Il Ciclismo è lo sport popolare per eccellenza. Popolare perché appartiene al popolo: le corse si corrono fra la gente, si può assistere alle gare senza pagare un biglietto, si riesce a vedere il bianco degli occhi e a sentire il respiro dei corridori che ti passano accanto. Ma non è tutto. Ci si può misurare sulle stesse strade e con gli stessi mezzi. E capire che i ciclisti professionisti sono persone molto diverse da noi, fatte in un altro modo, sono nati per pedalare, per pedalare infinitamente più veloce di noi.
Ancora una volta
Quando Citroën ha chiesto se fossimo stati interessati a seguire una tappa del Giro, al seguito della squadra che da questa stagione porta anche il loro nome, l’AG2R Citroën, la risposta è stata subito “Sì”. Quando poi si è capito che la tappa sarebbe stata quella con arrivo in cima allo Zoncolan, in redazione è scattata la volata per capire chi sarebbe stato il fortunato.
Non è stata la mia prima volta al Giro, da inviato ufficiale. Ho assistito a un arrivo sullo Stelvio nel 2012, quando la Rosa fu di Hesjiedal, e al tappone dolomitico nel 2016, testimone oculare della crisi di Nibali, che tuttavia riuscì a vincere il Giro. Quella volta ebbi addirittura il privilegio dell’elicottero. Confesso però che guardare i corridori da bordo strada ha un fascino impareggiabile. Soprattutto in salita, quando anziché volare a 50 all’ora, sfrecciano a 25 (un umano già super, sale a poco più della metà)…
Tutto si esaurisce in pochi secondi, ma è solo il culmine di una liturgia lunga anche un giorno intero. Il tifoso di bici è fatto così, ed esprime la sua passione anche in tutto quel contorno che dà ancor più valore a un attimo davvero fuggente (o fuggitivo…)
Oltre l’asfalto
Per chi ha invece la fortuna di vivere l’evento come noi, ci sono altri momenti, che personalmente apprezzo quasi quanto gli attimi del passaggio durante la corsa. Li potremmo chiamare i retroscena, i dietro le quinte. Tutto ciò che accade lontano dall’asfalto e che coinvolge non solo gli atleti, ma gli altri, numerosi, membri della squadra.
Nella due giorni passata al seguito del Team AG2R Citroën, abbiamo condiviso parte della vita del campo base, nel pomeriggio precedente lo Zoncolan. La squadra proveniva dal bel successo di Vendrane nella volata della frazione precedente, quindi il clima era sereno e i ragazzi carichi. Mentre gli autisti lavano le ammiraglie e gli altri mezzi di servizio, i meccanici puliscono le stupende BMC dei corridori, ingrassano movimenti centrali, registrano trasmissioni, spurgano freni, e le preparano per l’indomani. Attaccato alla porta del loro bus attrezzato a officina hanno il promemoria che ricorda le esigenze di ogni corridore per la tappona in arrivo: bici, ruote e rapporti sono scelti in base alle condizioni e alla strategia di gara. L’altro bus è quello su cui viaggiano gli atleti. Nei vani dove di solito si stivano i bagagli ci sono due lavatrici industriali, che ogni giorno centrifugano divise e biancheria. Poi c’è il van cucina: ogni team viaggia con il suo cuoco perché, nonostante alloggino sempre in albergo, i ragazzi seguono un regime alimentare ben preciso. I team, eccezion fatta per il dormire, sono praticamente autonomi e autosufficienti.
I mezzi su cui si muovono i componenti della carovana, per lo più Citroën C5 Aircross, sono auto praticamente di serie, eccetto alcuni particolari ottimizzati in base al tipo di corsa e al terreno in cui sono impegnate (classiche del Nord con molti chilometri in pavé, strade sterrate, salite lunghe e ripide, che sono percorse quasi per intero con un filo di gas)
Giovani guerrieri
Visti da vicino, senza lycra né caschetto e occhiali, ti accorgi che sono davvero dei ragazzini. Con i corridori, purtroppo, si riesce a interagire poco, al massimo qualche battuta mentre consumano in fretta la loro cena prima di tornare in camera e mettersi a letto presto. E la mattina cambia poco: sono concentrati e consumano quasi in silenzio la loro pantagruelica colazione, su una tavola già allestita da chi li assiste. Noi invece ci permettiamo di fare le ore piccole chiacchierando con il DS Julien Jurdie e gli altri ragazzi del team, a cui ci ha introdotti colui che sarà il nostro Virgilio nel viaggio agli inferi dello Zoncolan, l’indomani. Christophe Riblon veste da sempre i colori dell’AG2R, prima come corridore (due vittorie al Tour, di cui una sul Mont Ventoux…) ora come uomo di pubbliche relazioni con noi giornalisti. Si prende cura di noi con il bastone e la carota. Ci accompagna a Cittadella per vedere la passerella di tutti i corridori che firmano prima della partenza, poi carica sul van il nostro pranzo al sacco (due panini e una mela ma acqua a volontà) e ci sprona a muoverci, che dobbiamo partire prima della gara se non vogliamo che la nostra avventura finisca prima di cominciare. Guida come farebbe un DS sull’ammiraglia. Impressionante quanta gente ci sia sulla strada ad aspettare il passaggio dei corridori, e quasi tutti regalano un saluto al nostro pulmino con i colori della squadra del conterraneo (Vendrame è di Conegliano) fresco di vittoria. Procediamo per un paio di ore su strade chiuse al traffico, in un’atmosfera surreale, poi ci fermiamo in uno spiazzo sotto un albero: è la nostra “feed zone”, pranzo e pipì. Senza perdere tempo perché a noi è sembrato di andare veloci, ma il gruppo oggi viaggia spedito per evitare fughe che possano impensierire la Maglia Rosa. Qualche chilometro più avanti comincia la prima facile salita, poi ne seguirà una più lunga e impegnativa, preludio allo Zoncolan, che chiuderà la tappa.
