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Renault 5 Turbo: buona, brutta e cattiva

Trazione posteriore, motore centrale, sovralimentazione turbo e peso inferiore a 1.000 kg. È stata una delle rally replica più amate e performanti degli Anni ’80. Il 1.4 a benzina erogava 160 cv, mentre la Gruppo B Maxi Turbo poteva contare su 350 cv

Alcuni stilemi della nuova Renault Twingo s’ispirano all’utilitaria R5 (1972-1984): montanti posteriori e inclinazione del lunotto, in particolare, evocano l’iconica R5 Turbo con motore posteriore e… No, no, no. Fermi tutti. La simpatica francesina liberamente ispirata alla Fiat 500 – non ne abbiano a male in Renault, ma anche Ray Charles sarebbe incline a questa considerazione – avrà anche la trazione posteriore, vanterà pure il motore collocato al retrotreno e potrà persino contare su personalizzazioni che, negli Anni ‘80, erano prevedibili quanto la conquista del potere da parte dei Rettiliani, ma scomodare un mostro sacro dell’automobilismo quale R5 Turbo richiede delicatezza pari a quella necessaria per maneggiare nitroglicerina.

Sino all’entrata in produzione d’R5 Turbo, la gamma della Régie aveva in R5 Alpine la massima espressione di sportività, in quanto mossa da un 4 cilindri in linea 1.4 benzina da 93 cv. Ma dato che in Francia, nel 1976, il Sidro avariato andava di moda più del vino, il designer Marc Deschamps mise su carta l’idea d’una R5 sportiva con motore centrale e Jean Terramorsi, vice direttore produzione Renault dal 1972, iniziò a immaginare una vettura da corsa derivata dal modello di serie. Semplice, (ir)razionale, dalle dimensioni contenute. Da produrre in almeno 1.000 esemplari per ottenere l'omologazione sportiva in Gruppo 3/4, così da sostituire R8 ed R12 Gordini tornando a correre nei rally. Nonostante la morte di Terramorsi, nel 1977 il successore Lherm incaricò Bertone di realizzare il primo modello in scala 1:1. R5 Turbo prese vita.

Leggerezza e semplicità meccanica portarono a optare per la sovralimentazione – mediante turbina Garrett T3 – del 4 cilindri di 1.397 cc appannaggio di R5 Alpine. Propulsore caratterizzato dalla distribuzione a singolo albero a camme laterale, che azionava le valvole mediante aste e bilancieri, e ora collocato in posizione centrale longitudinale nonché abbinato alla trazione posteriore. Grazie alle cure del reparto sportivo Renault e all’iniezione meccanica Bosch K-Jetronic, il 1.4 Gordini arrivò a erogare 160 cv a 6.000 giri/min e 210 Nm (21,4 kgm) di coppia a 3.250 giri. Il cambio era manuale a 5 rapporti. Mancava (purtroppo) il differenziale autobloccante. La vettura aveva due soli posti e mutuava la scocca dalla normale R5. Caratteristica, quest’ultima, che obbligò a radicali interventi d’adattamento onde gestire le elevate prestazioni. I serbatoi del carburante, ad esempio, vennero collocati sotto i sedili: se tale soluzione da un lato favoriva la corretta ripartizione delle masse tra gli assali (386 kg anteriormente e 584 kg posteriormente), dall’altro portava in dote un acre odore di benzina in abitacolo.

Lo schema delle sospensioni prevedeva una soluzione a triangoli sovrapposti all’avantreno, a quadrilateri deformabili al retrotreno, mentre l’impianto frenante si avvaleva di quattro dischi autoventilanti da 260 mm di diametro. I cerchi erano da 13 pollici. L’elemento più sorprendente era il peso: 970 kg a secco. Cui conseguiva un rapporto peso/potenza di 6,1 kg/cv. Niente male per un’utilitaria in veste sportiva! Tant’è che R5 Turbo scattava da 0 a 100 km/h in 6,5 secondi e raggiungeva i 200 km/h. La nomea di bestia indomabile è legata soprattutto alla versione da gara omologata in Gruppo B: l’impressionante Renault 5 Maxi Turbo, prodotta dal 1984 al 1985 e dotata di una versione portata a 1.527 cc del quadricilindrico sovralimentato. Alla scocca in alluminio vennero abbinati innumerevoli componenti in Kevlar e carbonio. L’intercooler era di tipo aria/acqua, mentre turbocompressore, iniezione meccanica e pistoni derivavano dal V6 Renault F1 dell’epoca. Poteva contare su 350 cv e 905 kg di peso. Indomita e indomabile.

 

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