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Royal Enfield Classic 350, elogio della lentezza

C'è ancora gente, al mondo, che ama viaggiare, nel senso di spostarsi per il piacere della scoperta e, dunque, di guardarsi intorno. Una cosa che si può fare solo se attenzione ed energie non sono concentrate esclusivamente sulla strada e sulla guida.

È da parecchio tempo che faccio questo mestiere e di auto sportive e veloci ne ho guidata qualcuna. Di tutte quelle “sparate” mi rimangono due cose, il rombo del motore (inebriante, certo) e la lancetta del contachilometri, calamita per gli occhi, che la seguono ipnotizzati per guardarla spingersi oltre i duecento. Qualche anno fa, a bordo di una vecchia 2CV, sono andato fino a Montalcino, ho seguito l’Eroica lungo le sue strade bianche e, tre giorni dopo, sono ritornato a Milano. Di quell’avventura – perché tale è stata – potrei dipingere 100 quadri, uno differente dall’altro e tutti fatti di paesaggi e profumi. Avevo VIAGGIATO…

Rottura e rivoluzione

Il mito della velocità, delle cose che cambiano di continuo, ci ha portati a considerare l’andare lentamente alla stregua di un difetto, una perdita di tempo, quasi un errore. E invece l’errore sta proprio nell’affannarsi, con buona pace di Filippo Tommaso Marinetti… Ma la lentezza non è per tutti. Appartiene a chi ha scoperto che, sovente, ciò che si guadagna in accelerazione si perde in profondità. Lo aveva scoperto Sepulveda, che aveva visto nella lentezza una nuova forma di resistenza, in un mondo dove tutto è troppo veloce.

Tutto questo preambolo per dire che guidare la Royal Enfield Classic 350 mi è piaciuto. Assai. Sulla sella della monocilindrica indiana ho ri-provato le medesime sensazioni vissute nell’abitacolo della Deuche, con la capote arrotolata in fondo al tetto. Sensazioni che nascono dalla percezione del mondo che ci circonda e non dal brivido del polso che, ruotando, apre il rubinetto dell’adrenalina.

Scheda tecnica? No, grazie

Delle caratteristiche della Royal Enfield Classic 350 non perdo tempo a scrivere una riga. Credo infatti che nessuno, fra coloro che la trovano affascinante, sia stato ammaliato dai suoi dati di potenza e coppia, dal numero delle valvole, dal diametro dei dischi o, ancor meno, dalle quote della ciclistica*. Credo che, a malapena, si sia soffermato sul numero dei cilindri, anche perché che ne abbia uno, due o di più, chissenefrega. Gli unici numeri che, semmai, possono emozionare sono i quattro che ne svelano il prezzo – 4.800 – e che rassicurano sul fatto che si possano ancora comperare emozioni senza dover prima vendere l’anima al diavolo, o altro a chicchessia.
Probabilmente, a chi sta continuando a leggere questo pezzo interesserà invece sapere che la Classic è proposta in 7 livree, di cui due monocromatiche opache (nera e grigia) e 5 più classiche, con cromature, filetti dorati e pennellate a contrasto (la versione Halcyon Grey è davvero bella e originale).

Passato e presente

Gli indiani di Chennai hanno una certa esperienza di queste cose e, anche se negli ultimi anni sono stati molto bravi a “europeizzare” la loro offerta in termini di appeal, continuano però ad avere i piedi ben piantati per terra. Ci tengono alla loro storia, che è la più antica fra tutti i marchi ancora in circolazione, ma non sono prigionieri del passato. Costruiscono motociclette con forte personalità, di buona fattura, con una discreta cura dei particolari. E non sono affatto male nemmeno nel marketing: i video promozionali sono ben fatti e pochi claim sono più efficaci e meno scontati di quello con cui Royal Enfield ha scelto di raccontare la Classic 350. Be reborn” è infatti un’esortazione alla rinascita, nel senso di tornare a vivere esperienze in cui la motocicletta è semplicemente uno dei mezzi che consentono di accedervi. Ed è proprio così. La entry level indiana lo fa in modo discreto, senza che chi siede in sella spenda più energie per guidarla di quelle indispensabili, conservando tutte le altre per concentrarsi sul resto. Sulla vera esperienza.

Cambio di prospettiva

Guidare la Royal Enfield Classic 350 è davvero semplice, anche per chi è di primo pelo. La posizione in sella è rilassata e il motore è sempre gestibile. Il peso non imbarazza mai e la maneggevolezza è buona anche fra le auto. Non si ha mai quella spiacevole sensazione di essere in balia del mezzo, aggrappati al manubrio.
Il comfort è nel complesso buono, anche se gli ammortizzatori non sono il massimo e sulle sconnessioni facciano un po’ sobbalzare. I freni sono all’altezza delle prestazioni della moto, dunque non aspettatevi l’esuberanza che non c’è. Ho trovato un po’ larghe le pedane e con i piedi a terra (o i pantaloni a zampa, per i più fricchettoni) ogni tanto sono da impiccio. Anche il tappo del serbatoio è stato progettato con l’intento di convertire i frettolosi, perché per ruotare il coperchietto che cela la serratura bisogna armarsi di santa pazienza e darsi del tempo…
Per fortuna che la Classic beve poco, anche se la scarsa precisione dell’indicatore del livello di carburante invita a non sfidare la sorte e non aspettare di essere arrivati a fondo scala, prima di cercare un distributore. Un consiglio: se vi si presenta l’opzione autostrada, fatene pure a meno. Non perché la motoretta non ci sappia andare, ma perché il viaggio si tramuterebbe in uno stucchevole trasferimento. È inutile tirarle il collo (non supera i 120 km/h), quando le si può chiedere di scarrozzarvi al piccolo trotto lungo le strade meno battute e di insegnarvi un differente modo per spostarsi da A a B.

La moto a colori

Capita con una certa frequenza che, quando si sceglie di avventurarsi sulle strade secondarie, queste non siano le più veloci e la conseguente dilatazione del tempo porta sovente a confrontarsi con la notte e il buio. Una situazione in cui ci rende conto che il faro della Classic patisce lo stesso difetto di molti altri, ossia, che sulle curve strette il fascio di luce che emette lascia completamente oscura la parte interna della curva. In città e sulle strade con illuminazione non è certo un problema, ma se ci si trova su una strada di montagna o in mezzo a un bosco, la sensazione è poco piacevole.

Dopo aver parlato di buio, concludiamo con una riflessione sul colore, che ben sintetizza la nostra idea su questa motocicletta. Pensare che il bianco e nero o, peggio ancora, il seppiato le si addica è sbagliato. La Classic non è un oggetto vintage, men che meno un’operazione nostalgia. Al contrario, è l’evoluzione (il termine può sembrare un po’ forte…)  di una motocicletta che è così da sempre. Incarna l’idea di motociclismo più colorata che si possa immaginare, un tripudio di tinte in puro stile Bollywood…

*Se però siete curiosi di leggere la scheda tecnica della Royal Enfield Classic 350 (per carità, ognuno ha le sue stravaganze e non sta a me giudicarle…), la potete trovare cliccando questo link.

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