DRIVE
Parto con un doppio strato sotto la tuta, a Portimao il tempo è stupendo ma non fa caldissimo, almeno al mattino, meglio coprirsi. Penso. Dopo due giri però vorrei togliermi tutto, mentre seguo Alessandro Valia, tester ufficiale Ducati e uno dei “papà” della 1299, sui saliscendi del toboga portoghese mi rendo conto che la Panigale mi farà sudare perché va da paura, ma mi rendo anche conto che dopo due soli giri stiamo già viaggiando come treni, nonostante io sia digiuno di pista da un po’.
Una moto facile? La risposta è ambigua; si è facile perché se dopo due giri si viaggia già a certi ritmi, se ti butti nella “buca” di Portimao a 200 all’ora inclinato di 52° (rilevati) e ti senti perfettamente a tuo agio, se vedi i 300 in fondo al rettilineo e ti attacchi ai freni senza che la moto si muova di un millimetro significa che la Panigale ti porta subito ad andar forte con relativa facilità (se ripenso con che fatica si prendeva il ritmo con la 1198 su questa stessa pista…). Ma la risposta è anche no, non è facile, perché la 1299 fa tutto bene, molto bene ma… le sue prestazioni sono ormai così elevate che per sfruttarle appieno serve avere occhio allenato e fisico in ordine. Per capirci, con la 899 potrei girare all’infinito senza fermarmi anche su una pista impegnativa come Portimao, con la 1299 alla fine del turno ero contento di vedere la bandiera a scacchi. Si usa spesso dire che queste moto hanno prestazioni “degne di una SBK di qualche anno fa”, beh in questo caso non andiamo indietro più di un paio di anni, soprattutto se si prova la moto con lo scarico performance, ancora più rabbiosa, leggera, reattiva. Impressionante…
Ma andiamo con ordine. La 1299 si presenta come una “evoluzione” della Panigale in realtà potremmo considerarla un progetto nuovo per come è cambiata dinamicamente. L’evoluzione del V2 Ducati è degna di nota: spinta, erogazione e carattere sono completamente differenti. A Borgo Panigale sono andati alla ricerca della coppia perduta e l’hanno trovata, con gli interessi. Se pensiamo che è un bicilindrico 1.300 capace di frullare a 11.500 giri non si può che rimanere impressionati anche dall’elasticità che offre questo motore. In pista non serve, ma su strada ad esempio, ci sarà ci apprezzerà la sua capacità di scendere a meno di 3.000 giri in sesta per riprendere senza problemi.
Ma è sopra che viene il bello. La veemenza con cui il Superquadro spinge ai medi regimi (dai 5.000 in su) riporta a galla quello che era il vero punto di forza dei motori Ducati e che con la Panigale era andato un po’ perduto. Ora il termine “sottocoppia” non esiste più, perché il Superquadro è praticamente sempre in coppia e spinge come un ossesso anche a regimi che prima, se volevi andar forte, erano “off limits”. Una forza notevole che meriterebbe una sella con ancora più grip. Su quella attuale mi sono trovato un po’ troppo spesso a scivolare all’indietro in accelerazione, faticando a spingere come volevo sulle pedane; situazione che mi portava ad attaccarmi un po’ ai manubri, cosa sempre sconsigliabile con moto che spingono come la 1299.
Il bello del nuovo motore Ducati è quindi che ora non lo devi più aspettare, ha ancora un cambio di carattere attorno agli 8.000 giri, dove arriva un ulteriore impulso, ma quello che c’è prima, sotto questa soglia, è tutt’altra storia rispetto alla 1199.
L’erogazione quindi si è “appiattita”, la coppia oltre ad essere maggiore si è spalmata su un arco di regime più ampio, in questo modo ora è tutto più raccordato e di questa nuova erogazione ne beneficia anche la gestione dell’accelerazione: si esce meglio (e molto più forte) dalle curve, la moto si impenna meno e fa molta più strada, aiutata anche dal quickshift che però talvolta a moto piegata mi è sembrato un po’ troppo lento causando qualche piccolo scompenso nel momento in cui si innestava il rapporto.
