanti si alzano all’alba e, con il proprio mezzo, si mettono in coda davanti a una delle tre piste: la Rookie Course, lunga tre miglia, per i principianti che devono fare il battesimo del sale (perché è sempre così, in america c’è il battesimo per tutto); la Short Course di cinque miglia, per quelli che hanno superato l’esame da matricola; la Long Course, destinata ai mezzi più veloci, tra cui gli streamliner.
Con gente sempre cortese e rispettosa delle regole e del prossimo nonostante le condizioni estreme, pare quasi impossibile che alla Speed Week si consumi, invece, la follia dell’eroismo.