Questa storia, ambientata nella florida e rustica campagna ravennate, nasce dalla mente vivida e dinamica di Alberto Dassasso detto Abe, un bambino degni anni Ottanta col motore su di giri e la mente precoce. A un certo punto, quasi per caso, la sua strada confluisce nell’idea alla fonte di Vibrazioni Art Design: malvissuti bidoni di carburante e olio in disuso vengono recuperati, reinterpretati e adattati a nuove funzioni di vita. Da svariati tipi di stilosi complementi d’arredo a vesti metalliche su misura (carrozzerie), che rianimano moto probabilmente a rischio di estinzione. Ma non solo. Abbiamo incontrato il fondatore di VAD.
Abe, per te, uomo mascherato, cos’è la bellezza?
«Il concetto di bellezza, oggi, tende a identificare stilemi, movimenti o mode troppo riconducibili a un periodo storico e socioculturale. È troppo stereotipato e con una data di scadenza. Quello che era bello un anno fa, oggi potrebbe essere già passato. Credo che la vera bellezza sia fondamentalmente libertà e persistenza di idee. Se dalla base di sviluppo di un progetto poi l’iter verrà rispettato fino alla fine con coerenza di idee e lavorazione, la bellezza sarà il risultato finale e stabile. Le mode passano… la bellezza resta e in alcuni casi, a distanza di tempo migliora».
Il tuo concetto di equilibrio.
«Saper rimanere sé stessi, portando avanti le proprie idee senza scendere a compromessi e non farsi trascinare dalle tendenze. Avere una mente aperta all’apprendimento come al mutamento, ma allo stesso tempo capace di fare perno su basi immutabili. Essere un brand in continua evoluzione ma con un filo conduttore tra ciò che eravamo e ciò che saremo».
Da che pianeta arriva Abe?
«Sono una persona con la testa tra le nuvole e i piedi ben saldi a terra, troppo cresciuto per considerarmi un ragazzo, ma mai troppo vecchio da sentirmi adulto. Accanito sognatore, convinto che la vera ricchezza risieda nella creatività e nella sua espressione con ogni mezzo a disposizione. Un contenitore di ricordi, sogni e ambizioni, vecchi Lego, Voltron, giocattoli di legno, il profumo della campagna e l’azzurro del cielo, l’odore della benzina e il rombo dei motori. Ho una viscerale passione per la Pop Art e Andy Warhol, il fuoco e le scintille della saldatura, il brivido e la paura, la ruggine, il colore, l’amore per la manualità, il sapore di una storia».
Il tuo esordio con il mondo moto, in assoluto.
«Le moto, e più in generale i motori, mi accompagnano fin da quando ho memoria. Non sono mai stato appassionato di calcio, ciclismo o podismo. Ti posso dire che da bambino sono stato attratto dal suono e la forma di ogni sorta di mezzo motorizzato. Automobili, trattori, motociclette… più grossi erano i mezzi, più mi rapivano. Adoravo e adoro tutt’ora film come Giorni di tuono o Fuori in 60 secondi; fissavo ammaliato i grossi pneumatici delle moto e bramavo all’idea di ruotare la manopola del gas. Avevo 11 anni, o forse meno, quando mi ritrovai in casa una vecchia Cagiva 250 SXT con le gomme tassellate: era la mia, potevo guidarla tra le campagne dopo la scuola, giocare a smontarla e rimontarla, mi preparavo la miscela. Per qualche ora al giorno non esistevano altro che lei e la sensazione di libertà che mi regalava. Quello è stato il mio primo vero rapporto con la moto e ancora non sapevo che a distanza di molti anni quella fedele compagna di giochi sarebbe diventata la prima moto Vibrazioni. La Cagiva Zolla».
Gli inizi
Come sei finito a riciclare bidoni?
