“Buongiorno Stefano, ben arrivato. Visto che bel tempo oggi? E Valentino? Che mi dici? È un grande! L’altra domenica ho guardato la gara in piedi per la tensione. Qui da noi corriamo su strada, le gare in circuito le chiamiamo ‘car park racing’ ma Rossi… Rossi è una star. Credi che ce la farà a rivincere il mondiale?”. L’uomo che mi attende in aeroporto mi accoglie con una valanga di parole. Cordiale, sorridente, calmo. Penso che sia uno dell’organizzazione, ma mi accorgo solo al parcheggio che invece è un tassista… Questa è l’Irlanda, un’isola dai grandi contrasti (anche politici) ma popolata da persone gioviali, rilassate, accoglienti e sempre sorridenti. Una terra dove quando ti vedono arrivare in moto si spostano per farti passare e ti salutano. Bellissima, l’ho visitata anni fa in moto da turista e sono proprio contento di tornarci per un altro giro. Il merito è di Honda che ha pensato di portarci fin quassù per vivere una di quelle prove che si chiamano “experience” e che sono le mie preferite perché consentono al tester di “vivere” la moto oltre che di provarla. Nei press test siamo abituati alle “sveltine”: si arriva, si ascolta, si guida. Tutto organizzato, tutto incasellato perfettamente per far provare la moto nel miglior modo possibile. Ma nelle experience è tutto differente: sulla moto ci stai per 10 ore, guidi in ogni condizione (anche metereologica), è tutto un po’ meno programmato, è un viaggio in cui spesso capisci molte cose in più, riesci ad entrare in maggiore sintonia con la moto.
Nel caso specifico Honda ci teneva (a ormai quasi tre anni dall’arrivo sul mercato) a farci vivere due giorni serrati con le moto dotate di DCT. Geniale l’idea di collegare tre città irlandesi, Dublino, Cork, Tipperary, le cui iniziali coincidono proprio con quelle del rivoluzionario cambio Honda. Già, rivoluzionario, perché questo è il DCT (Dual Clutch Transmission). Non un cambio automatico, non un variatore, ma un vero e proprio cambio robotizzato con doppia frizione come quello che troviamo sulle auto sportive. Ci sono tutti gli ingranaggi e tutti i selettori di un cambio normale, ma anche due frizioni che gestiscono una i rapporti pari e l’altra quelli dispari, per cambiare in modo rapidissimo e fluido. Non entro nello specifico rimandandovi all’articolo che spiega il funzionamento del cambio Honda. A volte, noi che stiamo da questa parte della barricata fatichiamo un po’ a percepire le innovazioni tecnologiche che troviamo sulle moto. Diciamo che diamo sempre un po’ tutto per scontato. Alcune poi, fatichiamo a digerirle, soprattutto quelle che fanno “qualcosa per noi” come Ride By Wire o DCT.
Ma se siete tra chi la pensa così mettetevi l’anima in pace: dopo che si prova una di queste moto tornare indietro è difficile, perché sarebbe come tornare alla TV senza telecomando. Molto più comodo in tante situazioni di guida, il DCT non toglie nulla del piacere di guida, perché si può scalare, tirare la marcia, guidare sportivo. Puoi fare tutto ma anziché il piede usi il pollice. Oppure puoi lasciar fare a lui e concentrarti solo sulla guida. Non è un caso che dopo un po’ di diffidenza iniziale, ora il DCT sia letteralmente decollato nella scelta dei clienti, soprattutto sulla Crosstourer. Una su due che lasciano il concessionario adotta il DCT, e anche le NC700 stanno prendendo la stessa strada.
Differente il discorso per l’Integra, il moto-scooter Honda per cui non c’è scelta, esiste solo con DCT. Sono queste le moto che guiderò lungo i 680 km dell’itinerario irlandese, passando da una all’altra come in una staffetta.
