Con quella faccia lì, avrebbe potuto fare l’attore, prestando i suoi lineamenti accentuati e la profondità del suo sguardo a un ruolo brillante e carismatico. Con quel timbro vocale lì, avrebbe potuto doppiare uno di quei personaggi enigmatici che entrano nella storia del cinema. Con quella dialettica lì, avrebbe potuto calcare il palcoscenico di un teatro, riempiendo gli spazi fisici e ideali di una performance complessa, tipica dei grandi mattatori.
Gli strumenti espressivi per far convergere su di sé l’attenzione del pubblico li possiede tutti, Alberto Luca Recchi, eppure, il suo lavoro non rientra tra le professioni delle arti. Romano, classe 1955, AL è un esploratore e fotografo del mare che narra attraverso racconti e immagini la vita degli oceani, svelandone i segreti e le fragilità. Laureato in giurisprudenza, ha abbandonato gli squali della finanza per i giganti del mare, che fa conoscere attraverso conferenze-spettacolo in Italia e all’estero.
Famoso per aver incontrato 52 volte lo squalo bianco – «e me le ricordo tutte» – attraverso i suoi racconti ogni creatura marina, anche la più comune, è descritta risaltandone gli aspetti più curiosi e sconosciuti ai più, trasmettendo l’idea che il mare è popolato di specie diversissime e affascinanti nella loro unicità, e che, anche se in apparenza sembra immobile, sotto la sua superficie avvengono grandissimi e silenziosi mutamenti.
Attenti ai gabbiani!
«Trovarsi di fronte a uno squalo bianco non ha niente di eroico. Lo dicono le statistiche: i veri killer sono le zanzare della malaria che uccidono ogni anno milioni di bambini. Certo, i pericoli in mare ci sono, ma non solo quelli che immaginiamo. Un esempio è ciò che è successo a me e ad altri sub dopo un’immersione a 30 miglia al largo delle Bahamas quando, una volta risaliti in superficie, la nostra barca non c’era più. Era una giornata calma e soleggiata con il mare tranquillo, era tutto facile. Ad aspettarci, a bordo, avevamo lasciato un ragazzetto che ci doveva solo prendere le attrezzature una volta usciti dall’acqua, ma che, invece, non si era accorto della rottura della cima dell’ancora. Risultato: la corrente si era portata via la barca e noi eravamo rimasti soli in mezzo al nulla, in una zona popolata dagli squali.
Siamo stati dispersi in alto mare per 8 ore e 45 minuti. Un incubo. Ma non c’è stato uno squalo che ci abbia morso un polpaccio, una coscia, niente. Sapete quali sono stati i problemi? Gli uccelli. I gabbiani, infatti, ci consideravano degli scogli in mezzo al mare su cui fermarsi e riposarsi, e hanno cominciato a beccarci. I primi riuscivamo a cacciarli, poi, col passare delle ore, eravamo esausti, disidratati, mezzi svenuti. Quando ci hanno recuperati, al tramonto – cinque minuti dopo sarebbe sceso il buio e non sarei qui a raccontarlo – il mio compagno di immersioni era una maschera di sangue, aveva un buco in testa… eppure, nessuno ci aveva mai detto: “Se andate per mare, attenti ai gabbiani”, ma solo: “Attenti agli squali”!
Comunque, non tutti abbiamo incontrato uno squalo bianco o una balena, ma ognuno di noi si è immerso nelle acque del Mediterraneo. Un mare che consideriamo sicuro, eppure è popolato di animali: alcuni sono lunghi come autobus e incutono timore, ma io cerco di arrivare loro vicino. Voi pensate che il mio sia una lavoro pericoloso. Io non credo. Io non sono coraggioso, io sono paziente».