«Potrei dire per caso ma poi, tutto sommato, il caso non esiste. È il frutto di un processo che si è attivato fin dai primi anni della mia vita, la predisposizione ai lavori manuali, il percorso di studi artistici dove ho potuto sviluppare questa attitudine e approfondire la mia conoscenza. In quei periodi mi rendevo conto che la scuola tendeva a formare menti e capacità prive di scintille e quindi, tra giornate di scuola e corse in campagna con la mia Cagiva, ho iniziato a dedicare tempo alla sperimentazione sui materiali. Modellavo argilla, lavoravo il legno e altri materiali fino a cimentarmi nella lavorazione dei metalli. Ma l’attrazione è stata per i metalli recuperati. Da qui a innamorarmi dei vecchi fusti di benzina il passo è stato breve. Ben più lungo invece è il processo di apprendimento, di espressione, che penso sia ancora in corso».
Sono nati prima gli sgabelli o le moto?
«Prima delle moto e ancor prima degli sgabelli, e più in generale di ogni sorta di complemento, sono nati altri oggetti tra i più disparati. Molti di questi non avevano un senso logico ma in quei momenti stavo allevando l’embrione di quello che un giorno sarebbe diventata Vibrazioni Art Design».
Ma l’idea di vestire la moto così com’è nata? Sei stato ispirato da qualcosa?
«Più che ispirato, sono stato spronato dalla voglia di mettermi alla prova su qualcosa che andasse al di là della mia comfort zone. Il desiderio di qualcosa di unico e realizzato da me, e l’ho trovato nei bidoni recuperati…».
Qual è il core business di Vibrazioni?
«Vibrazioni produce oggetti di design e complementi d’arredo eco-sostenibili. Con un carattere rude e post-moderno, una forte connotazione emozionale e una chiara influenza che arriva dal movimento artistico della Pop Art. Ma riteniamo che il potenziale della nostra creatura vada ben oltre, e che sia verosimilmente applicabile ai settori produttivi più disparati: dalla nave all’astronave. Tutto quello che sta nel mezzo potrebbe essere di nostra competenza».
Ecologia
C’è chi ricicla materiali per sensibilità ecologica, chi per questioni etiche; VAD da che parte sta? Che rapporto hai con l’ambiente, tu personalmente?
«Sarei ipocrita se dicessi che nelle primissime fasi di questa attività c’era un senso etico o un’idea di eco-sostenibilità dietro al progetto Vibrazioni. Crescendo abbiamo capito anche l’importanza di portare avanti la produzione con maggior attenzione e rendendosi utile all’ambiente. Per questa ragione ricerchiamo i fusti attraverso strutture che si occupano della raccolta e dello smaltimento dei residui degli oli esausti, eseguiamo la bonifica presso aziende specializzate che utilizzano sostanze naturali come la lisciva di cenere e le acque piovane, e utilizziamo nella nostra sede produttiva energia derivata da fonti rinnovabili. Personalmente, essendo cresciuto in campagna, amo la natura e amo immergermi in uno stato meditativo ogni volta che ne vengo a contatto. Devo però ammettere che la passione per il motore a scoppio e l’odore della benzina non si sposa fino in fondo con la concezione di un’anima green. Ma ahimè, nessuno è perfetto».
Vestiresti un motore elettrico? Sarebbe un bel contrasto hi-tech post-atomico. Mai pensato?
«Non abbiamo mai vestito una moto elettrica, ma mai dire mai. Abbiamo però fatto qualcosa di simile in occasione della seconda fase di partecipazione alla trasmissione di Sky Lord of the Bikes, quando in pochi giorni abbiamo immaginato e realizzato una special su base Guzzi V7 con motore elettrico. Al di là del risultato estetico, posso senza dubbio affermare che è stata la prima Guzzi elettrica della storia!».
Come si fa a omologare una moto VAD?
«L’iter per l’omologazione, come prototipo o pezzo unico, passa per il TUV, anche se a onor del vero le moto che realizziamo, seppur funzionanti e conformi ai requisiti di sicurezza e guidabilità su strada, vengono per lo più richieste da appassionati, collezionisti o partner aziendali che non ne fanno un vero utilizzo su strada, se non sporadico».
