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Da zero alla pista in quattro ore

Una neofita assoluta, una moto di media cilindrata, 4 ore di tempo per passare dai primi passi a un giro in pista. Possibile? Ecco come una Kawasaki ER-6F ci ha accompagnato in questa avventura

È difficile, è troppo grossa, troppo veloce, non sono in grado. Per molti (e molte) le moto rappresentano una grande attrazione, ma allo stesso tempo, lo scoglio per iniziare una carriera motociclistica sembra essere troppo grande per poter essere affrontato in tempi brevi. Le motivazioni sono molte, a partire dal fatto che è sempre più raro affrontare una vera trafila motociclistica. Si diventa motociclisti quando si è un po’ in là con gli anni, si parte da zero con moto già “grandi” senza essere passati da 50 e 125. Partire così, da zero, non è cosa da poco. Ma se finora avete accampato scuse, dopo aver letto questa storia capirete di non averne più. Protagoniste due ragazze: da una parte Sara, mai andata in moto, e nemmeno su un Ciao; un’attrazione fatale per le due ruote fin da bambina. Dall’altra una Kawasaki ER-6F: bicilindrica, 650 cc, dolce quando serve ma capace anche di toccare i 220 km all’ora.La chiamano “entry level”, e in effetti lo è perché iniziare con lei è facile, ma è altrettanto vero che la seiemmezzo di Akashi è capace di accompagnarti man mano che fai esperienza, senza dare mai l’impressione che le manchi qualcosa. Una carena completa, 70 cv tutti buoni: si può iniziare, vivere la quotidianità, viaggiare e perché no scendere in pista. Quello che abbiamo fatto noi, concentrando tutto in quattro ore soltanto. Le due ragazze si sono incontrate per la prima volta alle 9 di mattina, hanno fatto conoscenza e poi sono diventate amiche. Approfittando dell’ospitalità dell’autodromo di Franciacorta si sono tuffate in una full immersion che, grazie anche al coraggio di Sara, le ha portate a conoscersi sempre meglio, fino ad affrontare insieme qualche giro di pista. Una forzatura? Forse, ma vi assicuriamo che non c’è fiction: tutto ciò che vedete nel video e nelle foto è accaduto davvero.Sara ha perfino fatto il foglio rosa per affrontare questo servizi e poter guidare su strada rispettando le regole. Siamo andati per gradi, affrontando in rapida successione tutte le tappe che costituiscono il percorso di apprendimento di un motociclistca normale corso base e corso stradale fino ai primi rudimenti della pista. Sara prima è stata seguita da Stefano Cordara che le ha insegnato i rudimenti: cambio, frizione partenza, primi metri da sola, bilanciamento del peso, slalom e frenata. In venti minuti la “strana coppia” si muoveva già in autonomia. Docile come un gattino, la Kawasaki ER-6F ha sopportato l’andatura ridotta, le inevitabili incertezze con la frizione, si è lasciata accompagnare nello slalom e ha cominciato a divertirsi quando è stato il momento di muovere i primi chilometri su strada, aumentando gradualmente la velocità. La pista è stata la ciliegina sulla torta: non era scontato che ci arrivassimo ma ce l’abbiamo fatta. Marco Selvetti l’istruttore, tante le nozioni da apprendere in breve tempo: il giro doveva essere uno ma Sara ci ha preso gusto e ne ha fatti tre. Giri dimostrativi, ovviamente, nulla di più, ma utili a far capire a Sara e a chiunque altro che si può fare. Il diario di Sara, ora per oraSi parte presto oggi, ci aspetta una mattinata intensa. Si, perché dopo quattordici anni di attesa finalmente si avvera un desiderio. Il desiderio di imparare a guidare una moto. Parto da zero, non ho mai girato neanche in motorino e quei matti della redazione mi hanno promesso che nell’arco di una mattina non solo sarò in grado di guidare ma riuscirò addirittura a fare un giro in pista. Tutto in 4 ore.Ore 8.30L’arrivo all’autodromo di Franciacorta è un toccasana per la tensione del mio primo giorno di scuola. Il paddock è in piena attività: il piazzale brulica di tute, caschi e ragazzotti dalla tipica camminata di chi è carico come una molla. E io? Più che carica sono agitata, molto agitata. Svuotiamo il bagagliaio e riempiamo il box di tutto ciò che serve: paraschiena, giacca, guanti, caschi, stivali, e poi. La tuta in pelle, ultimo step