Correva l’anno 1899 quando Parigi si apprestava a ospitare una nuova Esposizione universale. A un secolo dall’invenzione della pila da parte di Alessandro Volta e a un decennio dall’inaugurazione della Tour Eiffel, l’uomo entrava in un secolo pieno di attese per quello che sarebbe stato il futuro.
Nel progetto En l’An 2000, l’artista francese Jean-Marc Côté immaginava come sarebbe stata la vita cent’anni dopo attraverso delle vignette che raffiguravano come il progresso avrebbe cambiato professioni, rapporti tra gli uomini ed esistenze. Guardando ora le opere, però, si nota come, nella visione dell’autore, la tecnologia ipotizzata fosse rimasta uguale, come pure i ruoli sociali, con cameriere intente a pulire il pavimento e uomini d’affari impegnati in riunioni da remoto tramite videochiamata. Oggi possiamo affermare che le cose sono andate diversamente ma, per comprenderne il motivo, bisogna guardare alcuni esempi di comportamenti, scelte e dichiarazioni fatte dai grandi esperti del passato. L’errore più frequente nell’immaginare il futuro, dunque, riguardava la società e i suoi ruoli.
Ad approfondire il tema ci ha pensato Paolo Attivissimo, scrittore, giornalista e consulente informatico, noto per le sue pubblicazioni e i suoi blog, nei quali svolge opera di debunking delle più diffuse teorie complottiste e bufale informatiche. Socio emerito del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, durante il CICAP Fest 2021, a Padova, ha spiegato perché «è difficile fare previsioni, specialmente per il futuro». La battuta, attribuita al fisico Niels Bohr, introduce una domanda molto seria: perché le previsioni sociali o tecnologiche fatte dagli esperti sono spesso incredibilmente sbagliate, eccessivamente ottimistiche o troppo caute? Come mai sbagliano così grossolanamente? Attivissimo ha ripercorso le previsioni meno azzeccate degli scienziati del passato, esplorando le cause poco evidenti dei loro errori per cercare di prevenirli e per scegliere meglio i futuri possibili che ci aspettano.
Pessimi profeti
«Le macchine volanti più pesanti dell’aria non sono possibili», 1895; «La radio non ha futuro», 1899; «I raggi X si dimostreranno una truffa», 1899, sono tre affermazioni del fisico e ingegnere inglese, presidente della Royal Society, William Thomson, Lord Kelvin: esempio lampante di come un luminare della scienza possa prendere addirittura tre cantonate in pochi anni.
E ancora: Lee De Forest, uno dei massimi esperti della scienza e della tecnologia in generale, padre dell’elettronica, uno dei più famosi scienziati d’America della sua epoca, interpellato nel 1957 sui viaggi spaziali, rispose: «Piazzare un uomo in un razzo multistadio e scagliarlo nel campo gravitazionale dominante della Luna, dove il passeggero possa compiere osservazioni scientifiche e forse atterrarvi vivo, e poi tornare sulla Terra – tutto questo è un sogno folle degno di Jules Verne. Sono abbastanza vecchio da dire che un tale viaggio artificiale verso la Luna non avverrà mai, a prescindere da qualunque progresso scientifico futuro».
De Forest considerava i viaggi spaziali impossibili, non difficili. La sua affermazione era categorica. «E forse è questo il primo campanello d’allarme: quando un esperto è così sicuro e gli manca quell’elemento di incertezza che fa parte del metodo scientifico, dobbiamo essere scettici riguardo al suo approccio alle cose» spiega Attivissimo. «In questi casi si parla di trasgressione epistemica, che si riscontra quando un esperto parla in modo saccente di qualcosa che in realtà non conosce. Un errore molto comune, di cui sono vittima anche esperti di un campo che parlano di argomenti del proprio settore».
Un esempio emblematico è quello di Robert Metcalfe, fondatore dello standard Ethernet, che nel 1995 disse: «Internet ben presto esploderà in modo spettacolare come una supernova, e nel 1996 collasserà catastroficamente». Quando, di lì a poco, gli fu rinfacciata questa affermazione, alla World Wide Web Conference del 1997, tramite un frullatore ridusse pubblicamente in poltiglia il proprio articolo e se lo mangiò tra lo stupore e il divertimento della platea.
Immaginare scenari futuri
«Morale: gli scienziati sono pessimi profeti. Al contrario – continua Attivissimo – la predisposizione a immaginare scenari futuri appartiene agli autori di fantascienza. Jules Verne, Hebert George Wells, Isaac Asimov nella loro letteratura hanno compiuto delle simulazioni, immaginando a quali conseguenze avrebbe portato l’introduzione di nuove tecnologie nella società contemporanea della loro epoca, e intuendo che, senza saperle gestire, queste sarebbero state travolgenti».