Con quale criterio è scelta la moto di base?
«Solitamente il committente identifica un marchio piuttosto che un modello specifico. Mi sono ritrovato a lavorare su svariate Honda, Cagiva, BMW, Moto Guzzi, Harley-Davidson e, in primis, Ducati. La mia visione e il nostro modus operandi ci svincola dalla scelta di un preciso modello di base, perché il risultato finale del nostro lavoro ci porta sempre a realizzare quella che per noi è la migliore configurazione possibile, indipendentemente dalla base. In altre parole, potremmo dire che cuciniamo con tutto quello che troviamo nel frigorifero».
Di una moto VAD, percentualmente, quanto è riciclato e quanto è materia prima nuova?
«Tendiamo sempre a prediligere il recupero, in ogni sua forma e nel maggior numero di componenti. Laddove questo non sia possibile, cerchiamo comunque di auto-produrre in modo quanto più artigianale possibile gran parte delle componenti. Direi che mediamente in una moto Vibrazioni l’ottanta per cento è recuperato o proveniente da materie prime seconde o auto-costruite, mentre un venti per cento è acquistato».
IL PROCESSO CREATIVO
Come nasce una tua creatura? La pensi o la disegni?
«Amo i bozzetti, ma tendo a non utilizzarli perché non sempre il concetto e l’idea che mi ritrovo in testa poi riesco a trasferirli su carta. Scompongo e analizzo ogni aspetto estetico e tecnico della moto nella mia mente, cercando di contrastare ogni possibile soluzione che il mio cervello partorisce. Insomma, faccio l’avvocato del diavolo di me stesso e questo mi permette di valutare minuziosamente tutti gli aspetti della lavorazione. Poi passo subito al lato pratico perché sono un tipo da buona la prima, lasciandomi trasportare – e a volte sorprendere – dalle mani e da quello che producono, se lasciate libere di fare».
Chi sono i clienti VAD?
«Non esiste un vero e proprio cliente tipo. Dai petrolhead agli appassionati di arte e cultura, dai collezionisti fino ad arrivare semplicemente alla persona che intende possedere un pezzo della nostra filosofia, nella quale si identifica e che rispecchia i suoi valori. C’è una forte diversificazione tra le fasce di età: dai più giovani ai più adulti, ma il range è compreso tra i trenta e i cinquant’anni».
C’è differenza fra l’attività di VAD e quella di un normale customizzatore?
«Quello che ci differenzia dagli altri customizzatori credo sia proprio il fatto di non esserlo. Mi spiego meglio: i customizzatori intervengono secondo le richieste dei loro clienti su progetti che possono riguardare piccoli dettagli o l’insieme della moto. Noi invece applichiamo una filosofia che parte dalla materia prima, e a volte capita di imbatterci nel settore moto. Questo ci permette di intraprendere un progetto motociclistico solo se per noi ne vale la pena».
Cosa pensi dei customizer italiani?
«Ci sono molti customizer in Italia con grandi doti e grandi visioni, alcuni che considero storici, che hanno saputo costruire sulla propria immagine un vero e proprio brand consolidato negli anni e che personalmente ammiro molto. D’altro canto sembra che altri si siano lanciati nel mondo moto più per seguire un fenomeno di moda, soprattutto negli ultimi anni. Credo che per fare tendenza o creare un movimento si debba essere un po’ pionieristici e andare anche in una direzione che a volte può risultare scomoda o difficile. Per farla breve, ci sono troppi customizer che si definiscono tali solo per aver buttato una sella in cuoio e un faretto led su una qualsiasi moto, condendo il tutto con due colpi di smerigliatrice assestati a caso. Ma questa è l’opinione di uno che non fa moto per vivere».
E di quelli stranieri?
«Come sopra… anche se il numero di costruttori degni di nota aumenta esponenzialmente. Primo tra tutti Shinya Kimura, che personalmente ritengo una figura di riferimento del settore, e che sotto certi aspetti lavorativi e poetici sento molto affine».
