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Man, l’isola del peccato

Quattro giorni immerso in un’atmosfera unica. Un’isola magica, una gara discussa ma indubbiamente magnetica. La settimana del Tourist Trophy trasforma una tranquilla isola del nord, bellissima e tutta da scoprire, in un parco giochi per motociclisti dove l’adrenalina (e la birra) scorrono a fiumi. Quest’anno c’eravamo anche noi

Mentre sono in volo sopra lo stretto braccio di mare che separa l’isola di Man dalla Gran Bretagna, cerco di riordinare le idee. Negli ultimi quattro giorni ho vissuto moltissime suggestioni diverse e vissuto intensamente quella che potremmo chiamare “TT Experience”. L’ho fatto grazie a Honda, Casa che probabilmente più di ogni altra è legata a questa gara. La prima gara europea a cui Honda ha partecipato, nel 1954.

Soichiro Honda era affascinato dal Tourist Trophy, allora la competizione motociclistica più famosa al mondo. Per questo motivo Honda e il TT sono legati a filo doppio

Un legame apparentemente indissolubile, che porta il colosso giapponese a impegnarsi direttamente con un team ufficiale, moto veramente “factory” e piloti di primo piano.

Non solo gare

Ma qui al TT non ci sono solo le gare. Venire qui, vivere l’atmosfera quasi magica che si respira nell’isola, la semplicità con cui piloti e tecnici vivono il paddock, è un’esperienza che chiunque ami la moto dovrebbe fare almeno una volta nella vita. La normalità dell’eccezione. Questo accade al TT. A prescindere dal fatto che si possano amare o odiare le road racing, il TT è un evento che va oltre. Daytona, Sturgis, l’Elefantentreffen, il viaggio a Caponord sono tutti eventi a volte estremi ma proprio per questo capaci di attirare il motociclista oltre la logica. Il Tourist Trophy è uno di questi. Per una settimana in un’isola popolata da circa 80.000 abitanti ne arrivano altri 30.000 che si accampano ovunque, in tenda, nelle case affittate, negli alberghi. Tutto sold-out per un mega “raduno diffuso” che colonizza l’isola. Questa massa di persone non crea problemi, non è oltremodo chiassosa ma è una massa di appassionati allegra e festosa. C’è solo voglia di stare insieme, piazzarsi nei punti giusti e ammirare i moderni gladiatori che si sfidano nell’arena più veloce del mondo. E poi finire la serata in uno dei tanti locali, bevendo ettolitri di birra, bevanda il cui consumo nei giorni del TT credo raggiunga quantità iperboliche.

Una settimana vale un anno

Per l’isola il TT è un business pazzesco. Tutto sembra ruotare attorno alla moto: nei pub, nei locali, nelle abitazioni che confinano con il “TT Course” i cui giardini vengono affittati (c’è ormai anche chi affitta l’auto di proprietà insieme alla casa…).  Non è così per tutti: accanto a chi fa business, altri subiscono il TT. Parlando con la gente la risposta è più o meno sempre uguale: “Il TT è un po’ come il Natale, anche se non ti piace arriva lo stesso, per cui tanto vale rassegnarsi”. Per questo motivo molti abitanti dell’isola, tranquilla per 360 giorni l’anno, colgono l’occasione per andare in vacanza durante il TT, lasciando spazio ai nuovi variopinti inquilini. Bello vedere il parco moto circolante perché c’è davvero di tutto: special, enduro, Harley, sportive (of course), modelli che credevi spariti dalla circolazione. Li trovi tutti, come in un almanacco della moto che comprende tutti i modelli dagli anni 60 a oggi.

Una piccola Irlanda

Il Tourist Trophy è veramente un evento trasverale e per questo motivo va oltre le gare. Nel giorno in cui abbiamo avuto modo di girarla, in moto ovviamente, ho scoperto un’isola paesaggisticamente bellissima, godibile sia su strada sia, soprattutto, in fuoristrada, disciplina qui regolamentata alla grande – segno che volendo si può! Ci sono cartelli che indicano i sentieri per moto e cavalli – e che ho potuto assaggiare in sella a un’Africa Twin guidata da un apripista di eccezione: Dave Thorpe…

Tutto sembra ruotare attorno alla moto: nei pub, nei locali, nelle abitazioni che confinano con il “TT Course” i cui giardini vengono affittati (c’è ormai anche chi affitta l’auto di proprietà insieme alla casa…).  Non è così per tutti: accanto a chi fa business, altri il TT lo subiscono

