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I dannati dell’Inferno Verde, al Nürburgring con Metzeler M9 RR

Due giorni all'anno e solo per quei due giorni, il Nordschleife è aperto solo alle moto. E in quei due giorni puoi vivere una delle esperienze mistiche del motociclismo. Noi ci siamo stati ma...

Ci sono luoghi mistici per gli appassionati di due ruote, se ami i raduni custom sogni l’America del nord, se sei un mototurista DOC prima o poi a Capo Nord ci devi arrivare ma se ami il mondo road racing hai due sole possibilità: Isola di Man o il Nordschleife. Metzeler lo sa e la sua declinazione sportiva stradale si è trasformata nell’Experience “The Epic Ride” che abbiamo avuto modo di vivere in anteprima e che dal 2022 sarà dedicata a chi vuole sfidare i 20,854 km di asfalto e le sue 73 curve.

Parto da un ringraziamento proprio alla squadra di Metzeler che ha messo in piedi una giostra da capogiro, trattandomi da pilota ufficiale, mettendo a disposizione le BMW S1000 RR equipaggiate di SPORTEC M9 RR – vi invito a leggere la prova di Stefano Cordara -, la quinta essenza della gomma sportiva omologata per l’uso stradale.

Non smette di piovere

Ore 6:00. Apro le tende della camera e non vedo a un metro. Ha piovuto tutta la notte, insiste ancora adesso e uno spesso strato di nuvole interrompe completamente la visuale: si fatica a vedere le auto parcheggiate davanti all’albergo. Poco importa. Non sarà certo il maltempo a fermare il progetto Epic Ride che prevede due giorni di guida intensi con sessioni di mezz’ora sempre accompagnati da apripista professionisti che conoscono il circuito meglio delle loro tasche.

“Non bastano cento giri per conoscere i segreti dell’Inferno Verde”

È passata buona parte del primo giorno quando le condizioni meteo migliorano leggermente, se piove si guida, se non c’è abbastanza visibilità non si accendono i motori. Ad entrare prima di noi è il gruppo Expert che ha già avuto in passato il battesimo del fuoco, ma è una gioia che dura poco. Si innescano subito delle scivolate senza conseguenze la pista è maculata peggio del pelo di un giaguaro, zone umide si alternano a piccole aree asciutte seguite da punti dove è facile cadere nel tranello dell’aquaplaning.

La traiettoria ideale

La presunzione di chi è abituato a girare in un circuito tradizionale porta a immaginare che anche qui, dopo pochi giri si possa avere la chiara visione del tracciato in ogni sfumatura. Niente di più sbagliato un giro che dura almeno dieci minuti non è paragonabile ai 2 minuti di un Mugello con 15 curve e una visibilità pressoché perfetta. Il Nordschleife non è così, non ti puoi distrarre non puoi scherzarci mai perché dietro ad ogni curva ci può essere tutto: da una discesa verticale come le cascate del Niagara, al muro di cemento a mezzo metro dall’asfalto ad una salita tortuosa come un budello dove servono i ramponi per arrivare in cima. Ecco perché nel momento in cui decidi di affrontarlo il tuo faro rimane sempre l’istruttore qualsiasi traiettoria prende, qualunque sia il pezzo di asfalto e il cordolo che accarezza delicatamente.

L’apnea del singolo giro

Non è facile affrontare tutto insieme e rimanere lucidi a partire dalle cose semplici: la tuta che stringe e il caldo umido che ti avvolge e appanna la visiera nei primi metri uniti all’asfalto che rimane indecifrabile. Ammetto che sapere di avere sotto il sedere le M9 RR e il riding mode della S1000RR regolato su RAIN rende la guida meno meccanica e più istintiva.  Mi muovo leggero sulla sella, accarezzo la leva anteriore del freno, chiamo in causa i cavalli senza esagerare, ma soprattutto ho il tempo per osservare come il nostro apripista mettere e togliere le marce e replico alla stessa velocità. Sto addosso a Sven – così si chiama il nostro angelo custode – danzo al suo ritmo e il primo giro è già finito. E davvero non ho capito nulla. Rientriamo nel vecchio paddock per prendere fiato: siamo una carovana di quattro ospiti e prima di ripartire ci assicuriamo che nessuno sia sfiancato dalla tensione del debutto. Questo è il Nürburgring.

“Quando sei convinto di aver memorizzato il tracciato è il momento di chiudere il gas…”

Provo a dare una forma quanto vissuto il primo giorno. Ho perfettamente a fuoco alcuni punti della pista – l’altezza dei cordoli e le vie di fuga inesistenti – ma se osservo la planimetria del circuito fatico a orientarmi. Ricordo il famigerato Karussell con le placche di cemento chiare – luogo tanto iconico quanto poco significativo per la guida a bassa velocità – ci rimbalzi sopra e non vedi l’ora di scappare via. Vivido in me lo stupore dei panorami, la foresta con gli alberi che ti abbracciano così da vicino da  oscurare il cielo e poi improvvisamente ti ritrovi immerso in una distesa collinare che ricorda la campagna inglese. Ma è tempo di tornare in circuito.

Una volta all’anno

Sveglia alle 6:00. Piove a dirotto. Continuo a sperare che arrivi il vento del Nord dritto dall’Oceano e spazzi via le nuvole che stanno versando da 24 ore interrottamente ettolitri d’acqua. Lo dico perché sono consapevole che queste giornate sono speciali e uniche visto che solo quattro giorni all’anno la pista è destinata esclusivamente alle moto. Una condizione paragonabile all’onda perfetta del film Point Break; altrimenti durante l’anno vige la legge della circolazione turistica che vede contemporaneamente in pista ogni mezzo a motore compresi i pullman a due piani carichi di passeggeri: un vero e proprio girone dantesco. Ecco perché adesso o mai più. Nel frattempo, il carico dell’acqua è aumentato.

Diluvio universale

Ad ogni curva un Marshall sventola la bandiera a strisce gialla e rossa, segnale inequivocabile delle condizioni limite del tracciato. Il rischio di aquaplaning è altissimo e i torrenti d’acqua che attraversano la pista portano detriti e terra, sto vivendo un’esperienza epica – come titola quest’experience – ma mi sento protetto e al sicuro nella tuta in pelle e una proverbiale anti pioggia recuperata da Daniele Maletti – Global Brand Manager di Pirelli – che vigilia senza batter ciglio sul nostro navigare. Due giri anche oggi, il programma era un altro. Almeno quattro ore di guida ogni giorni in condizioni di clima sereno, e poi fine dei giochi perché il tempo non dà scampo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle

Mi resta addosso un sapore misto di gioia per aver conosciuto anche se di sfuggita il Nürburgring e allo stesso tempo l’amarezza per non aver potuto guidare sull’asciutto e capire almeno uno dei 73 segreti dell’Inferno Verde. Indubbiamente almeno una volta nella vita bisogna venire qui e a questo punto consiglio in ottima compagnia con chi come Metzeler e l’M9 RR qui è davvero di casa. L’indirizzo però ora la conosco e presto tornerò a bussare alla sua porta.

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