Le vediamo già le facce inorridite degli appassionati. Convertire in elettrica una Fiat 500 del 1957, una Porsche 911 degli anni Settanta, una Ford Mustang V8 del 1967 (solo per citarne tre)? Rinunciare al rumore del motore a benzina, ai suoi odori e, perché no, a tutti quei problemi piccoli o grandi che solo abilità ed esperienza permettono, con soddisfazione, di risolvere, sarebbe come cancellare a una parte di sé. Impensabile. Eppure, potrebbe essere l’unico modo per continuare a usare la propria amata “vecchietta”. Una maniera peraltro legale: lo stabilisce il decreto 219 del Ministero dei Trasporti dell’1/12/2015. Prima di qualsiasi considerazione, è bene specificare che non esiste una risposta univoca alla domanda: “trasformare l’auto storica in elettrica conviene?”. Esistono almeno tre risposte. Eccole.
Sì, se si abita in città e si vuole circolare
Caso uno: la storica la si vuole usare tutti i giorni per andare al lavoro e si vive in città. Non c’è scelta: per avere la ragionevole certezza di poter circolare ancora per un bel po’ di tempo, la conversione (o retrofit) è obbligatoria. Già oggi, infatti, in molti centri urbani la circolazione è vietata alle auto più datate e inquinanti. E se fino a un po’ di tempo fa le storiche (certificate come tali) godevano di permessi in deroga, la situazione sta diventando sempre più complessa. E negli anni a venire sarà sempre più probabile vedersi costretti a lasciare l’auto in box.
No, se si vuole conservare il valore
Com’è facile intuire, un intervento così invasivo come la sostituzione del propulsore con un’unità elettrica fa precipitare il valore del mezzo. Dunque, se avete comprato la storica come forma di investimento, la mossa più sbagliata che potreste fare è proprio quella di stravolgerne l’originalità. Meglio piuttosto tener fermo il veicolo – nel caso abitiate in città – e aspettare (insieme sperare) che il suo valore salga nel tempo.
Sì, se la conversione è fatta dalla Casa
La terza risposta è ancora un sì, ma è anche una terza via. Più che di trasformazione si parla di creazione ex-novo di un modello storico da parte della Casa automobilistica. Quale possa essere il valore nel tempo di questi oggetti è difficile da dire, visto che ancora non c’è uno storico. Senza dubbio si tratta di operazioni molto interessanti perché il rispetto dei “capitolati” è massimo e i designer si preoccupano anche di fare in modo che l’unità elettrica abbia gli stessi ingombri e lo stesso aspetto (a grandi linee…) di quella originale. Una strada, questa, percorsa sia da Jaguar sia da Aston Martin.La prima ha dato disco verde alla produzione di una serie ristretta di queste “elettriche storiche” (le prime consegne già nel 2019), dopo aver fornito la E-Type elettrica usata per il matrimonio tra il principe Harry e Meghan Markle del maggio 2018. Aston Martin, per la precisione il reparto Works Heritage, ha mostrato una “Heritage EV Concept” su base DB6 del 1970. Segno che anche i collezionisti, forse, si stanno “rassegnando” all’idea. O segno del fatto che prima o poi dovranno per forza farlo.
I costi
Tornando al retrofit, cioè alla conversione di modelli nati a benzina, se si parla di costi tutto dipende dal modello (l’auto, questo è ovvio, dovete mettercela voi) e dalle batterie che si vogliono montare. Per avere un ordine di grandezza, una delle aziende italiane più note del settore, la Newtron, per una Panda prima serie richiede circa 7.000 euro per la conversione. A questa cifra bisogna aggiungere quella per le batterie. Si va da circa 2.000 a circa 6.000 euro (Iva esclusa), oppure si può optare per il noleggio. Il catalogo di modelli “trasformabili” è comunque molto ampio e non comprende solo auto particolarmente datate. Fra le altre, spiccano Land Rover Defender, smart (fino alla terza serie, che però in variante elettrica esiste già nel listino), Mini, Fiat Uno, Autobianchi A112, Fiat 500 (quella moderna), Volkswagen Maggiolino e Maggiolone e Citroen 2CV.