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Gilles, emozioni senza un costrutto logico

Alle 21:52 dell'8 maggio 1982, Villeneuve entra di diritto nella storia dell'automobilismo. Per il Commendatore Ferrari, era l'erede di Nuvolari. Per tutti, ferraristi e non, il dio pagano della Velocità

Emozioni senza un costrutto logico, rischio di ripetersi, certezza di essere agiografici. Maggio, per chi segue la Formula 1 da decenni, significa (anche) l’anniversario della morte di Gilles (buffo, vero? Quando si scrive per professione, l’attenzione alla forma è vitale; eppure, ti sembra doveroso omettere il cognome nei confronti di un pilota del quale hai pochi, struggenti ricordi) è tutto questo. E molto più. Un cuore in tumulto. Una lacrima che non è mai scesa. Un sospiro lungo tre decenni che corre in Belgio dal Canada passando per Maranello.

“Gilles mi mancherà per due motivi. Primo, perché è stato il pilota più veloce della storia delle corse. Secondo, è stata la persona più sincera e genuina che abbia mai conosciuto. Ma non se n’è andato del tutto. Il ricordo di quello che ha fatto, di quello che ha ottenuto, rimarrà per sempre con noi” (Jody Scheckter, 1982)

Mai banale anche negli incidenti

Sangue, leggenda, mito, banalità. Passione, memoria. Gioia, quella che inchiodava il piede del canadese sul pedale del gas. Sprezzo del pericolo fine a se stesso. Sempre in ballo con la Comare Secca, che per lui – per il “Tappetto”, come lo chiamava il compagno di squadra Reutemann – era una compagna indifferente più che una logica conseguenza. Molto Aviatore: il nomignolo risale al 1977, quando la Ferrari numero 11 di un ragazzo esile, dai modi gentili e il viso da eterno bambino, usa la Tyrrell di Peterson come trampolino di lancio.

Il primo degli incidenti di Villeneuve: mai banali, sempre votati all’eccesso, perché nessuno era come Gilles. Il più veloce in un mondo di piloti più lenti di lui. Anche dello svedese, che di Villeneuve era idolo dichiarato. “Un pazzo”, lo apostrofò dopo l’incidente che costò la vita a due spettatori, che erano dove non dovevano essere. Gilles incassò con l’aria di bimbo. E continuò a premere sull’acceleratore. Era così, non poteva essere altrimenti.

“Gilles? Il più gran bastardo contro cui si potesse correre” (Keke Rosberg)

La leggendaria lotta con Arnoux

Ha vissuto mille volte, Gilles. Dopo quel Fuji, vi furono giri di pista su tre ruote, rimonte furiose rese vane dalla mancanza di benzina, duelli che hanno scritto la storia della Formula 1. Digione 1979, vince Jabouille e porta al successo la prima vettura turbo della storia. Eppure, di quella gara si ricordano le frenate oltre ogni limite del canadese volante, le sue ruotate con René Arnoux.

Jabouille chi? Qui c’è solo la febbre-Villeneuve. “Vedrete chi è Gilles”, disse Carlos Reutemann lasciando Maranello nel 1978. Aveva vinto quattro gare, il Gaucho Triste, ma nulla aveva potuto contro lo strapotere Lotus. Via, arriva Scheckter. Col senno di poi, l’amico più sincero di Gilles insieme a Patrick Tambay.

“Oltre Oceano c’è un pilota che, quando arriverà da noi, le suonerà a tutti” (James Hunt, 1976)

 

Come si fa a non essere rapiti dai mille e mille aneddoti  sul Mito Villeneuve? Se hai il privilegio di averlo visto anche per un solo minuto in una di quelle dirette televisive tutte telecamere fisse e microfoni gracchianti, non puoi non essertene innamorato. La sua carriera, quei 68 gran premi di assoluta intensità, è come il rosario: ’77, il debutto.

Tre gare complessive, la prima su McLaren e poi 67 sfide con la Rossa. La prima con il numero 21, poi con l’11 lasciato libero da Lauda, mica da uno qualunque. Il Campione del Mondo in carica, il Sopravvissuto del Ring che ha scelto la Brabham per dimostrare a Ferrari che sa vincere anche lontano dalla Rossa. Ci riuscirà nel 1984. Ma questa è un’altra storia.

“Mi chiami questo numero in Canada. Le risponderà un certo Villeneuve. Gli chieda se è disposto a correre per me” (Enzo Ferrari, 1977)

Così amato da “oscurare” i vincitori

1978, quel Long Beach in cui il nostro si arrampica sul doppiato Regazzoni per rimandare al Canada la prima vittoria. Sul bagnato, dove gli sembrava di essere su una di quelle motoslitte su cui aveva iniziato a gareggiare. 1979, l’anno delle tre vittorie e della lealtà al campione designato, il sudafricano Scheckter.

A fine anno, i due – legati da profonda amicizia – sono in auto insieme. Si fermano in uno dei tanti autogrill che separano Modena da Montecarlo e il benzinaio non riconosce Jody. Gilles abbassa il finestrino e viene accolto da un “Ma è Villanova!” che fa andare su tutte le furie Scheckter. “Cazzo! Sono io il Campione del Mondo, mica lui!”, urla. E rientra in auto a testa bassa.

“Nessuno ha idea di quale rapidità di reazione avesse Gilles. Le sue risorse al volante erano enormi” (Mauro Forghieri)

1980: la T5 non va neanche a spingerla, e Gilles arranca. Non senza piazzare qualche exploit in partenza (in Brasile compie un vero e proprio capolavoro) e avere svezzato il turbo a Imola (anche se gareggia con l’aspirato, distruggendo la T5 nella semicurva prima della Tosa che oggi non a caso si chiama Villeneuve). ’81: arriva in squadra Didier Pironi, più nemico che amico, mai semplice conoscente. Veloce, determinato, abile anche nella diplomazia.

“Gilles è volato via”

Gilles è fromboliere a Monaco e mostruoso in Spagna: parte in quarta fila, guadagna la testa e tappa tutti i buchi al trenino di inseguitori (il quinto classificato accuserà un distacco di 1″2!) che inseguono la sua 126CK. In Canada, sul bagnato, tenta di farsi largo tra gli avversari, rimettendoci l’alettone anteriore che si piega fino a levare la visuale. La soluzione? Una toccatina intenzionale di troppo, l’alettone finisce di spezzarsi e Gilles vola sul terzo gradino del podio. ’82: l’anno buono. Quello in cui la 126C2 è l’auto da battere. Imola: Rombo titola “Didì non balla lo slow”. Zolder. Autosprint, “Gilles è volato via”.

Trent’anni fa. Un amen. Salut, Gilles. Con la solita lacrima che non vuole scendere.

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