Il ritorno del falco
Comoda, ricca e sempre velocissima. Il ritorno della moto ispirata dal “falco pellegrino” (questo la traduzione del suo nome dal giapponese) sembra un po’ controrrente con il mercato, ma la nuova Suzuki Hayabusa 2021 dimostra di stimolare ancora i sensi del motociclista. Come avviene in tanti campi, anche nel mondo delle moto ci sono prodotti “meteora” e altri destinati a lasciare un segno, a prescindere dal successo commerciale. Quando, alla svolta del millennio, nel 1999, planò sul mercato, era evidente che il falco Suzuki Hayabusa non avesse intenzione di fare una toccata e fuga nel pianeta moto.
Per via del suo aspetto imponente, certo, ma soprattutto per l’essersi proposta – e imposta – come straccia record, con i suoi clamorosi 312 km/h. Partì una storia lunga, anche se sul nostro mercato non prese mai il volo dei grandi numeri (al contrario degli USA), si ripresentò in seconda generazione nel 2007 e in terza nel 2012, per poi salutare il mercato nel 2018, dopo aver fatto volare nel vento i suoi estimatori, anche la sua stratosferica velocità di punta si fermò ben presto ai 299 autolimitati per un accordo fra le case jap. Alla fine degli anni “Dieci” sembrava non avere più senso, superata in prestazioni e reattività dalle spigolose e agilissime superbike stradali di ultima generazione: e invece no.
Quando, alla svolta del millennio, nel 1999, planò sul mercato, era evidente che il falco Hayabusa non avesse intenzione di fare una toccata e fuga nel pianeta moto.
La rinascita
Anno 2020, come un’autentica diva anche la Hayabusa si rivela immortale: eccola così resuscitare per presentarsi a sorpresa sul mercato 2021 con coraggiosa coerenza, nell’aspetto e nella sostanza. In controtendenza con bombardoni a manubrio basso di oggi che sono moto da corsa con la targa, mentre le GT veloci hanno piglio sportivo ma impostazione più turistica rispetto alla Hayabusa. Lei rimane fedele alle sue forme morbidamente pesanti, figlie di una straordinaria ricerca aerodinamica che garantisce protezione, comfort, stabilità, unitamente alla eccezionale efficacia in prestazioni.
Come un’autentica diva anche la Hayabusa si rivela immortale: eccola così resuscitare con coraggiosa coerenza, nell’aspetto e nella sostanza
Curve morbide
Di fatto, la silhouette si è evoluta negli anni, ma l’impronta estetica e le proporzioni sono quasi le medesime di vent’anni fa: come dire, la sicurezza dell’imponenza. La base tecnica è in parte rimasta quella dell’ultimo m.y. archiviato, con il 4 cilindri in linea raffreddato a liquido da 1.340 cc capace di una potenza massima di 190 CV a 9.400 giri e una coppia massima a 150 Nm a 7.000. Ma analizzandola bene si scopre che la nuova GSX 1300 R Hayabusa ha parecchio di inedito -quasi tutto a dire il vero…- dentro, e pure fuori, a partire dai gruppi luci full LED, per non parlare della considerevole dose di elettronica che le è stata inoculata. Per capire meglio l’evoluzione Hayabusa e la sua attuale dotazione vi rimando all’articolo e al video di approfondimento a cura del nostro ingegnere Stefano Cordara.
Speed battle
Ma è arrivato il momento più atteso, quello delle verità esposte. Quando si ritrovano oggetti riconducibili al proprio passato, personale o professionale, riprenderne il contatto favorisce spunti di riflessione e sensazioni strane, generalmente piacevoli. Avevo avuto a che fare, come tester, con le prime edizioni della Hayabusa, in particolare intorno al 2006 in occasione della comparativa con le sue rivali storiche: Honda CBR1100XX, primo bolide dell’epoca a oltrepassare la fatidica barriera dei trecento fra le moto di serie e la Kawasaki ZZR1400, altro aereo nipponico su ruote, rimpiazzata oggi della ben più moderna H2. Furono esperienze tecniche coinvolgenti e appassionanti: quando eri in sella a uno di questi mostri ti sembrava di avere fra le mani un missile terra-terra. La difficoltà principale era trovare l’ambito dove poterle misurare… Il fatto che queste moto fossero totalmente prive di controlli elettronici, allora, era inconsapevolmente un “non problema”: oggi avremmo timore a usarle, queste moto, senza gli attuali supporti. A dimostrazione di come cambia l’ottica col passare del tempo e con l’evoluzione tecnica.