Una montagna di adrenalina

Ma è ovvio che il piatto principale sia il Mountain. Il tracciato stradale più veloce del mondo – quest’anno Peter Hickmann ha infranto il muro delle 135 miglia di media orarie – esercita un’attrazione magnetica, irresistibile per chiunque si rechi qui in sella a una due ruote, che almeno una volta un giro sul percorso lo vuole fare. Affrontarlo, anche se a velocità ridotta, è una sorta di cimento, un modo per capire e avvicinarsi (restando sempre lontanissimi) ai piloti che tra questi marciapiedi corrono a 300 orari. Pensare di affrontarlo velocemente nei giorni del TT è pura utopia: sempre affollato, spesso chiuso a causa di numerosi incidenti (lo spirito di emulazione meglio lasciarlo a casa) il Mountain si concede veramente solo in momenti “particolari”.

Per questo lo abbiamo affrontato all’alba, quando la maggior parte dei visitatori stanno recuperando sonno dopo i festeggiamenti notturni.

Quando la realtà va oltre l’immaginazione

Girare sul Mountain fa capire parecchie cose ma può far solo immaginare cosa significhi essere qui per correre e non semplicemente per guidare. La pista del TT è un insieme di lunghi rettilinei che rettilinei non sono quasi mai, interrotti da mezze curve appena accennate (che a 300 all’ora diventano curve vere), salti, dossi, asfalto sconnesso, cambi di luce. Tratti in cui si raggiunge una velocità iperbolica, si alternano talvolta a curve da prima marcia, rotonde, tornanti. Non è una pista, è un girone dantesco che cambia anno dopo anno. Perché gli alberi crescono, aumentano le radici, l’asfalto non è sempre lo stesso. Non potrai mai dire di conoscere bene il Mountain perché è vivo e sempre diverso. Più passano i chilometri e più avvicino questi piloti ai rallysti che, in fondo, fanno lo stesso mestiere, correndo quelle che, alla fine, per caratteristiche dei percorsi, difficoltà e vicinanza con il pubblico, sono le road racing del mondo auto.

Cosa serve?

Più che una tecnica di guida sopraffina, qui servono memoria, lucidità, coraggio, intuito, attitudine alle velocità estreme e capacità d’improvvisazione. Perché se allarghi un po’ una traiettoria può esserci una radice, un tombino, un salto. Le moto si muovono, saltano, sbacchettano. Si guidano quasi più con il manubrio che con corpo e gambe. Guardi i piloti alla fine di una gara e molti di loro hanno ancora le saponette intonse. Non ci sono pieghe estreme (il pneumatico anteriore praticamente non lavora), di estremo c’è tutto il resto… l’ebbrezza per la velocità pura tocca l’apice assoluto.

Il limite? Non esiste

Ora capisco quello che i piloti intendono quando dicono che qui non sei mai veramente al limite (anche se a vederli questa affermazione sembra surreale). In pista il limite lo cerchi, cerchi la staccata estrema, l’apertura anticipata, la percorrenza più veloce. Qui lo tieni lontano: serve essere fluidi, morbidi. Serve raccordare. Capire quando mollare il gas e di quanto “alleggerire” è più importante che capire dove aprire… Parlando con Ian Hutchinson, recordman tutt’ora imbattuto sul giro della categoria Stock e unico pilota a vincere 5 TT nello stesso anno, scopro che c’è un tratto dopo Glen Helen molto sconnesso in cui sono cresciute radici: “In quel punto potresti andare molto più forte, ma ora non puoi piegare molto, devi rallentare perché altrimenti vai fuori, si salta troppo”. Ecco, credo che questo renda bene l’idea.

Cupolini da GT

Capisco anche perché i cupolini al TT sono così alti: veramente in carena (nel senso letterale del termine) qui non stai quasi mai, sempre impegnati a controllare la moto, a guardare lontano, oltre la curva (che è spesso cieca) in una posizione parzialmente rialzata e “di controllo”. In questa posizione e a queste velocità se non ti proteggi bene ti spacchi il collo dalla fatica.