GIORNO 1: DUBLINO-CORK
Il mio abbigliamento tecnico è sparpagliato per tutta la camera: conosco bene il meteo Irlandese e so che nell’arco di 5 minuti si può passare dall’inverno all’estate e viceversa. Per questo mi sono portato il classico abbigliamento a cipolla: intimo termico di tre spessori, giacca e pantaloni, guanti e stivali in Gore-tex e completo antipioggia, non perché non mi fidi del Gore-tex quanto piuttosto perché odio “l’effetto spugna” che hanno le giacche impermeabili quando si prendono 8 ore d’acqua. Ma la giornata promette bene: vento teso, nuvole che viaggiano a cento all’ora e sole a sprazzi accompagnano la nostra partenza. Quando viaggi in moto basta 1 km per capire se hai azzeccato l’abbigliamento, se dovrai soffrire il freddo tutto il giorno o sarai sottoposto a una sauna involontaria. Stavolta ci ho preso, l’aria tesa e tagliente non passa attraverso il mio multistrato e posso godermi la guida della NC700X DCT, la prima che mi è capitata nella roulette delle assegnazioni. La crossover Honda mi piace, l’avevo apprezzata alla presentazione e poi anche durante il nostro eco-contest l’anno scorso.
Non l’avevo mai provata con cambio a doppia frizione e devo dire che ci guadagna. Non trovare la frizione per partire non è un problema, tanto più che la Honda accelerando parte con una dolcezza degna del pilota più sensibile, consentendo anche di fare manovre a velocità minime senza problemi.
Le logiche di funzionamento scelte da Honda sono azzeccate. Ormai il DCT è arrivato alla seconda generazione, eliminando qualche limite e ampliando l’arco di utilizzo della mappatura D (Drive) la più usata. Rispetto al passato questa mappatura che Honda ha giustamente ribattezzato “smart”, è quella che consente l’utilizzo più vario. A passo normale sfrutta la coppia minimizzando i consumi: il risultato è che il DCT, lavorando in sintonia con la curva di erogazione del motore, innesta marce a regimi bassissimi e riduce i consumi.
Un sorpasso? Basta accelerare e la scalata è immediata. Il sistema scala uno o due rapporti e alza il regime di cambiata (sovrapponendosi alla mappa Sport per qualche momento), per consentire la migliore accelerazione, salvo poi tornare tranquillo quando la soluzione si stabilizza. Di sicuro è questa la mappatura migliore per ogni occasione: la Sport tiene il motore più su di giri, aumenta quindi il freno motore anche se non ne ho mai sentito la necessità. Così come non ho mai sentito la necessità di passare alla modalità manuale.
Il DCT fa tutto bene da solo, non è mai indeciso sul rapporto da innestare, reagisce rapidissimo (e fluido soprattutto in salita, mentre in scalata qualche “clack” si sente) e nel 99% dei casi agisce sul cambio proprio come lo farei io. L’1% è rappresentato da casi particolari come il sorpasso in velocità (diciamo dagli 80-90 chilometri orari), in cui il cambio non scende sotto la quarta mentre forse a mio parere potrebbe andare anche in terza (complici sono i rapporti molto lunghi, ma penso ad esempio quando si guida in coppia), e in qualche curva dove resta inserito un po’ troppo a lungo un rapporto alto, abbassando il freno motore e facendo correre la moto. In questi casi viene utilissima la funzione “autoritorno” che consente al pilota di intervenire manualmente sul cambio, che subito dopo torna in modalità automatica. Mentre studio queste soluzioni l’asfalto irlandese scorre veloce sotto le ruote della NC700X: la moto è bilanciata, scorrevole e fluida. Lungo le stradine secondarie irlandesi un po’ rovinate e circondate da siepi mette in mostra sospensioni che tutto sommato assorbono bene.
La strada sale verso un passo, l’apripista “indigeno” in sella a una Crosstourer tiene un passo decisamente allegro, ma la NC700X “tiene botta”, sfruttando la ciclistica semplice ma valida e la coppia del motore. Anche in salita scopro che il DCT lavora perfettamente. Mi è capitato di guidare auto con cambi robotizzati molto meno efficienti di questo e molto più indecisi. La NC invece non sbaglia un colpo e in discesa ci si può aiutare con l’autoritorno per scalare le marce più rapidamente prima di una curva o di un tornante. La frenata è buona ma non eccezionale, soprattutto se si sfrutta molto il freno anteriore come con le moto “normali”. Con queste moto, invece, occorre abituarsi a usare molto il pedale del freno posteriore, visto che il sistema CBS trasferisce la frenata sull’impianto anteriore. Solo in questo modo si sfrutta l’intera potenzialità a disposizione.