Il fatto che queste moto fossero totalmente prive di controlli elettronici, allora, era inconsapevolmente un “non problema”
Stile 2000
La “Busa”, però, è sempre lei: mastodontica e lunga, ma ora con guida un filo più raccolta grazie al manubrio avvicinato di poco più di un centimetro. La mole è da sport touring con i suoi 264 kg a secco, che tra serbatoio da 20 litri e i liquidi motore raggiunge tranquillamente quota 290. L’altezza sella di 800 mm consente un bell’appoggio anche nella gestione del peso a motore spento, dove, semmai, non si è molto agevolati dal manubrio a impronta semi sportiva. Non appena in movimento, il disagio quasi svanisce e la moto si fa condurre naturalmente e la ritrovo ben bilanciata.
Anche su percorrenze medie non provoca più di tanto stress su braccia e polsi, mentre chi è più alto, alla lunga, potrebbe risentire della distanza piuttosto contenuta fra sella e pedane (che in curva toccano prestino, ma basta togliere i lunghi piolini per evitarlo). In compenso la seduta del pilota è ampia e piuttosto confortevole. Il cruscotto TFT lcd è al centro dei due strumenti circolari analogici, i quali ci riportano piacevolmente all’origine, mentre il fondo scala del tachimentro con l’ultima cifra indicata a 280 (la prima versione aveva un a dir poco esaltante 340) quasi delude smussando un poco gli animi dei recordman di velocità.
Autolimitata
Ovviamente sono scelte razionali e sensate del costruttore, che in accordo con gli altri tre brand giapponesi autolimita le moto stradali a 299 km/h, a costo di rinunciare a un elemento di marketing emozionale come il valore assoluto della velocità. In realtà a impressionare sono gli altri suoi numeri: 0-100 km/h in 3,2 secondi e 0-200 km/h in 6,9 secondi. Ma il valore effettivo di questo motore è la formidabile qualità di erogazione, con la sua straordinaria forza di ripresa da pressoché tutti i regimi di giri. La guida sul percorso stradale lo ha dimostrato, specialmente sui tratti più lenti, affrontabili quasi in modalità monomarcia. Per sua indole, la Hayabusa si trova a suo agio su spazi aperti medio veloci, ma ciò non impedisce di apprezzarne una maneggevolezza che non ci aspettavamo, in parte attribuibile alla scelta della gomma posteriore da 190/50 (oggetto però di critiche da chi si aspettava un upgradi in questo senso) anziché la più modaiola 200. Vince e convince in stabilità e in rigore di guida: anche forzando il passo, la moto procede granitica come su binari, anche su eventuali imperfezioni del fondo e qui farebbe la differenza con le sportive pure, generalmente più suscettibili ai difetti del manto. Le sospensioni Kayaba regolate e messe a punto come si deve si sposano bene con il telaione bitrave perimetrale in alluminio, per un invidiabile equilibrio e bilanciamento di guida. Anche il quickshifter bidirezionale mi ha soddisfatto, sia come velocità sia come precisione. In uscita dalle curve da marcia bassa, c’è un accenno di on-off all’acceleratore che si può attenuare con il classico ditino di frizione alla riapertura.
Numeri “crudi” a parte, il valore effettivo di questo motore è la formidabile qualità di erogazione
OK fra i cordoli
Data la leggera (eufemismo) esuberanza del propulsore, Suzuki ci ha dato la furba possibilità di fare delle sessioni sul circuito di prova di Vairano: ambito ancora più adatto al classico autodromo per riuscire a esprimere tutta l’energia del poderoso 1300 Suzuki, e unica possibilità per riuscire a snocciolare tutte le marce, anche con partenza da fermo.
Qui ho potuto anche verificare quanto sia fondamentale ed efficace l’aerodinamica della moto, che alle velocità stratosferiche lascia il pilota perfettamente integrato nel binomio uomo-macchina. Girando nel circuito di prova a passo fluido la moto è bellissima da guidare e divertente nonostante la mole, mentre forzando il passo, fra i cordoli, sarebbe stato forse più adatto il maggior sostegno di un gommone da 200.