per la mia rapida carriera di motociclista. Tuta nera, uno spettacolo.Ore 9.00Vestita di tutto punto attraverso il piazzale. Lei è là, mi aspetta. Ammetto che mi tremano un po’ le gambe. Stefano sta sistemando i coni che mi serviranno per i primi esercizi, una volta che sarò riuscita a partire. Ma quanto sono vicini? Salgo. Sono combattuta, la moto mi attrae ma la paura è di non avere il controllo, il timore di farmi male. Tanto. Sono fortunata, ho le gambe lunghe e il peso non mi spaventa: tenere la moto dritta non mi costa fatica e scopro che, la moto quando è dritta, non pesa!Ascolto Stefano “Mai fermarsi con il manubrio girato, guardare sempre avanti, non guardare la frizione mentre la stai rilasciando” gli input che arrivano sono tanti, forse troppi per un cervello sopraffatto dalla tensione. Ma ho tanto spazio attorno a me e la Kawasaki è molto paziente. Cerco di familiarizzare. Ok, non è così difficile: la prima giù, molli piano la frizione e dai un pochino di gas. Poi tiri su le gambe, piedi sulla pedana. Sbaglio, la spengo, una, due tre volte ma non posso scoraggiarmi. La brezza della prima partenza mi gasa! Prima, seconda. Grandi giri sul piazzale martellato dal sole. Non sento altro che il rumore del motore, poi è la volta del freno, anzi dei freni, perché sono due. Interessantissimo che si possa “dosare” la frenata tra i due assi della moto. Piccola rincorsa e due birilli entro cui mi devo fermare, con precisione. Prima solo con il freno anteriore, poi solo con quello posteriore, per capire la differenza, che è molta. Sono pronta per lo slalom. La moto non si guida solo girando il manubrio, ma anche spostando il peso: questa sì, è una scoperta. Si va.Ore 10.30Usciamo allo scoperto, molliamo il guscio rassicurante del paddock dell’autodromo e ci spostiamo su una vera strada. Il mio foglio rosa in tasca mi accompagna. Stefano guida, mi spiega altri trucchi, poi scende e sale, dietro, si fida! Adesso siamo a posto: le braccia diventano di marmo, la mente fuma dalla concentrazione ma la strada è perfetta più o meno deserta, tortuosa in mezzo alle campagne bresciane. Infine mi molla, sola con me stessa e con la Kawasaki, che quasi fosse un animale addestrato comprende le mie paure e fa di tutto per rendermi la vita facile. Dolcissima, io penso di curvare e lei l’ha già fatto; ha l’ABS e questo mi rassicura moltissimo perché ho visto nel paddock cosa può fare, quanto può aiutare. Quando rientro mi sento molto più padrona della moto: ho finito di girare solo in tondo, ho affrontato le prime vere curve, a destra e a sinistra. Stop, metti la marcia, scala la marcia. Sono ancora ben lontana dalla perfezione, ma ora mi muovo da sola!Ore 11.30Rientriamo: è giunta l’ora della pista, il momento più emozionante, come se fino ad ora di emozioni non ne avessi vissute abbastanza. Marco Selvetti spiega gli argomenti con una naturalezza invidiabile. Ascoltarlo è un piacere e veramente, dopo un po’, non vedi l’ora di vederlo da vicino “quell’asfalto pulito, gommato, largo come due carreggiate su cui si va in un sol senso indisturbati e con mille punti di fuga. Insomma… il posto più sicuro al mondo per dare di gas.” Disegna sul circuito le traiettorie. Tiro su la cerniera della tuta. Metto il casco e i guanti.Ore 12.30Si va. Onestamente quel che è successo sul circuito non è impresso nitidamente nella mia memoria, perché l’emozione prevaleva su tutto. Emozione di vedere i cordoli, le curve, il rettilineo. Di sapermi a cavallo di una moto, in pista. In effetti, mi rendo conto che ciò che diceva Marco è assolutamente vero. In pista, le curve sono ampie, è un grande senso unico dove nessuno va contromano. E ancora una volta capisco che il limite della moto è molto, molto più alto del mio. Capisco che volendo la ER-6F potrebbe scalpitare molto più veloce di così, e ne ha pure voglia. La “ragazza” è stata molto paziente con me: nonostante abbia dimenticato più di una volta in che marcia fossi non mi ha tradito mai. Si è lasciata portare con docilità, e ha tanta grinta da vendere, che so di non aver sfruttato pienamente. Ma di una cosa son certa: questo è solo l’inizio, un grandissimo inizio.

 

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