Stock, quasi SBK

E capisco anche perché le moto Stock avvicinino moltissimo i tempi delle Superbike. Anche se qui la potenza sembra essere tutto, con i motori che urlano al massimo dei giri per una quantità di tempo impressionante, quello che serve è in realtà facilità di guida, erogazione morbida, collegamento perfetto della manopola del gas con il motore per gestire millimetricamente l’erogazione. “Con la Stock vai a 190 miglia all’ora con una mano sola (!)” dice Hutchinson, che qui corre con il cambio spostato a destra per i postumi di un grave incidente che gli ha sbriciolato le ossa della sinistra…

“La Superbike non vuole smettere mai di accelerare, è più potente ma anche più rigida, meno maneggevole, ti impegna di più, ti stanca di più (ricordiamo che le gare sono lunghe 300 km); con la stock certi tratti li passi a gas pieno, mentre con le SBK devi alleggerire il gas” Ian Hutchinson

No limits Mountain

Il tratto di montagna da Ramsey a Creg Ny Baa durante la settimana del TT è a senso unico ed è senza limiti di velocità (negli altri la polizia vigila con molta attenzione e molti radar). È la valvola di sfogo del pubblico (e gli incidenti non mancano…) ed è lì che puoi provare a capire cosa vuole dire il TT. Velocissimo, scorrevolissimo, perfettamente asfaltato, ma con un senso di “esposizione” piuttosto impressionante dato dalla strada che man mano che aumenta la velocità sembra diventare sempre più stretta e dagli strapiombi attorno. Mentre lo affronto in sella a una Fireblade seguendo un Marshall, ho il fiato sospeso, gli occhi a palla, le vene gonfie di adrenalina. Tocco le 141 miglia orarie (circa 230 km/h) e mi sembra già di andare fortissimo. Loro qui passano a 50 miglia in più…

Visti da vicino

Dopo aver provato tutto questo, sedersi su un muretto e vedere moto e sidecar passare a un metro a velocità sconsiderate è la ciliegina sulla torta dell’esperienza. Impressionante, ma secondo me non è questa la cosa più bella di un evento che va vissuto in tutte le sue sfaccettature.

Perché al TT non sei “dentro” l’azione, non vedi la gara. La miglior dote di un pubblico con una passione smisurata (alle 6 c’è già gente sul percorso e il primo concorrente parte alle 10.30, c’è chi torna qui ogni anno da 30 anni) è la pazienza. Non ci sono mega schermi che ti raccontano la gara, niente replay, niente superslowmotion

Sei lì seduto ad aspettare che i piloti passino dalla postazione che hai scelto (perché poi non ti puoi più muovere…). L’urlo del motore, 2 secondi al massimo, lo spostamento d’aria che ti scuote, le moto che passano e spariscono all’orizzonte. Ripasseranno tra 17 minuti. Tanti passaggi tutti uguali, per una emozione ossessivamente ripetitiva. Ma tu che ora sul circuito ci hai girato, conosci i nomi di curve scanditi dagli speaker vorresti vedere cosa succede.

La gara la senti, non la vedi

Ma la gara non la vedi, semmai la ascolti. L’unico filo che ti collega con quanto sta accadendo sul percorso è quello invisibile di Radio TT, che trasmette in AM, il commento concitato di tre speaker piazzati sul percorso che si passano la palla man mano che arrivano i primi piloti. Radio TT si sente ovunque, sui bus, nelle case, nei pub. Come se sull’Isola di Man in questi giorni ci fosse una filodiffusione che trasmette solo quello. Tutti in giro con la radiolina all’orecchio, come facevano i nostri genitori quando ascoltavano “Tutto il calcio minuto per minuto”. Roba d’altri tempi, ma perfettamente in linea con lo spirito della gara.

Spazio-tempo si comprimono

Un commento che ti strega, ti tiene incollato all’auricolare, scandendo il ritmo forsennato della gara. Hickman – il vincitore di quest’anno è ufficialmente il roadracer più veloce della terra – is flying! Sono a Glen Helen, ora a Ramsey, ora a Bungalow. Ma come, sono già li? Sì. A te che il giro lo hai fatto e sai quali sono le distanze sembra impossibile che abbiano percorso quel tratto così velocemente. È come se questi piloti comprimessero lo spazio e il tempo. E forse un po’ lo fanno. E non crediate che le piccole bicilindriche 650 della categoria Lightweight (dove il nostro Stefano Bonetti ha ottenuto uno storico quarto posto a 6 secondi dal podio con la Paton SR-1) siano da meno. Alla fine tra le mostruose superbike e le 650 ballano meno di due minuti, su oltre 60 km di gara. Significa tenere ancora più aperto, limare ancora più le curve. Poi tutto finisce, i piloti mollano le moto al parco chiuso e vanno tranquillamente alla loro tenda a farsi una birra, manco siano rientrati da una scampagnata e non abbiano gareggiato a 200 di media in mezzo a pali, muretti e marciapiedi. Qui tutto questo è normale, naturale. Sull’Isola dei gatti senza coda tornano silenzio e tranquillità tipici dei luoghi del nord Europa. Dureranno altri 360 giorni. Poi tornerà il Natale…

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