Assistenza… totale
Nella sessione in circuito ho avuto anche modo di giocare un po’ con le principali opzioni del Suzuki Intelligent Ride System (SIRS ), che comprende il Suzuki Drive Mode Selector Alpha (SDMS-α): quest’ultimo raggruppa ben cinque sistemi elettronici avanzati che consentono di auto confezionarsi al massimo l’esperienza di guida in base al fondo, alle attitudini, alle capacità e… all’umore.
Alle tre modalitá preimpostate (A, B e C) che suggeriscono determinati abbinamenti dei vati controlli, l’SDMS-α offre l’opportunità di configurare altri tre settaggi personalizzati (U1, U2 e U3). Il tutto mediante i tasti sul blocchetto elettrico sinistro, mentre le impostazioni selezionate appaiono sul display TFT LCD.
Il “cervellone” è la piattaforma inerziale
L’IMU Bosch, che lavora su 3 assi e 6 direzioni, comprende accelerometro e giroscopio in un singolo dispositivo, che ha il compito di rilevare il beccheggio (l’oscillazione avanti e indietro), il rollio (l’inclinazione da un lato all’altro) e l’imbardata (lo spostamento rispetto alla direzione iniziale). Oltre alle succitate mappature con il Power Mode Selector, sulla Hayabusa 2021 si può controllare l’impennata (Anti-Lift Control System) su ben dieci livelli di intervento, la trazione (Traction Control), su altrettante possibilità di regolazione (in crescendo da 1 a 10) e si può anche togliere.
Start games
Poi ho avuto la possibilità di provare il Launch Control System, per i lanci da fermo a full gas ma in sicurezza, con tre livelli di regime di giri di partenza: 4.000, 6.000, 8.000 giri (per quest’ultimo ci vuole un bel pelo eh, perché l’effetto sonoro è piuttosto forte).
La frenata della Hayabusa è estremamente sofisticata, praticamente assistita in tutte le circostanze. Innanzitutto è combinata, ovvero ripartisce automaticamente anche sull’impianto al retrotreno l’azione del pilota sulla leva anteriore: inoltre è presente l’Engine Brake Control System, che sostanzialmente toglie l’effetto del freno motore durante la scalata, eliminando lo slittamento e il saltellamento della ruota posteriore. Ha tre regolazioni e si può comunque disattivare.
Sicurezza per tutti
Per la guida su strada in gruppo o comunque nel traffico, Suzuki ha messo a punto l’Emergency Stop Signal, che facendo lampeggiare rapidamente gli indicatori di direzione avvisa chi segue il caso di frenata brusca a velocità pari o superiori ai 55 km/h. Molto importante sul fronte sicurezza anti panico anche il Motion Track Brake System: gestisce e calibra l’intervento dell’ABS (che quindi ha funzione cornering) non solo in rettilineo ma anche in curva. Così, in caso di azione repentina in inserimento o percorrenza di curva, riduce la tendenza della moto a raddrizzarsi e anche a perdere l’aderenza.
Rispetto alle sportive pure, la Hayabusa attutisce parecchio la percezione a bordo della velocità quando si viaggia. Su strada, questo comporta minor affaticamento e meno stress ma. Ma anche il maggior rischio di non rendersi conto… a quanto si sta andando: per questo è utile l’Active Speed Limiter, che una volta fissato, impedisce di superare la velocità massima programmata (un po’ come le macchine e le moto da corsa in corsia box).
Per i tratti autostradali è utile e rilassante il Cruise Control System, operativo fra i 31 e i 200 km/h, con il motore tra i 2.000 e i 7.000 giri, dalla seconda marcia in su.
Infine, altre due chicche di uso pratico e di sicurezza: per chi ha difficoltà nelle ripartenze in salita Suzuki offre Hill Hold Control System, che attiva automaticamente il freno posteriore per 30 secondi quando ci si ferma in pendenza. Lo Slope Dependent Control System, invece, è una specie di anti cappottamento, ovvero evita il sollevamento della ruota posteriore quando si azionano i freni in discesa in modo maldestro, molto maldestro.
La Suzuki Hayabusa è disponibile in due colorazioni: Nero/Gold e Silver/Rosso, al prezzo di 19.390 euro.