Christophe aspetta che la pancia sia (più o meno) soddisfatta per dirci che non potremo salire al traguardo per vivere quella che si dimostrerà poi essere una delle imprese più belle di questo Giro: a causa della tanta neve sul piazzale dell’arrivo, gli organizzatori hanno deciso che potranno transitare solo le ammiraglie e i mezzi di gara
Questa volta va così…
Grande delusione. Facciamo buon viso a cattivo gioco e decidiamo che ci fermeremo verso il termine della salita alla Forcella di Monte Rest, una quarantina di chilometri prima dell’ascesa finale, dove speriamo ci possa già essere qualche importante azione in corso. C’è una connessione direttamente proporzionale tra la presenza di pubblico e la fatica dei corridori. Il primo aumenta con il crescere delle pendenze, della densità dei tornanti e del numero di smorfie sul viso. La salita del Monte Rest è bella, si snoda un una gola selvaggia, di qua e di là dalla valle, attraverso boschi fitti. Il cielo coperto, le nuvole basse e cariche di pioggia fanno il resto, dando all’atmosfera la giusta pennellata di epicità che deve accompagnare tappe come questa. Man mano che saliamo, il pubblico si infittisce, compaiono i primi striscioni, gli insediamenti (una bella coppia di colombiani seduti nel bagagliaio della loro auto, parcheggiata sul bordo di un contorto tornante. Viveri, fornellino da campeggio e una bandiera attaccata fra due alberi accanto). La strada è stretta e lo spazio per parcheggiare scarseggia. Per fortuna, dopo l’ultimo tornante che precede lo scollinamento, un camperista transalpino, per spirito nazionalistico, ci fa posto quanto basta per infilare il nostro van. È fatta, ora non ci resta che aspettare, come tutti gli altri.
Occhi aperti e orecchie dritte
C’è uno spiraglio fra gli alberi, che lascia intravedere un’ampia curva un paio di chilometri più sotto. Ma è solo il rumore degli elicotteri l’unico e vero segnale che “stanno arrivando!”. Pochi minuti dopo, eccoli là in fondo, sul curvone. Il gruppo sembra compatto. Giusto il tempo di prendere in mano il telefono e scendere sul bordo strada sotto di noi, che sbucano da dietro gli alberi. La gente comincia a gridare, ma non riesce a coprire il rumore del gruppo, un insieme di suoni che da sempre mi mette i brividi. I respiri, il rumore delle cambiate, le gomme sull’asfalto e i turbini di vento. Si, perché anche in salita pedalano così veloci ed eleganti che l’aria si scosta per lasciare strada. Li guardo con la testa che continua a girare a destra e sinistra per cercare di distinguerli, poi risalgo sul bordo di strada sopra di me, così da vederli di nuovo, questa volta in uscita dal tornante. La colonna sonora è sempre la stessa e anche la testa continua a ruotare. Scorgo la maglia rosa, quella blu, due casacche AG2R, un paio di volti famosi. Pochi secondi e si scorgono solo le schiene. Per fortuna un po’ staccato c’è il famoso Gruppetto, quello formato dai velocisti, che mirano a finire la tappa entro il tempo massimo. Altro passaggio, altra corsa su è giù dalla riva. Ecco Sagan, Viviani… Spingono forte anche loro ma sono un po’ più rilassati e qualcuno risponde ai saluti. Le ultime ammiraglie e le auto di fine corsa confermano che ora è davvero finita. Ci mettiamo subito in moto e affrontiamo, sempre a vita persa, la stessa discesa che hanno percorso i corridori. Strada stretta, asfalto umido, curve insidiose. Di sicuro non sono scesi più piano di noi… Mentre ci infiliamo in autostrada per tornare in albergo per la via più rapida, pensiamo a chi sta invece pedalando incontro al proprio destino, sotto forma di Zoncolan. Seguiamo le fasi della attraverso un monitor attaccato sulla plancia, con un a connessione alquanto approssimativa, ma alla fine riusciamo a vedere la straordinaria vittoria di Lorenzo Fortunato e la solidità di Egan Bernal, che si tiene stretta la Maglia Rosa.
Rientrati alla base, il quartier generale AG2R Citroën era stato completamente smantellato. La carovana si era ormai insediata nel prossimo caravanserraglio in cui passare un altro pomeriggio di bucati, pulizie e ingrassaggi, un’altra serata di massaggi, cotture e risate, e un’altra notte di sogni di gloria