Tre oggetti rivoluzionari
Paziente e curioso. L’interesse nei confronti del mare di AL risale ai racconti della nonna – che gli narrava storie meravigliose di giganti che uscivano dall’acqua e inghiottivano le barche dei marinai – e dall’invenzione di tre oggetti rivoluzionari: maschera, pinne ed erogatore, che hanno permesso all’uomo di scoprire che sotto la superficie del mare si nascondeva un altro paradiso; un mondo fino a quel momento rimasto intatto, in cui non era cambiato praticamente nulla, pieno di animali di ogni tipo, forma, colore. E un giorno, proprio mentre sanguinava a causa di una ferita procuratasi su uno scoglio, è arrivato anche il mostro. Uno squalo tigre maestoso e inquietante che l’ha guardato, immobile, per poi passargli accanto e allontanarsi. Un episodio determinante, che l’ha portato a cercare gli squali – ma anche le balene e i capodogli – in tutti i mari del mondo.
In un periodo storico come quello che stiamo attraversando, in cui mai come prima il mondo intero discute dell’emergenza climatica, i temi che Recchi tratta da 40 anni sono più attuali che mai. Dopotutto, senza il mare non ci sarebbe nemmeno la vita: siamo connessi con l’oceano – tramite l’acqua che beviamo e l’ossigeno che respiriamo, che arriva per il 50 per cento dal mare – anche se non ne siamo sempre consapevoli. «Senza il blu del mare, non ci sarebbe il verde della terra» afferma l’oceanografa Sylvia Earle. Noi umani, con la nostra visione antropocentrica, abbiamo la convinzione che il pianeta sia così vasto e resistente, che non importa quello che gli facciamo. Ma, se questo poteva essere vero 10mila anni fa, negli ultimi 50 anni, soprattutto, abbiamo prosciugato il patrimonio – l’aria, l’acqua, la fauna – che rende possibili le nostre vite.
Una specie presuntuosa
Hai detto che aver perso il contatto con i grandi predatori ci ha fatto perdere il senso del limite. Che cosa intendi?
«Vedere una balena ti fa comprendere il senso del limite. Ti fa capire che noi non siamo i padroni della natura, ma solo una specie presuntuosa che si è data da sola il nome Homo sapiens. Ma siamo sicuri che il cervello che possediamo sia un vantaggio evolutivo, a livello di specie? Una specie ha successo quando sopravvive, tutto il resto – il progresso, la tecnologia – viene dopo. Noi siamo gli ultimi arrivati, ci sono specie che sopravvivono sul pianeta da centinaia di milioni di anni, noi solo da 70mila, 150 se consideriamo gli ominidi. Ci saremo ancora tra 4 milioni di anni? Io ho qualche dubbio. Perché, se tra mezzo milione di anni saremo spariti, non saremo stati una specie di successo, ma solo una specie che, come tante altre, è comparsa e si è estinta. Ma questo dipende molto da come ci comportiamo oggi, e i rischi potenziali per il pianeta li conosciamo bene. Se spariremo, sarà a causa nostra».
Un mare di storie
Il tuo podcast Un mare di storie racchiude brevi racconti in cui parli delle tantissime esperienze che hai vissuto, ma anche di fatti curiosi con protagonisti diversi tipi di pesci. Noi siamo suggestionati maggiormente dagli squali, ma con le tue parole hai dato risalto anche ad animali che crediamo di conoscere e invece hanno storie tutte da scoprire. Puoi fare un esempio?
«Vediamo la sogliola come un animale piatto sdraiato sul fondo del mare. Da piccola è un pesciolino come tutti gli altri; poi, quando diventa adolescente, si rende conto che il mare è un posto pericoloso dove le insidie possono arrivare da tutti i lati, quindi decide di proteggersi adagiandosi sul fondo. Perciò, un occhio progressivamente migra sull’altro lato del muso, la bocca si storce tantissimo e la sogliola piano piano si poggia sulla sabbia e la sua pelle prende il colore dei fondali. Un animale affasciante, longevo, che può vivere anche mezzo secolo, ma che tutti conosciamo solo come una voce nel menu».
Oltre la paura
Quando hai scoperti i tuoi talenti, quello di divulgatore e quello di fotografo?