Ray Bradbury, per esempio, è uno dei principali autori che ha cercato di mettere in guardia sui possibili futuri: «Io non cerco di prevedere il futuro. Cerco di prevenirlo». Ruolo fondamentale della fantascienza in un’epoca scientifica è quello di consentirci di fare una piccola simulazione in un ambiente sicuro.
In tempi più recenti, è significativa l’opera 1984, in cui George Orwell descrive l’ambiente oppressivo e angosciante di un governo totalitario e, soprattutto, il monito di Cory Doctorow, secondo il quale il problema, in realtà, è costituito da tanti Piccoli Fratelli, illustrando quali sono le dinamiche dei social network, di come oggi siamo in mano a delle organizzazioni private che raccolgono i nostri dati e sanno tutto di noi. Non avremmo mai dato un potere del genere a un governo, ma lo abbiamo dato a grandi organizzazioni commerciali. Nella novella Unauthorized bread, Doctorow immagina una società nella quale gli oggetti non ci appartengono, ma sono gestiti dalle grandi aziende.
O ancora Arthur Clarke, coautore della sceneggiatura di 2001 Odissea nello spazio nonché ideatore del satellite geostazionario per telecomunicazioni, che ha codificato le simulazioni di fantascienza attraverso delle Leggi: «Quando uno scienziato rispettato ma anziano dice che una cosa è possibile, ha quasi sempre ragione. Quando dichiara che è impossibile, ha molto probabilmente torto». Non è una legge assoluta, ma è un buon indicatore. Continua Attivissimo:«Secondo Clarke, due sono i motivi per cui si sbagliano le previsioni. La prima è la mancanza di coraggio: un esperto del settore ha a disposizione tutte le informazioni necessarie, ma non riesce ad accettarne la conseguenze perché comporterebbero una rivoluzione. L’esperto non concepire che il mondo gli stia cambiando intorno, quindi è riluttante, teme di perdere la sua posizione di autorevolezza. Davanti a una soluzione innovativa che sovverte tutto, scatta la paura. Quando sentiamo leader industriali di grandi gruppi automobilistici dichiararsi scettici riguardo l’auto elettrica, bisogna chiedersi se lo fanno perché conoscono la materia o perché vedono minacciata la propria sussistenza».
L’altro fattore segnalato da Clarke è la mancanza di immaginazione, ovvero l’incapacità di ipotizzare che possano emergere fatti nuovi o scoperte inattese. Lord Ernest Rutherford, fisico neozelandese scopritore della struttura dell’atomo, nel 1933 disse a proposito della possibilità di utilizzarne l’energia: «Chiunque cerchi una forma di energia nella trasformazione dell’atomo sta dicendo totali sciocchezze». Morì quattro anni dopo, senza assistere alle conseguenze dirette, esplosive, catastrofiche della sua dichiarazione sbagliata.
Sono, quindi, i fattori umani che impediscono di fare previsioni accurate e comprendere come i piccoli cambiamenti tecnologici abbiano delle conseguenze enormi a distanza di tempo. Inoltre, quando immaginiamo il futuro, solitamente prendiamo una ipotetica tecnologia e la caliamo nel contesto odierno, senza comprendere che la sua introduzione altera profondamente la società. Il problema è capire come e quando, e cercare di immaginare quali siano i modi possibili in cui può modificarla.
Per esempio, ecco come negli anni Cinquanta gli Stati Uniti immaginavano le macchina a guida autonoma: nelle illustrazioni compaiono strade con il binario elettromagnetico che permette all’auto di seguire il percorso, però, al volante, è raffigurato l’uomo, con la donna ancora relegata ai sedili passeggeri. Dunque, semplicemente una società degli anni Cinquanta con un veicolo che segue la strada da solo. Lo stesso vale per un’altra invenzione dei trasporti molto diffusa: l’auto volante. Se ne sente parlare da sempre e i giornali l’hanno proposta più volte ma, come al solito, non si pensava alle conseguenze di questa tecnologia e al posto di guida resta il maschio.