Il sistema è tarato molto bene: usando il freno posteriore per gestire la percorrenza non si ha il fastidioso effetto autoraddrizzante di certi modelli dotati di CBS in passato. Lo stesso feeling ce l’ho sulla NC700S, la seconda “staffettista” che mi trovo a guidare durante il viaggio. Stesso motore, stessa logica di funzionamento, stessa praticità offerta dal vano portacasco, che mentre si viaggia è di una utilità esagerata. Ormai sono abituato al funzionamento del DCT per cui salto in sella, premo il pulsante D per innestare la marcia e lascio fare tutto alla moto. Pur essendo la base tecnica identica, l’approccio con la S è leggermente differente: la posizione di guida, la mancanza di riparo aerodinamico e le sospensioni con minore escursione la rendono leggermente più “sportiva” e ovviamente meno comoda rispetto alla X. Motore e cambio passano ancora l’esame, ma la S mi conquista meno della X a causa della forcella che non finisce di convincermi, assorbendo poco. Alla fine la guida con la naked è un po’ meno fluida e gradevole di quanto accade con la X: detto questo, nel misto guidato che affrontiamo sempre dietro all’apripista frettoloso, la NC700S non perde il passo. Guidandola su strade normali non mi fa sentire quasi mai l’esigenza di avere più cavalli.
Viaggiare in Irlanda significa avere a che fare quasi costantemente con il vento, un vento che può portare nuvole e pioggia, ma a volte anche squarci di sereno, che quando arrivano creano un effetto quasi pirotecnico. È come se quest’isola abituata al grigio volesse catturare ancora più luce. L’erba si accende e ci fa capire perché il catalogo Pantone ha registrato 72 sfumature di verde prendendole da quest’isola, dove i colori delle case si incendiano e il cielo ti tinge di un azzurro quasi irreale.
Chiudo la giornata in sella all’Integra, che merita un discorso a parte. Sì, perché classificare questo mezzo è davvero difficile. L’approccio è da scooter: con la pedana, lo scudo, il parabrezza e i comandi dei freni entrambi al manubrio. Però quando lo guidi capisci che l’Integra con gli scooter c’entra poco. Perché in effetti non è uno scooter che si guida come una moto, ma una moto che fa lo scooter e non è una differenza da poco. Basta la mancanza del serbatoio in mezzo alle gambe per approcciarsi in modo totalmente differente al mezzo (che sul quale tuttavia si sale “a scavalco” come sulle moto). Quando ti siedi in quella posizione, la presenza del cambio automatico viene data per scontata e quasi mi infastidisce (per modo di dire ovviamente) il dover innestare la prima marcia prima di partire. Con l’Integra non cerchi il cambio: vuoi girare la chiave, accelerare e andare.
Però, poi, quando lo guidi capisci che “sotto” c’è una moto. Come tale si comporta, infatti, l’Integra, che non scende in curva rapido come uno scooter ma “tondo” come una moto che in velocità ha una stabilità che nessuna ruota piccola riesce ad eguagliare, che non fa un rumore da scooter perché cambia le marce, come una moto. Un “ibrido” che non trova eguali sul mercato e che come tale va giudicato perché altrimenti si finisce per criticare la mancanza di un vano sottosella degno di tale nome (lo hanno più grande le NC…) o di una pedana più lunga che consenta di arretrare i piedi quando si guida in modo sportivo. La pedana è, infatti, un po’ corta perché deve lasciare spazio al motore piuttosto largo e non consente appunto di arretrare i piedi.
Detto questo, scendendo dalla NC700S l’Integra fa la figura di una limousine: protegge, ha una sella più morbida (anche se più alta da terra) e scopro che per questo modello gli ingegneri hanno scelto una logica leggermente differente per il DCT. Guidando rilassati le NC innestano le marce una dietro l’altra, l’Integra “tiene” la marcia un po’ più a lungo prima di passare al rapporto superiore. Una scelta voluta per cambiare il feeling di guida: far sentire le “pulsazioni” del motore sulle moto e offrire invece più comfort sull’Integra. Con il DCT si può fare pure questo.
GIORNO 2 CORK-TIPPERARY-DUBLINO
Se ieri ho assaporato tutte le 72 sfumature di verde dell’Irlanda, oggi vivo le 50 sfumature di grigio, ma la situazione, vi assicuro, è molto meno divertente di quanto racconta la protagonista del libro di E.L. James. Il volto bigio dell’Irlanda mi appare appena apro le tende della camera. Piove e tira vento e per questo do fondo alle riserve di capi impermeabili che ho con me. Il secondo giorno è quello delle 1200, VFR prima e Crosstourer poi, per concludere in bellezza il tappone da 340 km che percorreremo praticamente sempre sotto la pioggia, a tratti torrenziale. Ma la cosa non mi dispiace: quando si è ben equipaggiati e certi di non bagnarsi, viaggiare sotto la pioggia non mi dà fastidio e poi mi ricorda quando 10 anni fa ero qui in vacanza in moto. Questo tempo era la costante. Salendo sulle 1200 si assaggia il miglior cambio DCT.