«Più che di talento, parlerei di pazienza, perché, quando vai per mare, è il requisito più importante da possedere, molto più del coraggio, più del sapere vincere la paura. Anche quello è un tema significativo, perché se non vai oltre la paura non vai da nessuna parte. E tutto quello che è interessante per me è sempre stato al di là della paura; comunque, andando per mare ho capito che la natura non basta amarla, bisogna capirla, bisogna conoscerla, e allora ho fatto la cosa più semplice e forse meno frequente: ho cominciato a studiarla. In questo modo ho messo insieme l’esperienza di tanti studiosi e ricercatori – che magari hanno passato la vita in laboratorio – con i viaggi e le immersioni. Quindi, la mia caratteristica, se la dovessi raccontare da fuori, è aver unito le esperienze degli altri personalizzandole, cercando di raccontarle in modo semplice. Perché, quando parliamo di cose che non ci riguardano, dobbiamo farlo in modo comprensibile per non risultare indecifrabili e, dunque, noiosi».
Un approccio responsabile
Come hai visto cambiare il mare in questi 40 anni di lavoro e come ci dobbiamo comportare per relazionarvici nel modo giusto?
«Il mare è un sistema complesso, e per tutti i sistemi complessi non ci sono soluzioni semplici. Noi abbiamo dichiarato guerra agli oceani provocando dei cambiamenti significativi e, se la vinceremo, scompariremo come specie perché siamo un tutt’uno: loro dipendono da noi oggi per sopravvivere, ma noi dipendiamo da loro. Gran parte della vita nel Mediterraneo è scomparsa. Perché? Se dovessi sintetizzare direi per colpa delle 3 P: il petrolio (cambiamento climatico), la pesca e la plastica. Mi vorrei soffermare sul tema che conosco di più, la pesca. Su questo argomento io ho cambiato punto di vista molto recentemente: faccio una premessa, non sono vegano né vegetariano, però gli abitanti del mare non vanno trattati come merci, sono individui! Certi pesci sono più intelligenti di alcuni primati».
«Dunque, tutti noi possiamo fare qualcosa, a tavola. Perché tutti mangiamo, e mangiare è una scelta importante: è una scelta filosofica, è una scelta etica. Perché noi siamo quello che mangiamo, ma mangiamo anche quello che siamo. Bisogna aumentare le riserve marine, dove sia vietata si pesca. Inoltre, le reti dovrebbero essere riconducibili ai proprietari, in modo da non venire disperse e abbandonate accumulandosi in mare. E poi, ami biodegradabili: se prendi un tonno e questo si slama, muore dopo pochi giorni. Se ha un amo biodegradabile, dopo qualche giorno si dissolve e lo ingerisce. Infine, bisogna cercare di mangiare animali che consumano poca terra, poca acqua, poco cibo, poco terreno e, nel caso del mare, poca piramide che sta sotto di loro, tipo alici, sardine, sgombri. Comunque, in futuro credo che mangeremo pesci che non sono passati per l’uccisione. Come mangeremo carne – e la cominceranno a mangiare forse anche vegani e vegetariani – che non è passata per l’uccisione dell’animale. Già esistono gli hamburger fatti in laboratorio, ricavati da una cellula staminale di vacca: tre anni fa un burger artificiale costava 250 dollari, oggi ne costa 26; quando arriverà a mezzo dollaro, probabilmente sostituirà l’uccisione degli animali. Credo che la stessa situazione l’avremo presto anche per i pesci. Dovremmo passare da essere una specie ego-centrica a essere una specie eco-centrica, concentrati sugli altri. Siamo tutti collegati come in una rete: solo se è sana siamo in grado di sopravvivere, proprio perché, se muore il nostro ambiente, moriamo anche noi. E la biodiversità è quella che ci permette di vivere nell’habitat».
Il mare ce la può fare
«Oggi, quando vado per mare, mi sembra di fare visita a un paziente che sta morendo lentamente. Quando ero piccolo era pieno di animali anche davanti la riva. In una sola generazione, la nostra, è finito tutto. Nuotare al fianco di una balena ti ricorda che non sei il padrone della natura e capisci che in acqua sei un ospite, e da ospite ti devi comportare. Ma una buona notizia c’è: in mare quasi tutte le creature depongono milioni di uova. Se lo lasci in pace, si ripopola».
In libreria e a teatro
Ultima pubblicazione: I giganti del Mediterraneo;
Conferenza-spettacolo I segreti del mare con Piero Angela: 6 gennaio 2022, Auditorium Conciliazione, Roma; 29 marzo 2022, Teatro degli Arcimboldi, Milano.