Gli effetti della tecnologia
Il futurologo Roy Charles Amara ha così sintetizzato questa difficoltà nel fare previsioni con l’omonima Legge: «Tendiamo a sopravvalutare gli effetti della tecnologia a breve termine e a sottovalutarli a lungo termine». Il GPS, per esempio, fa la sua comparsa tra i militari americani negli anni Ottanta, che lo indossavano come uno zaino. Però, quando la tecnologia scende di prezzo, si miniaturizza e viene liberalizzata, ecco il GPS da polso, un sistema dal quale dipendiamo completamente. Le conseguenze, dunque, sono difficili da prevedere, soprattutto perché spesso sottovalutate nel lungo periodo, anche per la difficoltà di azzeccare la scala dei tempi, uno dei grossi problemi delle previsioni del futuro.
E la sottovalutazione a lungo termine, purtroppo, l’abbiamo sotto gli occhi in questo periodo. Popular Mechanics del 1912 annuncia il riscaldamento globale, causato dalla combustione e dal rilascio di CO2 nell’atmosfera. E in quell’anno segnala proprio questo problema, ma sottovaluta la scala dei tempi: «Le fornaci di tutto il mondo ora bruciano circa due miliardi di tonnellate di carbone l’anno. Combinandosi con l’ossigeno, aggiungono all’atmosfera circa sette miliardi di tonnellate di anidride carbonica l’anno. Questo rende l’aria una coperta più efficace per la Terra e ne aumenta la temperatura. L’effetto potrebbe essere considerevole tra qualche secolo».
Ci sono anche degli altri fenomeni che vale pena conoscere: le innovazioni seguono una serie di percorsi psicologici sempre uguali e riassunti dal cosiddetto Hype cycle (ciclo dell’esagerazione): innesco della tecnologia, utilizzata solo da qualche utente iniziale; picco di attese, caratterizzato da un grande ottimismo; fossa della disillusione, delusione per le aspettative non corrispondenti alle attese; salita dell’illuminazione, in cui si comprende la reale efficacia di quella tecnologia; altopiano della produttività, l’applicazione porta i suoi frutti.
«Quali sono le possibili tracce per il futuro, non tanto per prevedere, ma per prevenire ed evitare futuri che non ci piacerebbero? Possiamo chiederci, quindi: quali sono le conseguenze dell’introduzione delle tecnologie? L’auto a guida autonoma, per esempio, consentirà di avere più tempo libero ai primi che la adotteranno, ma chi arriverà dopo non ne beneficerà perché sarà diventato un oggetto di massa e sarà ormai una consuetudine lavorare durante il viaggio. Non solo: come effetti inattesi si possono immaginare mamme che programmeranno il SUV perché porti autonomamente a scuola il figlio; oppure persone che, invece di parcheggiare, lasceranno orbitare il veicolo a vuoto per richiamarlo quando ne avranno di nuovo bisogno. Paradossalmente, l’introduzione della guida autonoma rischia di creare maggiore congestione nelle nostre città».
E ancora: l’internet delle cose, i dispositivi digitali Piccoli Fratelli che monitorano e registrano tutto ciò che ci riguarda e che fanno confluire queste informazioni all’interno di grandi banche dati. «Cosa succederà quando questi dati verranno messi insieme per intere popolazioni? Quali saranno le conseguenze? Cosa succederà quando una tecnologia come la robotica raggiungerà livelli come quelli presentati da Boston Dynamics, con dei bipedi che possono in gran parte eseguire lavori manuali? Andremo incontro a una disoccupazione, a un nuovo movimento dove, alla stregua dei no-vax, ci saranno i no-robot che li accuseranno di aver rubato loro il posto di lavoro? Cosa succederà quando la tecnologia che ci tiene in vita ci renderà dipendenti da un’azienda e questa revocherà la licenza del software del nostro pacemaker o del dispensatore di insulina?». Cory Doctorow ipotizza che ci sanno nuovi posti di lavoro, come il broker dei privilegi stradali. In una città in cui le auto saranno autonome e gestite da un sistema centrale, i ricchi potranno permettersi di avere tutti i semafori verdi lungo la loro strada, mentre gli altri aspetteranno in fila.
«Di fronte a scenari come questi – conclude Paolo Attivissimo – non resta che analizzare gli errori commessi in passato per scrivere un futuro migliore. Possiamo porci delle domande tenendo presente ciò che abbiamo appreso per cercare di prevenire quello che è stato descritto dagli autori di fantascienza. Il futuro è a nostra disposizione: spesso ci troveremo davanti a un bivio e dovremo scegliere se lasciare che qualcun altro decida per noi o, invece, informarci e usare le armi dell’intelletto, della conoscenza e del metodo scientifico per avere il controllo della situazione. Dalla tecnologia, alla società, al clima. E alla fine, chi non sarà stato un bravo profeta ne pagherà le conseguenze».