Old o new generation? Rapporto Abe con la tecnologia, in generale: sei un impallinato, moderato o in combutta?
«Per quanto mi riguarda la vecchia scuola è sempre la migliore ed è quella che va salvaguardata come una specie protetta in via di estinzione. Ma viviamo tempi in cui tutto è votato all’hi-tech, al digitale e sempre più lo sarà. Non dico che questo rappresenti un fattore negativo, anzi, in molti ambiti tutto ciò contribuisce a un miglioramento della qualità della vita, ma purtroppo in molti altri porta a isolarci, impigrirci e molto spesso appannare ingegno e intelletto. Insomma, gradisco la tecnologia a giuste dosi senza farmi offuscare la visuale. Non amo i computer se non mi aiutano nel lato pratico del mio lavoro, non amo i social in generale e non sono nemmeno un gamer. Negli ultimi anni non presto nemmeno più attenzione alla televisione. Preferisco i Lego, una partita a carte e una scorribanda in moto. Amo coltivare pochi ma sinceri rapporti umani, preferisco ascoltare invece che parlare. Insomma, credo di essere un moderno uomo delle caverne».
IL TEAM VAD
Organigramma VAD team. Chi fa cosa?
«Spesso mi interrogo sull’evoluzione nel tempo di ciò che ho creato nel 2007, e ho potuto constatare come siano cambiate le cose da 15 anni a questa parte. La forza lavoro è da sempre l’elemento fondamentale dello sviluppo di qualsiasi azienda, ma oggi uno staff numeroso si traduce in complessità gestionale, che richiede importanti abilità e attitudini alla leadership. Quindi, meglio uno staff ai minimi termini, puntando più che altro al coinvolgimento, per rendere i collaboratori parte della costruzione del mondo VAD. Oggi tendo a delegare all’esterno alcune attività per riuscire a mantenere l’azienda più snella possibile. Ecco il cuore pulsante di VAD. Alberto aka Abe: sono io, il fondatore, il padre di VAD; Giovanni: figura imprenditoriale di grande esperienza che ha abbracciato il progetto VAD dal 2018 offrendo il suo preziosissimo supporto; Gaia: è una tosta, è il mio braccio destro, arriva in Vibrazioni dopo diverse esperienze in giro per il mondo e il suo ruolo spazia dall’amministrazione, al marketing, alla comunicazione, a volte per prenderla in giro la chiamo Schwarzkopf… per sottolineare la sua tempra da generale; Michele: dopo diversi anni dedicati alla cura e alla progettazione di spazi verdi, in Vibrazioni non ha di certo abbandonato la filosofia green, il suo regno è l’officina ed è l’esperto di taglio, saldatura e smerigliatura; Alberto B.: un bravo ascoltatore che sa sempre cogliere le esigenze dei clienti e proporre le migliori soluzioni, gestisce il rapporto con gli showroom e con i partner commerciali come i rivenditori e gli studi di interior design; Callo: l’innovatore, è considerato uno dei migliori fotografi di F1 e MotoGP a livello internazionale, annovera tra i suoi committenti nomi del calibro di Scuderia Ferrari, il suo stile unico è caratterizzato da una spiccata creatività che spezza le catene dei tradizionali stereotipi della fotografia sportiva, in Vibrazioni art-design non si occupa solo di foto ma anche dell’aspetto visual più in generale».
Ieri, oggi, domani. Dov’è la tua testa?
«C’è una frase di Gibran che mi piace e che recita così: “L’oggi non è che il ricordo di ieri e il domani il sogno di oggi”. Credo sia fondamentale, per quanto difficile, mantenere un ricordo di quello che è stato, facendo tesoro dei momenti positivi ma soprattutto di quelli negativi, per comprendere sulla base di questi come migliorare noi stessi e per costruire quello che sarà il nostro domani. Ma è più difficile di quanto si possa pensare!».