Non che ci siano differenze a livello meccanico, il principio di funzionamento è lo stesso, ma il V4 ha a suo vantaggio una funzione fondamentale in più: il Ride by Wire. Lavorando in sintonia con il DCT, il Ride by Wire consente cambiate ancora più fluide e rapide, soprattutto in scalata quanto il sistema sfrutta il “blipper”, cioè il colpetto di gas dato in automatico per aiutare l’innesto del rapporto inferiore. Usato sul motore “grosso”, il DCT è una goduria.
Anche in questo caso la coppia corposa del V4 è un toccasana per una trasmissione come questa: andando a spasso le marce vengono inserite a raffica, con il motore che tiene la sesta anche a velocità da parata; per un sorpasso basta accelerare e il sistema in modo estremamente rapido scala anche due marce proiettando la moto in avanti. Guidando la VFR mi vien da pensare a scenari futuri nemmeno troppo fantascientifici dove in una moto sportiva si potrà magari programmare il regime di cambiata tra una curva e l’altra assieme alle sospensioni e ai vari settaggi del traction control e dell’ABS. Non siamo molto lontani, Honda (lo hanno ammesso) sta già lavorando al DCT per le moto sportive, con una premessa: non si potrà adattare alcun motore attuale a questo cambio, ma il motore stesso andrà progettato assieme al cambio. Aspettiamoci quindi l’arrivo in futuro di nuovi motori con cambio DCT: il prossimo sarà probabilmente un bicilindrico in linea con cilindrata attorno ai 1.000 cc.
Penso a queste cose mentre guido la VFR1200F, più che altro per distrarmi dal vento che mi prende a schiaffi e dall’acqua che inonda le strade. Non posso non notare quale incredibile grado di sicurezza abbiano raggiunto le moto e gli pneumatici moderni. Nonostante il maltempo, viaggiamo spediti con un feeling pazzesco e il DCT, lo ammetto, in questo caso è un bell’aiuto, dato che toglie il disturbo di dover scegliere la marcia giusta in scalata. Purtroppo la VFR non finisce di convincermi: il motore è fantastico, il cambio lo promuovo con lode ma la posizione di guida un po’ anacronistica con pedane alte e manubri lontani e chiusi è troppo costrittiva per appagarmi mentre mi districo tra le strette strade secondarie Irlandesi. Probabilmente su percorsi più aperti il mio giudizio sarebbe differente, ma in generale trovo che questo tipo di moto sia ormai un po’ fuori dal tempo.
Anche perché poi provo la Crosstourer e scopro la sport touring moderna e quella che al momento è probabilmente la migliore applicazione del DCT sulle moto Honda. Comprendo facilmente perché la versione DCT della crossover Honda sia sempre più richiesta: su una moto così il cambio a doppia frizione è un valore aggiunto ancor più prezioso che su altri modelli. La Crosstourer si veste da enduro ma alla fine è un’ottima stradale, non pesa poco ma è bilanciatissima, ha un motore eccellente (pieno di coppia e carattere, e ha pure un bel rumore), sospensioni morbide, è comoda. Guidarla così, lasciando fare al cervellone, è davvero qualcosa di molto comodo.
Come la VFR, la Crosstourer sfrutta il Ride By Wire per far lavorare al meglio anche il cambio a doppia frizione, che su questo modello si comporta davvero alla grande. Come molte nel suo segmento, la Crosstourer è la moto che fa venir voglia di allungare il viaggio all’infinito. Peccato che invece il nostro sia giunto al termine: non oso pensare quante volte mi sono risparmiato di tirare la frizione durante i 680 km che hanno caratterizzato questa esperienza con le Honda DCT. Un’esperienza che mi conferma come, una volta provata un’innovazione, tornare indietro è molto difficile. Il DCT è davvero un elemento di rottura del passato: offre tutte le comodità di un cambio moderno senza sminuire di una briciola il piacere di guida. Mi sono sentito meno motociclista guidando una moto con questo cambio? No, mi sono sentito un motociclista più furbo.