Migliorato ai bassi, quindi, senza perdere niente agli alti, perché l’allungo è tale quale a prima: questo è il nuovo Superquadro, un motore che ha fatto un netto passo avanti non solo per quel che riguarda le prestazioni, ma anche per quello che riguarda la fruibilità e la piacevolezza di guida. Solo… che qui adesso c’è davvero tanta roba da gestire, tanto che la moto tende ad alzarsi anche nel quarta-quinta quando scollini sul rettilineo di arrivo e in fondo al rettilineo si sfiorano i 280 orari effettivi, velocità simile a quella che vidi qui con la BMW S 1000 RR.
Va fortissimo, però è anche vero che la Panigale si gestisce meglio di prima. Gli interventi alla ciclistica l’hanno stabilizzata da un lato (il pivot basso riduce la tendenza al serpeggiamento ad alta velocità, migliora la trazione) e resa più agile dall’altro, con un avantreno che offre un miglior feedback e una migliore capacità di tenere la linea e, all’occorrenza, chiuderla. La gestione della percorrenza è ora più rassicurante, l’avantreno “parla” un po’ di più con il pilota e anche sull’ultimo curvone di Portimao che fa di tutto per mettere in difficoltà le ciclistiche ci si sente comunque piuttosto sicuri aprendo il gas con fiducia per proiettarsi verso il rettilineo di arrivo.
LA SCALATA CHE NON DIMENTICHI
Il downshifting è semplicemente qualcosa di cui dopo due giri non si vuole più fare a meno; il controllo di trazione lavora senza essere troppo invasivo, l’ABS è semplicemente meraviglioso e l’anti-wheelie consente di accelerare prima e di più senza mettersi la moto in testa, anche se sui “vuoti d’aria” di Portimao nessun controllo di impennata sarà mai totalmente efficace. Non si può cadere? La risposta è ovviamente negativa: in moto si può sempre cadere, ma è indubbio che il livello di sicurezza raggiunto da queste moto (soprattutto considerando la potenza che ci troviamo a gestire) è elevatissimo. Si cade, sì. Ma con tutti i controlli ben settati, credetemi, bisogna proprio volersi buttare per terra.
Mentre si guida la spia gialla sul cruscotto (l’ho usata con mappa Race, DTC livello 3, DWC a Livello 5 e EBC a livello 3, quindi con controlli non molto invasivi) continua a lampeggiare, segnalando che i chip sono spesso al lavoro per noi, o per gestire l’impennata o per controllare le bordate di coppia che il Superquadro scarica sul Pirellone posteriore da 200. Pensare di fare a meno dell’elettronica su una moto del genere sarebbe semplicemente folle.
SOSPENSIONI
Le sospensioni mi piacciono, le ho sempre usate in modalita “event based”. Ohlins ha fatto un ottimo lavoro perché alla fine il sistema lavora in modo quasi perfetto “sente” molto le regolazioni (da sport a race, il cambiamento è evidente) ma, soprattutto, offre il supporto giusto quando serve, come ad esempio in staccata quando chiude i registri in compressione della forcella per minimizzare l’affondamento e li riapre in curva per offrire feeling e copiare le asperità per più chiudere l’idraulica del mono quando si prende il gas in mano per offrire il sostegno in accelerazione. Il risultato è che durante tutta la giornata pur aumentando il ritmo man mano che ci prendevo la mano (fino fare il mio nuovo record a Portimao) non ho mai sentito la necessità di cambiare nessuna delle mille regolazioni possibili. Ne delle sospensioni ne dell’elettronica né dell’ABS che ho tenuto sempre in modalità sport. Già così ce n’è d’avanzo. Ma volendo si può andare oltre. Va be forse è meglio che vada ad allenarmi un po’…