I gusti di Abe, le tre moto di serie più belle della storia.
«Arduo compito sceglierne tre e soprattutto di serie. Io mi ritrovo più affine a bombe a mano come la Britten o la Honda Elf 500. Ma senza ombra di dubbio individuo prima fra tutte, la regina tra le mie preferite, la Ducati 888, poi Honda RC30 e Suzuki gamma 250 (con il 34 sul codone). Un posto speciale nel mio cuore lo tengo però per la Moto Morini Corsaro 1200 che, pur non essendo la bella tra le belle, ha il potere di coinvolgerti in un rapporto di amore e odio a livello viscerale e che ha un motore in grado di stamparti un sorriso direttamente proporzionale ai gradi di rotazione della manopola del gas. Dopo di lei, tutto il resto sembra noioso!».
Cosa pensi passando dalle scuole superiori di oggi, vedendo solo una manciata di motorini parcheggiati fuori?
«Penso a quello che le nuove generazioni si stanno perdendo. Penso ai momenti di spensieratezza e di inconsapevole formazione che una giornata in motorino con gli amici ti può regalare… anche e soprattutto a distanza di tempo. Il mondo corre in un’altra direzione e questo, se sotto certi aspetti è positivo, inevitabilmente comporta la perdita di passaggi di vita che per quanto possano sembrare banali contribuiscono a plasmare la persona che diventerai».
Come hai vissuto l’adolescenza in questo senso?
«L’adolescenza, quando ci sei dentro, tendi a viverla in modo caotico e a tratti traumatico, ma con il senno di poi, ripensandoci, è una fase della vita molto bella, se penso ai miei ricordi. Gli amici, le moto, la sperimentazione e l’apprendimento… non solo quello scolastico, ma quello della vita».
La tua visione in sintesi: tre parole magiche che diresti a un adolescente per convincerlo della gioia che può regalare una moto?
«Provoca senso di libertà».
Cosa potresti imparare oggi tu dai giovani quindicenni di oggi, e cosa pensi potrebbero imparare loro da quelli della tua generazione?
«Da loro potrei imparare come si accende un computer, mentre loro potrebbero imparare da noi ad apprezzare valori che stanno sempre più scemando: rispetto per sé stessi, per gli altri e per le cose; ambizione, sacrificio, dedizione. Credo però che ognuno di noi possa imparare dagli altri qualcosa di nuovo, indipendentemente dall’età anagrafica della persona che ci troviamo davanti».
Le moto italiane
Moto straniere o italiane?
«Qualcuno una volta mi disse che dopo essere passato a una moto italiana non sarei più tornato. In parte è vero, perché queste moto tendono, con tutti i loro pregi e difetti, a instaurare un rapporto quasi umano con il proprietario. Ciò non vuol dire non che possa avvenire la stessa cosa con una moto straniera, ma spesso noto una certa incongruenza tra le moto e i loro proprietari. Mi spiego meglio: una moto giapponese viene solitamente acquistata per un buon rapporto qualità prezzo, e mediamente il suo percorso di vita con il primo proprietario non dura più a lungo del momento in cui esce il nuovo modello. Una moto italiana, probabilmente, la compri e te ne freghi di cosa uscirà dopo o di cosa c’è stato prima… lei è quella che vuoi! Io non abbandonerò mai la mia Corsaro e la guarderò sempre con gli occhi del primo appuntamento!».
Il motore dei sogni che vorresti vestire.
«Non esiste un vero e proprio unicorno sul quale vorrei mettere le mani. Diciamo che mi piacerebbe un giorno avere le competenze e la possibilità di costruire completamente da zero una moto curandone ogni aspetto. Poter dire di non essermi basato su nessun mezzo già esistente, ma di averne creato ogni singolo componente».
Photo credits: Callo Albanese
Contatti Vibrazioni Art Design
IG: @vibrazioniartdesign
FB: @vibrazioniartdesign
Web: vibrazioniartdesign.com
#ALWAYSFASTER